Le Cooperative per il reinserimento sociale. La Valle del Bonamico

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Il progetto Potamòs, avviato in diverse aree della Calabria tra cui la Locride, la piana di Gioia Tauro e l’Aspromonte, ha offerto un nuovo modello di reinserimento sociale ed economico per ex-detenuti e le loro famiglie, basato sull’imprenditorialità. Gestito dalla cooperativa Valle del Bonamico A.r.l., il progetto si è ispirato all’esperienza agricola della cooperativa, focalizzandosi sulla coltivazione in serra e sulla produzione vinicola. L’obiettivo principale era contrastare il sottosviluppo e il disagio sociale in queste aree, promuovendo solidarietà e fiducia nella comunità. Inizialmente dedicata alla pastorizia, la cooperativa ha ampliato le attività con la coltivazione di fragole e altri piccoli frutti nella Locride, sfruttando il clima favorevole della regione, e con l’allevamento del suino nero d’Aspromonte, una razza locale di valore culinario. Questo studio analizza il contributo storico del progetto Potamòs, evidenziando la sua integrazione economica, sociale e formativa nonostante le sfide imposte dalla criminalità organizzata. L’approccio combinato della cooperativa nel settore frutticolo, vitivinicolo e nell’allevamento ha fornito alternative economiche legittime e sostenibili in un’area tradizionalmente influenzata dalla criminalità.

Introduzione

«[…] Il lavoro e l’impresa sono gli strumenti utilizzati, nella cooperativa, per far uscire la Calabria dal suo sottosviluppo e malessere sociale, mentre la solidarietà e la fiducia come prassi quotidiana di vita, sono praticati, nella cooperativa. come antidoti per liberarsi dalle doloranti ferite sociali procurate da individualismi e chiusure familistiche. Oltre i contenuti etico-politici, la cooperativa promuove gli strumenti tecnico-professionali perché i suoi operatori possano affrontare positivamente le mutevoli e crescenti sfide del mercato globalizzato. Emblematicamente diciamo: i pastori di San Luca e di Platì, le cui tradizioni di allevamento si perdono nei secoli, possono riemergere dalle sinistre ombre della cronaca, lavorando con attenta previsione di mercato e con tecnologie adeguate […]»[1].

1. Alcune definizioni: azienda e le sue peculiarità

Il Codice civile definisce l’azienda come «[…] il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa»[2]. Senza entrare nel merito della dottrina e delle varie definizioni elaborate dai più grandi studiosi dell’azienda e dell’economia aziendale, ma soprattutto senza ripercorre le loro prospettive di osservazione, si può definire l’azienda come una organizzazione economica di persone e di beni, finalizzata alla produzione di beni e servizi, destinati al soddisfacimento, diretto o indiretto, dei bisogni umani. Gli elementi che costituiscono l’azienda sono rappresentati essenzialmente dal capitale, dal lavoro e dalla loro coordinazione sistematica, continua e organizzata nel tempo.

La più elementare classificazione dell’azienda si basa sulla distinzione tra attività economica, attività di produzione e attività di consumo. Si possono avere aziende di produzione per lo scambio, altrimenti dette imprese, e aziende di erogazione o di consumo. Altra rilevante suddivisione è quella effettuata in funzione della natura dei soggetti promotori, esistono, infatti, aziende pubbliche e aziende private. Alla luce di questa breve premessa e perseguendo la finalità del presente studio, ci si concentra sulle aziende di erogazione privata, ovvero di puro consumo. Le aziende di questo genere includono famiglie, corporazioni o associazioni e fondazioni private. Le corporazioni o associazioni, in particolare, sono gruppi di individui che si propongono di perseguire obiettivi di natura religiosa, educativa o di altro genere, senza fini di lucro[3]. In linea generale, le aziende senza fini di lucro sono definite not for profit o più comunemente non profit, con cui si intende la categoria del terzo settore, costituito da cooperative sociali, dalle associazioni di promozione sociale (aps), dalle associazioni di volontariato, dalle organizzazioni non governative (ONG), e tutti  gli enti che hanno come attività l’assistenza sociale e socio-sanitaria, beneficienza, istruzione, formazione, sport, tutela e promozione dell’ambiente, della cultura dell’arte, ricerca scientifica di particolare interesse sociale[4] (Bronzetti, 2010).

