Capitale umano e sviluppo sostenibile

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Il capitale umano è considerato il principale propulsore della crescita economica di un paese. Inoltre, le (maggiori) competenze, conoscenze ed esperienze degli individui sono necessarie per accrescere la sensibilità ai temi ambientali, al fine di ridurre lo sfruttamento delle risorse naturali (specialmente di quelle non rinnovabili) e di promuovere l’utilizzo di energie alternative e di tecnologie sempre più efficienti ma allo stesso tempo rispettose dell’ambiente.
Tuttavia, lo stretto legame tra sviluppo sostenibile e capitale umano è stato analizzato, in modo approfondito, solo recentemente e con analisi di tipo prevalentemente empirico.
Passando in rassegna i lavori che evidenziano la relazione tra sviluppo sostenibile e capitale umano, sviluppando un modello teorico di base per le analisi empiriche ed eseguendo, infine, una analisi empirica (tra paesi e per diversi periodi di tempo), questo capitolo si propone di dare un contributo “generale” a questa non ancora affermata ma crescente letteratura.
Il principale risultato del lavoro è che il capitale umano non è soltanto il motore della crescita economica ma può essere anche l’artefice del passo successivo: lo sviluppo sostenibile.

Introduzione

La cruciale importanza del capitale umano come fattore generatore di crescita è ben nota (si veda, ad esempio, Nelson e Phelps, 1966; Lucas, 1988; Mankiw et al., 1992; Benhabib e Spiegel, 1994; Savvides and Stengos, 2008).

Le (maggiori) competenze, conoscenze ed esperienze degli individui, inoltre, sono necessarie, non solo per aumentare la crescita economica, ma anche per accrescere la sensibilità ai temi ambientali, condizione necessaria, sebbene non sufficiente, per promuovere uno sviluppo che sia realmente sostenibile, vale a dire compatibile con la salvaguardia sia dell’ambiente che delle opportunità economiche delle future generazioni. Dopotutto, i crescenti problemi ambientali (al centro, da tempo, del dibattito accademico e pubblico) sono in larga parte causati dall’uomo, dalle sue crescenti aspirazioni di consumo e di profitto che impongono livelli di produzione sempre maggiori. È dimostrato, infatti, che la crescita della produzione nazionale richiede un aumento del consumo di fattori produttivi, incluse le risorse naturali e l’energia (per una breve rassegna si veda Pablo-Romero e Sánchez-Braza, 2015). Di conseguenza, un aumento senza limiti della produzione porta con sé, inevitabilmente, un uso eccessivo (uno sfruttamento) delle risorse naturali e un aumento delle emissioni inquinanti con conseguente incremento del degrado ambientale.

Il capitale umano – inteso come lo stock e la qualità di conoscenze, competenze ed esperienze degli individui di una nazione o paese – può influenzare il modo in cui si producono e si consumano i beni. Solo recentemente, però, la letteratura accademica ha indagato, in modo approfondito, l’esistenza di un nesso diretto tra sviluppo sostenibile e capitale umano (FarCˇnik and IsteniCˇ, 2020). Precisamente, il capitale umano è legato all’uso sostenibile dei fattori produttivi naturali, in particolare dell’energia, e alla diminuzione del degrado ambientale (in particolare delle emissioni di anidride carbonica, d’ora in poi, semplicemente CO2) [1]. Di conseguenza, ceteris paribus, un maggior capitale umano è associato ad una maggiore qualità ambientale e, quindi, ad un minore degrado ambientale (Gulf Economic Monitor, 2019; Mahmood et al., 2019; Khan, 2020; Buevich et al., 2020; Hanif et al., 2020; Majeed and Mazhar; 2020; Samuel et al., 2020; Gormus and Aydin, 2020; Setyadharma et al., 2021; Cui et al., 2022).

Questo capitolo, pertanto, passa in rassegna la letteratura correlata, sviluppa un modello teorico di base ed esegue una analisi empirica di tipo panel (tra paesi e per diversi periodi di tempo), allo scopo di dare un contributo “generale” a questa non ancora affermata ma crescente letteratura.

