Investimenti, profitti e ripresa: il problema italiano. Un’analisi di lungo periodo

La lunga fase di declino economico dell’Italia si può sintetizzare nella “legge del meno uno”: dal 1995 in poi, l’economia cresce ogni anno (in media) un punto in meno dell’insieme dell’Eurozona. In questo deludente risultato quale ruolo svolgono gli investimenti? Per rispondere a questa domanda l’articolo sottopone a un’analisi di lungo periodo (1995-2019) l’indebolimento della funzione di investimento dell’economia italiana. L’analisi empirica è anzitutto comparativa con altri paesi europei, in termini sia di crescita del volume degli investimenti, sia dell’incidenza sul Pil, sia degli effetti sulla crescita. In tutti i casi si conferma il continuo peggioramento relativo della situazione italiana. Un altro aspetto di rilievo è quello della comune tendenza prociclica alla riduzione in rapporto al valore aggiunto degli investimenti pubblici e privati, con un più forte ridimensionamento di quelli pubblici. Nel caso del settore pubblico la riduzione è legata alle politiche di austerità che, in un paese caratterizzato da una spesa corrente elevata, hanno investito in misura crescente la spesa in conto capitale. In quello del settore privato si riscontra invece la compresenza di ragioni opposte: da un lato l’indebolimento della maggioranza delle imprese ad opera delle sfide tecnologiche, di apertura dei mercati globali e della moneta unica; ma dall’altro la creazione di un ambiente interno particolarmente se non eccessivamente favorevole, non solo in termini di costo del denaro e del lavoro (diretto e indiretto), ma anche di politiche contributive e fiscali attuate da governi di varia coloritura politica. In questa situazione, nonostante le fortissime perturbazioni che attraversano il periodo, il saggio di profitto in rapporto al valore aggiunto si è fortunatamente dimostrato notevolmente stabile e resiliente. Tuttavia, dopo la “doppia crisi” (2008-2013) la capacità di reinvestire i profitti realizzati ha ciononostante mostrato una significativa caduta. Il problema italiano attuale è dunque la bassa propensione delle imprese a reinvestire i profitti realizzati più che l’esaurimento delle opportunità di profitto che, al contrario, appaiono paradossalmente migliorate. Una politica economica di lotta alla “legge del meno uno” richiede pertanto che si rianimi la propensione all’investimento delle imprese italiane – un compito certamente cruciale nella fase attuale di uscita dagli effetti economici della crisi pandemica.

In fila per tre. Apertura delle scuole e seconda ondata di COVID 19

La scuola è certamente un tassello fondamentale di ogni società per la formazione delle generazioni future; Tuttavia, ad una scuola in parte resa più sicura di quanto fosse grazie a programmi, investimenti e sforzi fatti nel periodo pre-elettorale, non pare sia corrisposto un piano di più ampio respiro che contemplasse le conseguenze dell’andare a scuola. Ad oggi, se si vuole evitare un nuovo lockdown e la conseguente chiusura di tante attività produttive, una programmazione della didattica a distanza, insieme ad altre misure, potrebbe rappresentare un’alternativa da prendere in considerazione.

Italia: arriverà la ripresa?

L’Italia è stato il primo Paese europeo a subire gli effetti dell’epidemia da Covid-19, e il rapido aumento nei decessi ha spinto il governo ad adottare una strategia di contenimento basata sulla chiusura (lock-down) delle attività economiche non essenziali, con un inevitabile impatto (asimmetrico) sul livello del reddito e della produzione.Con la graduale riapertura della maggior parte delle attività nel terzo trimestre ci si aspetta una ripresa, anche se è difficile valutarne la portata caratterizzato da totale incertezza dovuta ad uno shock di grandi dimensioni e senza precedenti storici, proponendo uno stimolo di politica fiscale che contribuisca a sostenere la ripresa dell’economia, senza portare il debito pubblico su un sentiero insostenibile rispetto al PIL.

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