Con riferimento all’organizzazione, si può certamente asserire che nelle aziende di erogazione privata le risorse umane assumono un ruolo centrale. Ciò è dovuto a diversi fattori. Innanzitutto, si tratta di aziende di servizio nonché aziende labour-intensive che sono calate in un contesto culturale dove prevalgono la solidarietà e l’altruismo. Inoltre, la motivazione etica è alla base del loro operato e ciò permette di avvalersi dell’impegno gratuito dei volontari. Coesistono, però, altri interessi corrispondenti a diversi stakeholders, ovvero: soggetto promotore costituito dal nucleo che governa l’azienda stessa; clienti sia impliciti che espliciti; collaboratori, retribuiti e volontari; tutti gli altri interlocutori da cui l’azienda riceve risorse finanziarie, umane e naturali; i soggetti che erogano contributi all’azienda. Nelle aziende di erogazione manca la categoria degli stakeholders istituzionali, che può essere individuata nella proprietà. Vi è il vincolo, infatti, della non distribuzione di utili e l’impossibilità di trasferire la propria quota associativa/partecipazione, che fa sì che gli interessi dei soggetti promotori siano ricondotti a quelli relativi al mantenimento del controllo, direzione e gestione aziendale. In riferimento a quest’ultimo concetto, facendo riferimento all’approvvigionamento di mezzi monetari, le fonti di finanziamento dell’azienda di erogazione privata sono finanziamenti pubblici, sottoforma di sovvenzioni/contributi, convenzioni per lo svolgimento di attività di pubblico interesse, agevolazioni fiscali, finanziamenti comunitari, contributi liberali, donazioni private, quote associative, contributi delle fondazioni di origine bancaria, strumenti di finanza etica e strumenti finanziari tradizionali. Si presta particolare attenzione alla gestione delle risorse finanziarie poiché il loro reperimento costituisce una sfida. Vi sono infatti fattori critici come la difficoltà nell’accesso alle forme tradizionali di finanziamento e ostacoli culturali derivanti dalla carenza di professionalità e ruoli specifici. Questa premessa è necessaria per comprendere le dinamiche operative del caso che sarà presentato successivamente.

2. Il progetto Potamos

Il progetto Potamos[5], attivo in Calabria, ha ideato percorsi per aiutare ex-detenuti e le loro famiglie a reintegrarsi nella società[6]. Questi percorsi si concentrano sul coinvolgimento continuo degli individui in attività imprenditoriali, favorendo così il loro recupero sociale[7].

Il programma[8] ebbe la sua origine nelle aree della Locride, della piana di Gioia Tauro e del versante reggino dell’Aspromonte[9]. L’iniziativa si inserì in un contesto territoriale ben definito, affrontando le esigenze e le opportunità di sviluppo peculiari di quel territorio.

La cooperativa “Valle del Bonamico A.r.l.”[10] è stata incaricata di guidare il progetto “Potamos”. In quel periodo, il responsabile della cooperativa era Pietro Schirripa[11].

Fondata nell’ottobre del 1995, aveva già accumulato un’esperienza significativa nel settore agricolo, concentrando le sue attività nelle coltivazioni in serra e nella produzione di vino. La sua abilità nell’animare e valorizzare il territorio le permise di assumere un ruolo fondamentale sia nella produzione agricola che nello sviluppo sociale.

Nello specifico, l’intento della cooperativa era stato quello di utilizzare il lavoro e l’impresa come strumenti per contrastare il sottosviluppo e il disagio sociale nel territorio, promuovendo contemporaneamente valori di solidarietà e fiducia per superare le problematiche legate a individualismi e chiusure familistiche.

Inizialmente, la cooperativa aveva focalizzato le sue attività sulla pastorizia. Successivamente, era entrata nel settore della coltivazione di fragole e piccoli frutti di bosco nell’area della Locride. Questa iniziativa, nata quasi come un esperimento, si era poi ampliata, occupando vaste aree agricole e creando numerosi posti di lavoro. Le condizioni climatiche dell’Aspromonte hanno favorito la crescita di queste colture. Di conseguenza, la cooperativa era riuscita a produrre notevoli quantità di lamponi, ribes e more[12], che venivano conferiti alla cooperativa Sant’Orsola di Pergine Valsugana in Trentino[13].

Più recentemente, la cooperativa aveva iniziato l’allevamento del suino nero d’Aspromonte, una razza che stava rischiando l’estinzione[14] ma che era stata valorizzata per le sue eccezionali qualità culinarie, diventando un elemento distintivo nel mercato dei prodotti di qualità[15].

Durante il programma “Potamos”, la cooperativa “Valle del Bonamico” collaborò con diversi partner. Tra di essi, l’Associazione “Romea”, fondata nel 2003, si distinse per la sua esperienza nella formazione, nell’orientamento e nell’aggiornamento didattico e professionale, nonché nella gestione di progetti finanziati da iniziative comunitarie. Un altro partner chiave fu l'”Ente Tertium”, un centro di formazione e orientamento incluso in una rete nazionale, attivo nello sviluppo del Sud Italia.

Un contributo significativo fu offerto anche da «Cosis S.p.A.» (Compagnia Sviluppo Imprese Sociali)[16], una S.p.A. senza fini di lucro che supportava e sosteneva la nascita, lo sviluppo e il consolidamento dell’imprenditoria sociale in Italia, attraverso l’impiego di strumenti finanziari specializzati.