Il resto del capitolo è, infatti, così organizzato. Nel prossimo paragrafo, verranno presentati i lavori che testimoniano l’esistenza di una correlazione negativa tra degrado ambientale e capitale umano e, quindi, una relazione positiva tra capitale umano e qualità ambientale. Nel terzo paragrafo, verrà delineato un semplice modello teorico di crescita (economica) e sviluppo (sostenibile) in cui il capitale umano non è soltanto il motore della crescita economica ma anche l’artefice dello sviluppo sostenibile. Nel quarto paragrafo, si effettuerà una verifica empirica dell’importanza del capitale umano per lo sviluppo sostenibile. Nell’ultimo paragrafo, infine, verranno riassunti i principali risultati del lavoro ed esposte alcune importanti implicazioni di politica economica.

Rassegna della letteratura

La letteratura che ha indagato la relazione tra crescita economica, capitale umano e sviluppo sostenibile è, perlopiù, empirica e concentrata sul nesso tra consumo di energia e crescita economica [2]. Il problema è che le variabili risultano cointegrate (esiste, cioè, una relazione di lungo periodo tra consumo di energia e crescita economica), ma la direzione di causa-effetto è, a priori, ambigua. Infatti, alcuni studi hanno evidenziato che il consumo di energia (in particolare di elettricità) è necessario per la crescita economica; mentre altri studi dimostrano che la relazione di causa-effetto va nella direzione opposta, cioè la causa è la crescita economica (l’aumento della produzione), mentre l’effetto è il consumo di energia. Altri studi, infine, rilevano l’esistenza di una doppia direzione di causalità: il consumo di energia è necessario per la crescita della produzione e, allo stesso tempo stesso, la crescita della produzione comporta il consumo di energia (Sharma, 2010; Pablo-Romero e Sánchez-Braza, 2015; Rafindadi e Ozturk, 2017).

L’estensione di questa relazione, anche al capitale umano, è immediata. Il capitale umano e l’energia sono entrambi input della produzione, indipendentemente dalla direzione di causalità. Pertanto, se esiste una sostituibilità tra questi due necessari fattori produttivi, allora un maggior investimento (accumulo) di capitale umano riduce effettivamente il consumo di energia, senza influenzare il livello di produzione realizzato (FarCˇnik and IsteniCˇ, 2020). Questo vale, soprattutto, per le economie orientate ai servizi (cfr. Arbex e Perobelli, 2010). Nei paesi in via di sviluppo, invece, il capitale umano e gli input energetici sono per lo più fattori complementari per la produzione; il che significa che l’aumento del capitale umano è associato ad un aumento del consumo energetico (Salim et al., 2017).

Il nesso tra consumo di energia e capitale umano è stato studiato in letteratura con due approcci metodologici diversi. Il primo approccio considera il consumo energetico (E) un input, al pari del capitale umano (H), della funzione di produzione (Y):

In questo primo approccio, l’analisi si concentra sulla relazione tra consumo energetico e produzione, “controllata” per il capitale umano e, quindi, sulla natura (complementare o sostitutiva) dei due input: consumo energetico e capitale umano (Chen e Fang, 2018).

Nel secondo approccio, invece, il consumo energetico (E) è l’output, che dipende dalla produzione, dal prezzo dell’energia (P), dello stock di capitale fisico (K) e del capitale umano (Salim et al., 2017):

In questo caso, l’attenzione si concentra sulla relazione “diretta” tra consumo energetico e capitale umano.

Per quanto riguarda il primo approccio, i risultati evidenziano una relazione di sostituibilità tra consumo di energia e capitale umano [3]. In particolare, l’investimento in capitale umano (attraverso l’istruzione e la formazione sul posto di lavoro) favorirebbe l’adozione di tecnologie a risparmio energetico che riducono le emissioni inquinanti e rendono la crescita economica più sostenibile. Pertanto, un aumento del capitale umano può ridurre l’uso di energia senza avere effetti negativi sulla produzione (Kim e Heo, 2013; Pablo-Romero e Sánchez-Braza, 2015).

