Il detto e il non detto di Blanchard

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Political and social notes

Olivier Blanchard, capo economista del Fondo Monetario, ha affidato ad un blog le sue considerazioni sulla crisi greca e la difesa dell’operato della sua istituzione. Si tratta di una lettura interessante che affronta con una qual certa onestà alcune delle critiche più comuni all’operato del Fondo Monetario Internazionale. Non è però convincente. Vediamo perché.

La prima critica cui risponde Blanchard è sull’eccessivo aggiustamento fiscale. La risposta è che il deficit greco era molto elevato prima dell’intervento di salvataggio (bail out) e che se questo non ci fosse stato, l’austerity sarebbe stata ben più severa. Non ci sono dubbi a questo proposito. Il punto però è un altro. Tra il default totale e l’austerity imposta dal bail out c’erano molte variazioni di grigio. In fondo, lo stesso Blanchard, in un punto successivo, ammette che il moltiplicatore su cui si sono basate le stime fatte per l’austerity era sbagliato – dunque anche ex ante, e non solo ex post, ci potevano essere alternative (sarebbe inutile, altrimenti, parlare di errori nella valutazione dell’impatto dei tagli, se quella era l’unica via). Ci viene detto, giustamente, che c’era un problema politico: meno austerity avrebbe voluto dire più soldi sborsati dai paesi creditori. Il punto è proprio questo: quei limiti politici non sono stati neppure esplorati, mentre il limite politico e sociale dell’austerity sui cittadini greci è stato completamente ignorato. Trattasi dunque di una forzatura geo-politica, in cui i più forti decidono e i più deboli subiscono, nulla a che fare con un sound economic plan.

La seconda critica a cui risponde Blanchard è quella secondo cui i soldi del bail out siano stati usati per pagare le banche franco-tedesche, come per altro indicato dall’ex capo della Bundesbank Otto Pohl. Blanchard non nega il fatto, ma aggiunge che non solo i creditori stranieri ma anche quelli domestici sono stati in questa maniera salvati – bontà della Troika…glissando velocemente sul fatto che comunque i creditori domestici erano solo un terzo del totale. Inoltre, ci dice l’economista francese, i creditori hanno comunque subito perdite e gli interessi pagati dalla Grecia sono proporzionalmente inferiori a quelli di altri paesi con problemi di debito pubblico. Anche in questo caso, è una posizione di buon senso, che però non tiene in conto le possibili alternative. Se il debito greco è tuttora insostenibile, come dice lo stesso Fondo, lo “sconto sul debito” (haircut), evidentemente, non è stato sufficiente. Non solo, Blanchard ammette che si è voluto procrastinare la ristrutturazione del debito – e partire col primo bail out – col chiaro obiettivo di salvare le banche nord-europee, temendo un rischio contagio. Ma, come suggerisce Ahoka Mody, perché’ non si è presa in considerazione l’ipotesi che quelle banche a rischio fossero ricapitalizzate dai loro governi, invece che attraverso il salasso dei cittadini greci? Il che riporta nuovamente a considerazioni di carattere politico – salvare le banche franco-tedesche e con essere l’euro, e limitare al massimo le perdite dei creditori, un piano che, se vogliamo, ha senso per gli stati coinvolti ma molto meno per il Fondo che si sarebbe dovuto occupare della sostenibilità economica del bail out.

In terzo luogo Blanchard, come già fatto precedentemente, ammette che i conti dell’austerity erano totalmente sbagliati. Ne minimizza però l’impatto e si concentra sulla mancanza di riforme. Ci sono alcuni dati che non possono però essere taciuti: secondo uno studio OECD la Grecia si era attivata per fare molte riforme, e le era stato così riconosciuto fino all’anno scorso; lo stesso Fondo ha spiegato che le riforme strutturali non hanno impatto immediato – e non possono dunque essere causa del crollo del PIL; mentre da parte greca, Syriza non ha mai contestato la necessità di riforme e ha proposto di lavorare con OECD e ILO per modernizzare mercati produttivi e del lavoro – richieste bocciate dalla Troika; nuovamente, come racconta Varoufakis, la stessa Troika si è rifiutata di dare il benestare anche sulle riforme su cui c’era accordo, pretendendo invece un piano complessivo. Per di più, molti dei problemi elencati da Blanchard – crisi politica;  rischio Grexit; e poca fiducia dei mercati – sono da far risalire all’impatto disastroso dell’austerity sull’economia reale. Non basta, inoltre, ammettere di aver sbagliato: se i creditori hanno imposto ricette economiche deleterie per la Grecia, assumersi la responsabilità di quegli errori vuol dire anche contribuire a ripararli – ad esempio il debito aggiuntivo causato dalla stessa austerity sembrerebbe odioso ed inesigibile.

Infine Blanchard sostiene che il problema corrente è, nuovamente, un problema politico, un trade-off tra austerity e taglio del debito (debt relief). Ancora una volta insiste sui limiti politici della seconda opzione, a cui si oppongono la maggior parte dei governi dell’Eurozona. Anche qui, non si può non essere d’accordo. Per Blanchard il ruolo del Fondo non è suggerire una specifica soluzione – più o meno austerity, più o meno cancellazione del debito – ma di indicare i diversi scenari. Cade però in contraddizione con se stesso e con quanto fatto dal Fondo in questi mesi. E’ vero che l’IMF ha espressamente detto di essere favorevole ad un nuovo haircut, ma le analisi di sostenibilità del debito son sempre uscite fuori tempo massimo e mai prese in considerazione durante i colloqui tra le parti. Anali che, non incidentalmente, erano esattamente quelle sostenute da Syriza e che negano in nuce le richieste dell’Eurogruppo. Per mesi il Fondo ha sostenuto le richieste di maggiore austerity – cosa per altro in cui Blanchard si dice in pieno accordo con le richieste dei partner europei – mentre non sembra che, fino a pochi giorni fa, ci fosse uguale insistenza verso l’Eurogruppo. Il compito del Fondo non è solo indicare i trade-off tra le varie opzioni – cosa che comunque si è ben guardato da fare, sostenendo una parte in causa – ma indicare la strada giusta e percorribile. Al di là dei limiti politici, che sembra valgano sempre e solo per una delle due controparti.

Blanchard dunque dice e non dice. Ripete spesso che ci sono limiti politici, ma pare che questi siano sempre riferiti ai creditori e mai all’altra parte, dove anzi sembra che la sovranità popolare non sia neanche presa in considerazione. Non sorprende, dunque, che lo stesso Blanchard non risponda alla critica più dura mossa al Fondo in questi giorni, e cioè essere stato al servizio di un progetto politico, e più precisamente di aver contribuito a salvare l’Eurozona, invece di insistere su un piano di salvataggio della Grecia. Salvo poi denunciare, su chiara pressione americana, l’inadeguatezza del nuovo piano di salvataggio, anche se a giochi ormai fatti. Il Fondo si propone come istituzione tecnocratica ma sembra invece schiava degli interessi geo-politici dei propri donors. E dunque non certo nella posizione di poter dare lezioni ad alcuno.

*DPhil., Visiting Fellow, Munk School of Global Affairs, University of Toronto

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