Grazie a una vasta rete di collaborazione, il progetto Potamos ha affrontato con successo le sfide dello sviluppo territoriale e sociale, creando un modello di cooperazione efficace tra varie entità. L’integrazione delle competenze e delle risorse di queste organizzazioni ha favorito un approccio completo allo sviluppo, unendo aspetti socioeconomici e formativi per generare un impatto positivo e duraturo sulla regione calabrese.

Come previsto, il progetto aveva adottato un criterio già collaudato con successo dalla cooperativa “Valle del Bonamico” nel settore della produzione di frutta, estendendolo alla viticoltura e all’allevamento del maiale nero in libertà[17]. Questa strategia era stata implementata nel contesto specifico della Locride, con l’obiettivo di stabilire imprese “sane”, capaci di fungere da catalizzatori per lo sviluppo economico e l’integrazione sociale in un’area notevolmente influenzata dalla presenza di organizzazioni criminali[18].

Per fornire un supporto ottimale ai nuovi imprenditori, era stato istituito un centro servizi dedicato. Questa struttura aveva avuto il compito di assistere gli imprenditori in tutte le fasi di sviluppo della loro impresa, dalla fase concettuale alla realizzazione pratica. Le attività includevano, inoltre, l’aiuto nella formulazione dell’idea progettuale, la conduzione di studi di fattibilità e il supporto nella ricerca di finanziamenti. Questo approccio integrato aveva mirato a garantire che i nuovi imprenditori avessero accesso a tutte le risorse necessarie per trasformare le loro idee in imprese sostenibili e di successo, superando le sfide tipiche del processo di creazione d’impresa.

Nel corso degli ultimi due lustri, ormai conclusi, il centro aveva svolto un ruolo cruciale, concentrando le sue iniziative su azioni tecnicamente specifiche, come la commercializzazione di prodotti e l’espansione della propria quota di mercato. Questa struttura si era distintamente rivolta agli ex-detenuti e ai loro familiari, impiegando un approccio integrato basato su ricerca, orientamento, consulenza e formazione.

La fase della ricerca aveva permesso al centro di comprendere meglio le esigenze del mercato e di identificare le opportunità più pertinenti per il proprio target. L’orientamento aveva avuto come obiettivo quello di guidare gli ex-detenuti e i loro familiari verso scelte imprenditoriali efficaci e sostenibili. La consulenza aveva fornito un supporto pratico per lo sviluppo e la gestione delle loro iniziative imprenditoriali. Infine, la formazione aveva offerto le competenze necessarie per navigare con successo nel mondo degli affari.

Questo programma, ormai concluso, aveva contribuito non solo alla reintegrazione sociale degli ex-detenuti, ma anche al rafforzamento dell’economia locale, creando un modello positivo di recupero e reinserimento attraverso l’imprenditorialità.

3. Contesto di riferimento

Nel progetto, gli operatori hanno offerto servizi essenziali per sostenere gli imprenditori emergenti. Questi includevano orientamento sul mercato e sui tipi di aziende, aiutando a navigare nel mondo economico e a scegliere la migliore struttura aziendale. Inoltre, è stato fornito un costante aggiornamento professionale per mantenere gli imprenditori al passo con le evoluzioni del settore e le competenze necessarie per rimanere competitivi.

Nell’ambito della responsabilità aziendale e amministrativa, gli operatori avevano reso disponibili informazioni cruciali, assistendo gli imprenditori nella comprensione degli oneri previdenziali e delle normative vigenti, aspetti fondamentali per garantire la conformità legale delle imprese. Questo servizio aveva svolto un ruolo vitale nel fornire una struttura solida su cui gli imprenditori potevano costruire le loro attività, evitando errori legali e amministrativi che avrebbero potuto compromettere il loro successo a lungo termine.

In aggiunta, era stata offerta consulenza fiscale e del lavoro, un aspetto critico per la gestione efficiente e conforme delle risorse finanziarie e umane all’interno dell’impresa. Questo tipo di consulenza aveva incluso assistenza nella gestione delle tasse, nella pianificazione finanziaria, e nel rispetto delle normative relative al lavoro, contribuendo a creare un ambiente lavorativo equo e legale.

Questi servizi, forniti nel passato, avevano rappresentato un insieme complesso e multidimensionale di strumenti a supporto degli imprenditori, rivelandosi essenziali per la loro crescita e consolidamento nel contesto economico in cui operavano.

Nel corso degli anni, le cooperative hanno dovuto affrontare gravi sfide a causa delle intimidazioni perpetrate dalla ‘ndrangheta. Purtroppo, a partire dal 2006[19], si sono verificati diversi episodi di minaccia che hanno inflitto danni considerevoli alle attività produttive[20]. Questi eventi non solo mettono a rischio la sicurezza delle cooperative, ma rappresentano anche un serio ostacolo al loro sviluppo e alla loro contribuzione all’economia locale. La costante presenza di minacce dimostra la necessità di adottare misure concrete per contrastare e prevenire tali fenomeni criminali, al fine di proteggere il tessuto economico e sociale delle comunità coinvolte.