Per quanto riguarda il secondo approccio, invece, i risultati evidenziano una relazione di lungo periodo tra capitale umano e consumo di energia (le variabili sono co-integrate), e la direzione di causa-effetto sembrerebbe essere quella ipotizzata, con segno negativo: l’investimento in capitale umano causa una riduzione nel consumo di energia (Fang e Chang, 2016; Salim et al., 2017; Akram et al., 2019) [4].

In sostanza, entrambi gli approcci sembrerebbero indicare un ruolo importante del capitale umano nella realizzazione di uno sviluppo sostenibile. L’istruzione (il capitale umano generico), in particolare, motiva gli individui ad utilizzare maggiormente l’energia rinnovabile e i beni ad alta efficienza energetica (Mehrara et al., 2015; Pachauri e Jiang, 2008; Broadstock et al., 2016; Ang e Madsen, 2010; Wu, 2012).

Una misura direttamente connessa al degrado ambientale, tuttavia, è quella relativa alle emissioni inquinanti, in particolare di CO2 (uno dei principali responsabili, se non il principale, del cambiamento climatico). Studi recenti mostrano l’esistenza di relazioni di lungo periodo tra la crescita economica, il consumo energetico e le emissioni di CO2 (Wang et al., 2016; FarCˇnik and IsteniCˇ, 2020). Precisamente, la crescita economica causa il consumo di energia e il consumo di energia causa le emissioni di CO2 (Wang et al., 2016). Inoltre, esisterebbe una relazione di lungo periodo anche tra il capitale umano e le emissioni di CO2, dal momento che un maggior investimento in capitale umano riduce le emissioni di CO2, senza diminuire la crescita economica (Bano et al., 2018). Tale relazione è conosciuta con il nome di curva di Kuznets ambientale o “Environmental Kuznets curve” (d’ora in avanti, semplicemente EKC) con capitale umano. La EKC prende il nome dalla curva di Kuznets “originale” (1955) che ipotizzava una relazione prima positiva e poi negativa tra la disuguaglianza di reddito (misurata dall’indice di Gini) e il reddito pro-capite. La EKC ipotizza sempre una relazione a forma di U rovesciata ma tra degrado ambientale e reddito pro-capite. Precisamente, nelle prime fasi dello sviluppo economico, il degrado ambientale (inquinamento) aumenta (a tassi decrescenti); mentre, oltre un certo livello di reddito pro capite, la tendenza si inverte, cioè alti livelli di reddito portano a una riduzione del degrado ambientale (Grossman e Krueger, 1995; Holtz et al., 1995; Selden e Song, 1994). La EKC, inclusiva del ruolo del capitale umano, è stata oggetto di numerose e recenti indagini empiriche, con risultati, però, diversi (si veda, ad esempio, Khan, 2020 e Hanif et al., 2020). Proprio di questa relazione si occuperà il successivo paragrafo.

Crescita economica e sviluppo sostenibile: un modello teorico

In questo paragrafo viene presentato un semplice modello teorico in grado di esprimere una relazione diretta tra degrado ambientale e capitale umano. Si tratta di una versione modificata e semplificata del cosiddetto modello di Solow “verde” (Brook e Taylor, 2010). Brook e Taylor (2010) dimostrano che la EKC e modello di Solow (1956) sono intimamente legati. Precisamente, una volta che il modello di Solow viene modificato per incorporare il progresso tecnologico nell’abbattimento delle emissioni inquinanti, l’EKC è un risultato necessario della convergenza verso un percorso di crescita sostenibile. In questo caso, tuttavia, lo sviluppo tecnologico, compatibile con la sostenibilità ambientale, dipende dal capitale umano.

Le due semplici equazioni del modello sono le seguenti:

La (1) descrive la crescita economica ed è praticamente la funzione di produzione vista nel secondo paragrafo, dove i principali input sono il capitale umano e l’energia (E). In questa semplificata funzione di produzione, non essendoci il capitale fisico, il capitale umano rappresenta, genericamente, il “capitale prodotto dall’uomo” (human-made capital), mentre l’uso di energia riflette il contributo del “capitale naturale” alla produzione.