4. Finalità del progetto

Il progetto Potamòs, intrapreso in un contesto socioculturale complesso[21], aveva perseguito l’obiettivo di mitigare gli svantaggi sociali inerenti alla condizione degli ex detenuti. In tale iniziativa, fu cruciale la dimostrazione dei benefici intrinseci alla cultura della legalità, in netto contrasto con la tendenza a mitizzare la cultura della criminalità predominante nell’ambiente di riferimento.

Questa azione si basò su un approccio multidisciplinare, volto a esplorare e a rafforzare la percezione e l’accettazione della legalità come fondamento per una società più equa e funzionale. L’obiettivo fu quello di generare una trasformazione culturale, in cui la legalità non fosse vista soltanto come un insieme di norme da rispettare, ma come un valore intrinseco, capace di contribuire allo sviluppo e al benessere della comunità.

Il progetto Potamòs, quindi, non si limitò alla semplice reintegrazione sociale degli ex detenuti, ma mirò a una ristrutturazione più ampia del tessuto sociale in cui essi erano inseriti. Ciò includeva l’educazione alla legalità, la promozione di modelli di comportamento etico e responsabile e la valorizzazione di percorsi di vita alternativi alla criminalità[22].

Questa iniziativa, dunque, si profilò non solo come intervento a favore di un gruppo specifico, ma come un catalizzatore di cambiamento a livello più ampio, con potenziali ripercussioni positive sia sul sistema sociale locale che su quello nazionale. Attraverso questo percorso, il progetto Potamòs aspirò a instaurare un circolo virtuoso di riconoscimento e valorizzazione della legalità, contribuendo così alla costruzione di una società più giusta e integrata.

Il progetto, nel suo sviluppo storico, si era focalizzato sulla risoluzione delle problematiche legate alla discriminazione e all’esclusione dei detenuti, ex detenuti e loro familiari dal contesto lavorativo. La strategia adottata aveva intrapreso un duplice percorso: da un lato, l’attuazione di una campagna di sensibilizzazione socioculturale, dall’altro, la creazione di un centro servizi dedicato che avrebbe operato come un faro guida, accompagnando e assistendo i beneficiari nelle scelte e nell’implementazione delle loro attività lavorative.

Nel corso del suo operato, questo centro aveva fornito una formazione specializzata, progettata per dotare i beneficiari delle competenze necessarie a qualificarsi in maniera specialistica. Questo processo formativo non solo aveva incrementato le loro abilità e conoscenze, ma aveva anche facilitato l’avvio di imprese autonome da parte dei beneficiari. Il fine ultimo di questa iniziativa era stato quello di agevolare l’integrazione di questi individui nel mercato del lavoro, promuovendo così un’inclusione lavorativa efficace e sostenibile.

La portata e l’efficacia di questo progetto erano state significative, in quanto avevano non solo fornito opportunità concrete di impiego e sviluppo personale per il gruppo target, ma avevano anche contribuito a ridefinire le percezioni sociali riguardo la reintegrazione di individui marginalizzati, in particolare detenuti e ex detenuti, nel tessuto produttivo e sociale. In questo modo, il progetto aveva svolto un ruolo cruciale nel contrastare gli stereotipi e le barriere culturali, favorendo un cambiamento di paradigma nella percezione della reintegrazione lavorativa di individui precedentemente incarcerati.

Nel quadro storico del progetto, l’obiettivo primario che si era delineato era quello di arginare le discriminazioni a cui era esposto il gruppo target, caratterizzato da individui socialmente vulnerabili e con limitate prospettive occupazionali. L’intervento era stato strutturato attraverso un processo di formazione, orientamento e promozione dell’imprenditorialità. In questo contesto, il gruppo bersaglio, una volta formatosi, si era trasformato in un agente economico salubre, acquisendo le competenze e le capacità necessarie per fungere da deterrente alla criminalità e agire come catalizzatore di una nuova e robusta economia legata al proprio territorio di origine.

Il trasformare queste persone in una risorsa economica efficace ha aiutato il loro reinserimento nella società, riducendo il rischio di tornare alla criminalità. Questo cambiamento non solo ha avuto un impatto positivo sugli individui coinvolti, ma ha anche contribuito a creare un modello economico e sociale sostenibile, che valorizza le persone e rafforza le comunità locali.

5. Modello Innovativo di business

Nel complesso, il progetto ha svolto un ruolo cruciale nel favorire un’integrazione sociale efficace e duratura. Ha dimostrato che investire nella formazione e nell’imprenditorialità può essere un potente strumento contro la marginalizzazione sociale e la criminalità, promuovendo così lo sviluppo di una società più equa e resistente.

In passato, il progetto ha adottato un approccio innovativo che combinava ricerca, consulenza e formazione. L’obiettivo era realizzare attività mirate per raggiungere traguardi intermedi che avrebbero facilitato il conseguimento dell’obiettivo finale.

Un ruolo fondamentale in questo processo era stato rivestito dagli esiti del percorso formativo e dai risultati emergenti dalla ricerca. Questi ultimi, in particolare, avevano assunto un’importanza critica, fungendo da fondamento per il centro di orientamento, considerato il fulcro dinamico del progetto. Attraverso questa infrastruttura, che forniva orientamento e supporto nell’acquisizione di competenze specifiche, i beneficiari del programma erano stati guidati verso percorsi ottimali per il loro inserimento nel mercato del lavoro.

Tale iniziativa aveva previsto un’interazione sinergica tra i diversi aspetti del progetto: la ricerca forniva dati e analisi cruciali per orientare le strategie formative; la consulenza e la formazione contribuivano allo sviluppo di competenze e capacità professionali; e il centro di orientamento agiva come un catalizzatore per l’impiego efficace di queste risorse nel contesto lavorativo. In questo modo, il progetto aveva mirato a creare un ciclo virtuoso che non solo migliorava le prospettive occupazionali dei partecipanti, ma contribuiva anche a modellare un mercato del lavoro più inclusivo e dinamico.

Nelle prime fasi del progetto, l’obiettivo era influenzare non solo l’area geografica specifica coinvolta, ma anche altre regioni e settori economici. Questo è stato realizzato attraverso un processo di mainstreaming sia orizzontale che verticale, che ha esteso e applicato il modello sperimentato nella regione di partenza ad altre aree. Con la conclusione dell’intervento, si erano consolidate nuove competenze specialistiche, intrinsecamente legate alle risorse e alle peculiarità del territorio di appartenenza. I beneficiari, assistiti dal centro servizi, avevano avuto l’opportunità di fondare consorzi e cooperative autogestite. Questo processo di reinserimento sociale aveva innescato un cambiamento sostanziale negli atteggiamenti e nei comportamenti dei beneficiari. L’importanza del percorso di legalità era stata fortemente enfatizzata, promuovendo l’internalizzazione di questi valori.

Inoltre, la creazione di nuove figure professionali attraverso un forum dedicato aveva contribuito significativamente al miglioramento dell’economia del territorio coinvolto. L’intera iniziativa aveva pertanto trascinato una trasformazione non solo a livello individuale dei partecipanti, ma anche a livello socioeconomico più ampio, indicando un impatto positivo e duraturo del progetto su più livelli.

6. Metodologie e tattiche di intervento strategico

Il progetto Potamos, nell’ambito delle sue finalità, si era prefissato di elaborare itinerari di riabilitazione sociale rivolti a ex detenuti e ai loro familiari. Questa iniziativa si era articolata in due distinte fasi storiche.

Inizialmente, si era dedicata alla realizzazione di un corso di formazione denominato “Agricoltura, Innovazione e Cooperazione Sociale”, atto a fornire competenze e conoscenze aggiornate in un contesto agricolo moderno, con un forte accento sulla dimensione sociale e cooperativa. Successivamente, il progetto aveva preso la forma dello sviluppo delle operazioni del Centro Servizi “Potamos”. Quest’ultimo era stato concepito come uno sportello di assistenza, rivolto a coloro che necessitavano di orientamento e sostegno nel processo di reinserimento nella società e nel tessuto lavorativo.

La visione centrale del progetto si era radicata nell’impiego di un modello già efficacemente verificato attraverso l’esperienza della Cooperativa Valle del Bonamico. Questa metodologia, originariamente applicata alla produzione di piccoli frutti, era stata estesa per includere anche la coltura vitivinicola e l’allevamento del maiale nero in condizioni di semilibertà. Un elemento significativo di questo programma era stato il coinvolgimento di circa quindici ex detenuti, i quali avevano completato il loro periodo di detenzione, esteso per oltre un decennio. Questi individui, attraverso la partecipazione al corso di formazione, avevano avuto l’opportunità di acquisire competenze e conoscenze specifiche in questi settori agricoli, facilitando così il loro processo di reinserimento sociale e professionale.

All’interno del progetto, la dimensione transnazionale è stata evidente grazie alla collaborazione tra partner provenienti da diversi paesi europei: Francia, Lituania, Polonia e Slovacchia. La cooperazione transnazionale si è concentrata sulla condivisione e lo scambio di conoscenze e competenze, specialmente per quanto riguarda la gestione di progetti europei. Durante ogni incontro del Comitato di Pilotaggio, un periodo significativo è stato dedicato alla formazione dei manager. Queste sessioni, organizzate a turno dai vari partner, non solo si sono concentrate sugli aspetti tecnici e gestionali, ma hanno anche incluso elementi culturali specifici di ciascuna area geografica partner. Un altro aspetto importante dell’attività transnazionale riguardava la comprensione e la condivisione delle esperienze e delle strategie nel campo dell’orientamento e della consulenza professionale. Questo scambio di pratiche e approcci mirava ad arricchire reciprocamente i modelli operativi dei diversi paesi coinvolti. Inoltre, si è data priorità allo studio e alla pianificazione di una strategia e una metodologia comuni di orientamento a livello europeo, con l’obiettivo specifico di contrastare la disoccupazione. Infine, il progetto aveva incluso la strutturazione di nuovi percorsi formativi per i formatori e i tutor operanti nel campo della formazione professionale e della consulenza. Quest’ultimo aspetto aveva avuto un’importanza cruciale, poiché si era concentrato sull’innovazione e sul miglioramento delle competenze dei professionisti coinvolti, aspetti fondamentali per garantire l’efficacia e la sostenibilità a lungo termine delle azioni intraprese. La focalizzazione sul bilancio delle competenze era stata un elemento distintivo, poiché aveva permesso di valutare e ottimizzare le capacità e le conoscenze sia a livello individuale che collettivo.