La (2), descrive lo sviluppo sostenibile inteso come aumento (riduzione) della qualità (del degrado) ambientale ed è la cosiddetta “identità ecologica” (Ehrlich, 1968; Ehrlich and Holdren, 1971); precisamente, le emissioni di CO2 crescono all’aumentare del reddito/prodotto nazionale e si riducono al crescere del progresso tecnologico nel settore ambientale (T). Al fine di tener conto della limitatezza delle risorse naturali, non solo di quelle non rinnovabili ma anche di quelle rinnovabili (nel lungo periodo), si assume dato N=N̅. Per il capitale umano, invece, vale la regola dei rendimenti marginali decrescenti: il reddito/prodotto nazionale aumenta con l’aumentare del capitale umano, ma a tassi sempre più bassi.

Pertanto, il tasso di crescita economica è pari al tasso di crescita del capitale umano. Si tratta di una mera semplificazione di un risultato ben noto in letteratura (cfr., per esempio, Savvides and Stengos, 2008).

Il tasso di crescita delle emissioni inquinanti, invece, è pari alla differenza tra il tasso di crescita economica (il tasso di crescita del capitale umano) ed il tasso di crescita del progresso tecnologico nel settore ambientale.

Introducendo l’ipotesi che il capitale umano accresca la sensibilità ai temi ambientali e, quindi, promuova l’utilizzo di energie alternative e di tecnologie sempre più efficienti ma allo stesso tempo rispettose dell’ambiente, si ottiene che anche T dipende positivamente da H:

Il capitale umano, quindi, risulta necessario sia per la crescita (economica) che per lo sviluppo (sostenibile).

Khan (2020) ipotizza che, superato un certo valore soglia, il capitale umano è in grado di ridurre le emissioni inquinanti. Introducendo questa ulteriore ipotesi, il semplice modello sviluppato è in grado di derivare la EKC (si veda la Figura 1). Inizialmente, la crescita del capitale umano (la crescita economica) aumenta le emissioni inquinanti (di CO2) successivamente, però, superato il valore soglia H=H̅, gli effetti del capitale umano sono in grado di ridurre il degrado ambientale, attraverso la promozione e l’utilizzo di tecnologie sempre più efficienti e rispettose dell’ambiente, senza danneggiare la crescita economica.

Figura 1. EKC – Degrado ambientale e Capitale umano

A prescindere dalla effettiva realisticità del modello, che va sempre verificata empiricamente, un risultato importante emerge comunque, vale a dire: il capitale umano, per sortire i suoi effetti positivi (negativi) sulla qualità (sul degrado) ambientale, deve essere “sufficientemente” elevato. Di conseguenza, per cogliere tale effetto, nelle analisi empiriche andrebbe utilizzata, come misura del capitale umano, gli anni medi “dei più alti” livelli di istruzione formale completati dalla popolazione adulta, piuttosto che, semplicemente, gli anni medi di istruzione (anche l’indice del capitale umano, infatti, si basa sugli anni medi di istruzione: Barro e Lee, 2013; Psacharopoulos et al., 1994).

Analisi empirica

La recente letteratura empirica ha spesso utilizzato i cosiddetti ECM (modelli di correzione degli errori), che consentono di analizzare la relazione tra capitale umano e CO2 sia nel breve che nel lungo periodo (si veda, ad esempio, FarCˇnik and IsteniCˇ, 2020) [5].Tuttavia, per periodi di tempo relativamente limitati (di solito, meno di 25 o 30 anni), i test panel di radice unitaria (panel unit root tests) – come il test di Phillips-Perron e il test “aumentato” di Dickey Fuller (ADF), fondamentali per l’applicazione dei ECM – non sono molto affidabili (Karlsson e Löthgren, 2000; Baltagi, 2005).

Inoltre, la sostenibilità ambientale della crescita, è un tema che riguarda il mondo intero e non può essere limitato ad alcuni gruppi di paesi (come, ad esempio, i 27 stati dell’Unione europea e il Regno Unito in FarCˇnik and IsteniCˇ, 2020) o ad alcune singole realtà (come il Pakistan in Bano et al., 2018).

Pertanto, al fine di verificare la relazione tra capitale umano ed emissioni di CO2 derivata dal modello teorico, vengono raccolti e utilizzati dati relativi a 81 nazioni (62 economie a basso e medio reddito e 19 economie ad alto reddito) per il periodo 2010-2015 [6] .Si tratta di un panel di 486 osservazioni complessive (81 paesi e 6 periodi temporali). La fonte dei dati è la Banca Mondiale (2019).

Sulla base delle due equazioni teoriche (1) e (2), il modello empirico stimato è il seguente:

dove (i sono i paesi, t è il tempo, e αi e δi sono gli “effetti fissi”, in grado di considerare ulteriori variabili specifiche di ogni singolo paese non incluse nell’analisi):

  • yi,t tasso di crescita del prodotto interno lordo reale pro-capite;
  • Ki,t tasso di crescita degli investimenti interni lordi reali (come proxy del capitale fisico, altro importante fattore produttivo);
  • H anni medi dei più alti livelli di istruzione formale completati tra tutte le persone di quindici anni e oltre (come proxy della formazione del capitale umano e della qualità della forza lavoro, inclusa la capacità di utilizzare in modo efficiente le nuove tecnologie);
  • CO2 emissioni di anidride carbonica (misurate in tonnellate metriche pro-capite);
  • E uso di energia (espresso in chilogrammi di petrolio equivalente pro-capite),

e εi,t e ϵi,t sono i termini di errore stocastici.

L’equazione (3) è la versione empirica della funzione di produzione di tipo Cobb-Douglas (spesso utilizzata nelle analisi teoriche); mentre, equazioni simili alla (4) – dove l’attività economica e l’uso di energia sono utilizzate come variabili di controllo nella relazione tra capitale umano ed emissioni di CO2 – sono state utilizzate da Bano et al. (2018) e FarCˇnik and IsteniCˇ (2020).

Le equazioni (3) e (4) sono stimate con modelli a “effetti fissi” (per risparmiare gradi di libertà si utilizza lo stimatore “Within”, che consente di considerare, senza però stimare, gli effetti fissi αi e δi). Il modello a “effetti fissi” ha una proprietà particolarmente utile che lo rende, in generale, preferibile al modello “a effetti casuali”. Infatti, se gli effetti fissi rappresentano anche variabili omesse correlate con le altre variabili esplicative del modello, lo stimatore a effetti fissi rimane consistente, mentre lo stimatore a effetti casuali diventa inconsistente (Judson e Owen, 1999). Nello specifico, il test di Hausman conferma che il modello ad effetti fissi è una specificazione più appropriata rispetto al modello a effetti casuali (Prob > chi2 = 0.021).

La tabella 1 mostra le statistiche descrittive delle variabili incluse nel modello empirico.  

Tabella 1: Statistiche descrittive
VariabileMediaDeviazione standardMinimoMassimo
CO24,93,40,311,2
H7,942,651,112,8
y3,272,03– 0,110,2
k5,804,25– 1,616,3
E1.8901.2576464.721

Le variabili non espresse in logaritmo naturale, vale a dire y e k sono variazioni percentuali (tassi di crescita); pertanto, tutti i coefficienti β e γ presenti nelle equazioni (3) e (4) possono essere considerati delle “elasticità” (variazioni percentuali della variabile dipendente in risposta ad incrementi percentuali dell’1% delle variabili esplicative del modello). In questo modo è possibile testare in modo semplice le due principali ipotesi del modello teorico, vale a dire:

  • Ipotesi 1 (H1) = rendimenti marginali decrescenti del capitale umano nella funzione di produzione (3):

in questo caso si tratta, in realtà, di confermare una ipotesi molto diffusa in letteratura;

  • Ipotesi 2 (H2) = rendimenti marginali crescenti del capitale umano nella identità ecologica (4):

(questa, invece, è l’ipotesi chiave del modello teorico).

La tabella 2 mostra i risultati della stima dei modelli (3) e (4).