Nel contesto del progetto, l’approccio “Work Practice” era emerso come modello innovativo, focalizzandosi sul recupero sociale di ex detenuti e dei loro familiari tramite l’impegno imprenditoriale. Tale approccio era stato ispirato e modellato dall’esperienza pregressa della cooperativa nella produzione di piccoli frutti, estendendo la sua applicazione alla viticultura e all’allevamento del maiale nero allo stato brado.

La visione strategica di questo modello era stata quella di creare imprese “sane” che fungessero da catalizzatori per lo sviluppo e l’integrazione nel tessuto sociale e economico locale. Il progetto aveva riconosciuto l’importanza di fornire un supporto concreto e efficace ai nuovi imprenditori, soprattutto in una fase iniziale e cruciale del loro percorso.

Per facilitare questo processo, si era pensato alla creazione di un centro servizi dedicato. Questo centro aveva il compito di assistere gli ex detenuti e i loro familiari in tutte le fasi di sviluppo della loro attività imprenditoriale. Il supporto offerto spaziava dall’elaborazione dell’idea progettuale, allo studio di fattibilità, alla ricerca di finanziamenti, fino alla concreta realizzazione dell’impresa. Inoltre, il centro servizi aveva proseguito il suo supporto anche nelle fasi successive, focalizzandosi su aspetti più tecnici come la commercializzazione dei prodotti e l’acquisizione di quote di mercato.

Questo approccio integrato e supportato aveva significato un passo avanti nel campo del recupero sociale, non solo fornendo agli ex detenuti le competenze e le risorse necessarie per avviare un’attività imprenditoriale, ma anche contribuendo a un cambiamento di percezione nella società, mostrando come gli ex detenuti potessero diventare membri produttivi e integrati della comunità. Il modello “Work Practice” aveva quindi rappresentato un esempio significativo di come il reinserimento sociale potesse essere facilitato attraverso l’imprenditorialità, con un impatto positivo sia sugli individui coinvolti sia sulla comunità più ampia.

7. Analisi retrospettiva sulla dissoluzione della cooperativa Valle del Bonamico

La Cooperativa Valle del Bonamico, nata a San Luca con il patrocinio di Monsignor Giancarlo Bregantini, allora Vescovo di Locri, ha concluso la sua attività dopo due decenni[23]. Fondata per favorire l’occupazione nel settore agricolo, specialmente nella coltivazione di piccoli frutti, e per promuovere uno stile di vita legale tra i giovani, la cooperativa ha ampliato le sue attività nel tempo. Queste includevano progetti di inclusione sociale come Potamos, finanziato dall’Unione Europea, dalla Prefettura e dal Ministero della Giustizia. Potamos è stato riconosciuto per i suoi risultati nell’agricoltura dall’OCSE.

Una collaborazione significativa è stata instaurata con la cooperativa Trentina Sant’Orsola, specialmente nelle prime fasi di promozione, formazione e commercializzazione. Questa collaborazione ha creato un modello di reciprocità e costruzione del bene comune, basato su una collaborazione proficua e privo di competizione.

8. Valutazione e decisione di chiusura: osservazioni conclusive

La decisione di scioglimento, come annunciato da Monsignor Bregantini e dal consiglio di amministrazione, era stata il risultato di una valutazione di vari fattori. Pur avendo raggiunto gli obiettivi prefissati e creato valide iniziative lavorative, si era osservato un progressivo passaggio dei soci iniziali verso altre realtà cooperative, come la Sant’Orsola. Questo trasferimento aveva portato a una crescente difficoltà finanziaria nel mantenere la cooperativa.

In conclusione, la Cooperativa Valle del Bonamico si era trovata in una posizione di inutilizzo, sebbene avesse mantenuto i suoi meriti originari. La decisione di chiusura, pur essendo sofferta, era stata influenzata da una combinazione di successo negli obiettivi iniziali e difficoltà operative e finanziarie in fasi successive. La sua storia rimane un esempio di come le iniziative cooperative possano influenzare positivamente lo sviluppo socioeconomico, pur presentando sfide nel loro mantenimento a lungo termine.


La presente ricerca è il risultato di uno studio congiunto condotto da Elia Fiorenza, PhD, assegnista di ricerca presso l’università della Calabria, e da Rosamaria Rusciano, PhD. Attraverso un’analisi critica delle fonti e la ricerca sul campo, si è ricostruita la storia economica e si è delineato il profilo economico delle cooperative della Locride, con particolare attenzione alla Valle del Bonamico. Entrambi, Fiorenza e Rusciano, hanno contribuito all’introduzione e alle conclusioni. Fiorenza ha redatto i capitoli 2, 4 e 7, mentre Rusciano ha scritto i capitoli 3, 5 e 6.


[1] Cfr. https://www.reteimprese.it/valledelbonamico [link consultato il 08.01.2024 alle ore 09:24].

[2] Codice civile, Art. 2555

[3] Per svolgere la loro attività, i soci versano una quota in denaro che, insieme, diventano patrimonio della corporazione.

[4] Bronzetti, Le aziende Non Profit, FrancoAngeli, 2010.

[5] Potamos, probabilmente da Potamìa, antico villaggio in cui vivevano gli avi dell’attuale paese di San Luca (RC).

[6] N. Gratteri, A. Nicaso, Fratelli di Sangue, Segrate, Mondadori, 2010.

[7] G. Calzolari, L. Chiurco, G. de Mottoni, Risultati e raccomandazioni da Equal sui percorsi di reinserimento degli autori di reato. Gettare la chiave o aprire la porta a nuove opportunità? Isfol, 2008, pp. 24 e 63-64.

[8] Progetto Potamos, identificato dal codice IT-G2-CAL-081.

[9] L’Aspromonte, massiccio montuoso situato nella Calabria meridionale e parte integrante dell’Appennino calabro, rappresenta un eccezionale esempio di biodiversità e complessità geologica, con la sua cima più elevata, il Montalto, che raggiunge i 1.956 metri sul livello del mare. Questa regione geografica è caratterizzata da un’ampia varietà di microclimi e habitat, risultante dalla sua posizione unica tra il mar Ionio e il mar Tirreno e la vicinanza allo Stretto di Messina, facendola emergere come un punto chiave per lo studio della flora e della fauna appenniniche e della loro evoluzione nel contesto dell’Appennino meridionale.

[10] La Cooperativa Valle del Bonamico inizialmente era composta da undici aziende agricole specializzate nella produzione di lamponi e piccoli frutti.

[11] La Cooperativa Valle del Bonamico era stata fondata alla fine del 1995 da giovani discendenti di famiglie di pastori di San Luca e Platì, in Calabria, con il supporto onorario di Monsignor GianCarlo Maria Bregantini, allora Vescovo di Locri-Gerace. Cfr. [link consultato il 03.01.2024 ore 14:54].

[12] Complessivamente nei periodi da aprile a giugno e da novembre a gennaio si producono circa 1.500 quintali di lamponi, ribes e more. Cfr. https://www.reteimprese.it/valledelbonamico  link consultato il 08.01.2024 ore 09:22.

[13] Nel 1994, Monsignor Gincarlo M. Bregantini, originario del Trentino, al tempo nominato vescovo di Locri-Gerace, aveva compreso che il rilancio economico e sociale dell’area montuosa della provincia di Reggio Calabria poteva essere favorito dalla coltivazione dei piccoli frutti. Questa coltivazione era particolarmente adatta per le piccole superfici localizzate in zone impervie e difficili da lavorare. Da quel momento, grazie anche alla collaborazione con la Cooperativa Sant’Orsola, che aveva trasferito in Calabria il modello di sviluppo economico e sociale sviluppato in Trentino dagli anni ‘70, la regione era divenuta il secondo produttore italiano di piccoli frutti. Quasi 4.000 quintali di fragole, lamponi, more, mirtilli e ribes erano stati raccolti, generando un fatturato superiore ai 3 milioni di euro. Circa trenta aziende agricole calabresi erano diventate socie della Cooperativa Sant’Orsola, contribuendo significativamente al rinvigorimento dell’economia locale. Queste imprese avevano anche promosso un avvicinamento dei giovani all’agricoltura e alle tradizioni produttive locali. L’attività imprenditoriale sviluppata nella Locride aveva rappresentato una preziosa opportunità di riqualificazione e rilancio economico e sociale per l’area montuosa della regione.

Cfr. Agronotizie, Trentino e Calabria sotto il segno dei piccoli frutti, https://agronotizie.imagelinenetwork.com/agronomia/2010/05/11/trentino-e-calabria-sotto-il-segno-dei-piccoli-frutti/9313 [link consultato il 03.01.2024 alle ore 15.53].

[14] Il suino nero d’Aspromonte, una razza autoctona dell’Appennino meridionale calabrese, ha affrontato un grave rischio di estinzione alla fine degli anni ’90, con un numero estremamente limitato di esemplari nomadi rimanenti.