Nella (4), la relazione tra emissioni di CO2 e capitale umano – controllata per il consumo di energia e la crescita economica – è negativa e statisticamente significativa (al livello di confidenza dell’1%); ciò significa che l’aumento del capitale umano è in grado di diminuire le emissioni di CO2. Sebbene l’ipotesi (H1) non sia rispettata, l’entità dell’effetto negativo del capitale umano sulle emissioni di CO2 è superiore rispetto ai lavori di Bano et al. (2018) e FarCˇnik and IsteniCˇ (2020). Questo maggiore effetto conferma in parte il risultato principale del modello teorico secondo cui il capitale umano per sortire i suoi effetti positivi sulla qualità ambientale deve essere superiore ad una certa soglia e, quindi, misurato dagli anni medi “dei più alti” livelli di istruzione formale completati, piuttosto che dagli anni medi di istruzione.

Si noti, inoltre, che l’effetto della crescita economica sulle emissioni di CO2 è negativo, statisticamente significativo ma molto basso; mentre, la relazione tra emissioni di CO2 e consumo di energia è significativa e positiva: segnale probabile che il mondo è ancora lontano dall’adozione di tecnologie rispettose dell’ambiente.

Nella (3), infine, è confermata l’ipotesi di rendimenti marginali decrescenti e, inoltre, sembrerebbe supportata anche l’ipotesi di rendimenti di scala costanti (ipotesi spesso utilizzate nei modelli teorici della crescita).

Tabella 2: Risultati dell’Analisi panel, modelli a “effetti fissi”
Variabiliyln(CO2)
ln(H)0,453 (0.000) ***– 0,411 (0,008) ***
ln(E)0,212 (0,000) ***1,102 (0,000) ***
k0,325 (0.000) ***
y– 0,095 (0,000) ***
Osservazioni486486
Numero di paesi8181
Nota: p-values in parentesi, *** significatività all’1%, ** significatività al 5%, * significatività al 10%
Conclusioni

Il capitale umano influenza il modo in cui un’economia produce e consuma.

Nella produzione, un maggiore accumulo di capitale umano può limitare il consumo di risorse naturali (specialmente di quelle non rinnovabili), senza incidere sulla produzione e quindi rendere la crescita più sostenibile. Infatti, una maggiore istruzione accelera l’uso di fonti energetiche alternative e di tecnologie rispettose dell’ambiente. Con la diminuzione del consumo di risorse naturali e con lo sviluppo e l’adozione di nuove tecnologie più pulite ed efficienti, le emissioni inquinanti di CO2 possono essere ridotte.

Per quanto riguarda i consumi, le famiglie più istruite sono più motivate a consumare in modo più sostenibile; ad esempio, evitando gli sprechi alimentari (e, quindi, riducendo i rifiuti), acquistando prodotti locali e di stagione, non comprando carne proveniente da allevamenti intensivi, scegliendo cibi freschi e semplici, evitando prodotti imballati, bevendo acqua del rubinetto (quando è potabile), evitando sprechi ai fornelli e, quindi, riducendo il consumo di energia. Infatti, ad un più elevato livello di capitale umano nell’economia è associata una maggiore sensibilità e attenzione per le questioni ambientali.

In sostanza, quando il capitale umano di una economia è elevato, maggiori risorse economiche (sia umane che fisiche) saranno destinate al progresso tecnologico e all’educazione ambientale.

Tuttavia, lo stretto legame tra sviluppo sostenibile e capitale umano è stato analizzato, in modo approfondito, solo recentemente e con analisi di tipo prevalentemente empirico. Pertanto, in questo capitolo, è stato sviluppato un semplice modello teorico di crescita (economica) e sviluppo (sostenibile) che deriva una relazione diretta tra degrado ambientale e capitale umano. Sotto la condizione che l’elasticità del degrado ambientale rispetto al capitale umano sia negativa e maggiore di uno, si ottiene una “modificata” EKC (con il capitale umano al posto del reddito pro-capite).

Per verificare la relazione ricavata dal modello tra capitale umano ed emissioni di CO2, sono stati utilizzati dati relativi a 62 economie a basso e medio reddito e 19 economie ad alto reddito. La sostenibilità ambientale della crescita, infatti, è un tema che riguarda il mondo intero e non può essere limitato ad alcuni gruppi di paesi o ad alcune singole realtà.

Per questo panel di paesi del mondo, un aumento del capitale umano è in grado di diminuire le emissioni di CO2. Sebbene l’ipotesi principale del modello teorico (che conduce ad una “modificata” EKC) non sia rispettata, viene confermato invece il risultato secondo cui il capitale umano, per sortire i suoi effetti positivi sulla qualità ambientale, deve essere superiore ad una certa soglia.