[15] La Cooperativa Valle del Bonamico aveva contribuito significativamente allo sviluppo economico della regione attraverso pratiche agricole e di allevamento innovative, favorendo al contempo la conservazione della biodiversità locale e il recupero di tradizioni antiche. Il loro impegno si era inserito in un contesto più ampio di valorizzazione del patrimonio naturale e culturale della Calabria, con l’obiettivo di trasformare la regione in un punto di riferimento per il turismo e lo scambio culturale nel Mediterraneo e in Europa.

[16] COSIS – S.p.a. Compagnia Sviluppo Imprese Sociali. Sede in Roma, via Nazionale n. 39. Capitale sociale L. 23.113.637.000. Iscritta al R.E.A. di Roma al n. 812393; iscritta al registro delle imprese di Roma, (Tribunale di Roma) n. 2810/95. Iscrizione U.I.C. n. 28734. Codice fiscale e partita I.V.A. n. 04884801004. (GU Parte Seconda n.77 del 2-4-1999).

[17] https://nerodaspromonte.it/nero-daspromonte  [link consultato il 29.12.2023 ore 09:09]; si vd anche S. Nocera, gente in Aspromonte | Il maiale sulla tavola reale dei Windsor, in I Calabresi, 28 Maggio 2023, https://icalabresi.it/rubriche/nero-aspromonte-maiale-tavola-reali-inghilterra/ [link consultato il 02.12.2023, ore 20:30].

[18] L’iniziativa aveva rappresentato un tentativo significativo di contrastare l’influenza di tali organizzazioni attraverso la creazione di opportunità economiche legittime e l’incoraggiamento di una cultura imprenditoriale positiva. Cfr. A. Marchi, Le organizzazioni criminali calabresi, rapporto DIA (Direzione investigativa antimafia) 2023, pp. 171-179, https://www.antiriciclaggiocompliance.it/app/uploads/2023/09/6_Marchi.pdf [link consultato il 03.01.2014 alle ore 16:15].

[19] “Frutti del Sole”, affiliata alla Valle del Bonamico insieme ad altre 11 aziende agricole specializzate nella produzione di lamponi e piccoli frutti, ha subito un grave attacco con l’utilizzo di una sostanza chimica ancora da identificare (si tratti di acido, diserbante o altro). Più di diecimila piante di lamponi, già pronte per la produzione, sono state distrutte, insieme a un ettaro di serre che sono ora irrimediabilmente perse. I danni ammontano a quasi duecentomila euro, una cifra considerevole di cui al momento non si conosce come far fronte. Questo episodio rappresenta non solo una devastante perdita economica per l’azienda, ma anche un duro colpo per l’intera comunità agricola. La situazione evidenzia l’urgente necessità di affrontare e contrastare fenomeni criminali simili, al fine di proteggere le attività produttive e preservare il tessuto economico delle regioni coinvolte. Cfr. https://goel.coop/aggressioni-mafiose-alle-cooperative-della-locride.html [link consultato il 08.01.2024 ore 09:10]

[20] Storia degli atti intimidatori subiti dall’azienda agrituristica “A Lanterna” in GOEL Bio:

  • L’8 ottobre 2009, un incendio ha danneggiato l’uliveto dell’azienda.
  • Il 30 giugno 2010, è stata rinvenuta una bottiglia contenente liquido infiammabile con un accendino all’ingresso della locanda Cocintum.
  • Il 24 settembre 2011, un incendio ha colpito il quadro elettrico della pompa per l’irrigazione.
  • Il 23 gennaio 2012, un incendio ha distrutto gli alloggi della casa padronale.
  • Il 23 maggio 2013, un incendio ha coinvolto una botte esterna alla locanda.
  • Il 3 settembre 2014, un’altra botte esterna alla locanda è stata oggetto di un incendio.
  • Il 31 ottobre 2015, un incendio ha colpito il ricovero degli attrezzi agricoli.

Cfr. https://goel.bio/it/content/15-ancora-un-altro-attentato-di-stampo-mafioso-a-goel-bio [link consultato il 08.01.2024 alle ore 09.14].

[21] Nel triangolo fra San Luca, Platì e Africo, sulla costa ionica della Calabria, il controllo della ‘ndrangheta è completo. Cfr. S. Ardizzone, Calabria, terra di ‘ndrangheta e veleni, in Il faro sul Mondo, 15/02/2021, https://ilfarosulmondo.it/calabria-terra-di-ndrangheta-veleni-e-complicita/ [link consultato il 03.01.2024, ore 16:00].

[22] Offenders pathways to Employment National Network, Modelli e pratiche di lavoro nei partenariati di sviluppo OPEN, Tipolitografia Don Calabria, Verona, 2008, pp. 50-54.

[23] Chiude la cooperativa Valle del Bonamico Era stata fondata dal vescovo Bregantini a San Luca, in il Quotidiano della Calabria, 16 settembre 2015 https://www.quotidianodelsud.it/calabria/economia/economia/2015/09/16/chiude-la-cooperativa-valle-del-bonamicoera-stata-fondata-dal-vescovo-bregantini-a-san-luca [link consultato il 02.01.2024 ore 14.56].

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