La principale implicazione di politica economica del lavoro è che un aumento forte del capitale umano, misurato da un livello di istruzione elevato, è essenziale per ottenere una produzione e un consumo sostenibili. Investire in capitale umano e istruzione è, quindi, necessario non solo per la crescita economica ma anche per raggiunger il passo successivo: lo sviluppo sostenibile.

Riferimenti bibliografici

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[1] L’anidride carbonica (CO2) è uno dei principali gas responsabili del cosiddetto “effetto serra”. Le emissioni di CO2 derivano dalla combustione di combustibili fossili (carbone, petrolio, prodotti petroliferi e gas naturale) e dalla fabbricazione di cemento, e comprendono l’anidride carbonica prodotta durante il consumo di combustibili solidi, liquidi e gas e la combustione di gas. Le emissioni di CO2 sono misurate in tonnellate metriche pro-capite.

[2] L’uso dell’energia (espresso in chilogrammi di petrolio equivalente pro-capite) si riferisce all’uso dell’energia “primaria” prima della trasformazione in altri combustibili per uso finale, che è uguale alla produzione interna più le importazioni e le variazioni di stock, meno le esportazioni e i combustibili forniti a navi e aerei impegnati nel trasporto internazionale. L’energia primaria include il petrolio (petrolio greggio, gas liquidi naturali e petrolio da fonti non convenzionali), il gas naturale, i combustibili solidi (carbone, lignite e altri combustibili derivati), le energie rinnovabili e i rifiuti combustibili (biomassa solida e prodotti animali, gas e liquidi da biomassa e rifiuti industriali e urbani) e l’elettricità primaria, tutti convertiti in equivalenti del petrolio. La biomassa è qualsiasi materia vegetale usata direttamente come combustibile o convertita in combustibile, calore o elettricità.

[3] Per i paesi sviluppati, principalmente.

[4] Chen e Fang (2018) trovano che, per alcune città della Cina, la relazione di causa-effetto vada nella direzione opposta e che, per altre città, l’investimento in capitale umano aumenti il consumo di energia.

[5] Un modello di correzione degli errori (ECM – Error Correction Model) è utilizzato quando le variabili hanno una tendenza stocastica comune di lungo periodo, nota anche come “cointegrazione”. Se le variabili sono cointegrate (sono integrate dello stesso ordine, solitamente di ordine uno), allora tramite un ECM è possibile stimare sia gli effetti di breve periodo che gli effetti di lungo periodo di una variabile su un’altra. Una alternativa è rappresentata dal modello ARDL (AutoRegressive Distributed Lag model) che include come regressori i “ritardi” sia della variabile dipendente sia delle variabili esplicative. È un metodo applicabile sia a serie temporali non stazionarie sia a serie temporali con ordine di integrazione misto.

[6] Economie a basso reddito (18): Armenia, Bangladesh, Cambogia, India, Indonesia, Kenya, Repubblica del Kirghizistan, Mali, Moldavia, Mozambico, Nepal, Pakistan, Senegal, Sudan, Tanzania, Uganda, Ucraina, Vietnam. Economie a reddito medio-basso (25): Albania, Bolivia, Bulgaria, Cina, Colombia, Repubblica Dominicana, Egitto, El Salvador, Guatemala, Iran, Giordania, Kazakistan, Lituania, Marocco, Namibia, Paraguay, Perù, Filippine, Romania, Federazione Russa, Sri Lanka, Swaziland, Siria, Thailandia, Tunisia. Economie a reddito medio-alto (19): Argentina, Brasile, Cile, Costa Rica, Croazia, Repubblica Ceca, Gabon, Ungheria, Malaysia, Mauritius, Messico, Panama, Polonia, Repubblica Slovacca, Sud Africa, Corea del Sud, Turchia, Uruguay, Venezuela. Economie ad alto reddito (19): Australia, Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Slovenia, Spagna, Regno Unito, Stati Uniti. Il campione è limitato alle economie nazionali per le quali è stato possibile raccogliere una serie completa di dati.

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