Tassare l’anidride carbonica per ridurre il cuneo fiscale: una proposta per la sinistra europea

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Political and social notes

La maggior parte dei climatologi e degli scienziati sociali interessati al clima concordano sul fatto che una tassa sull’anidride carbonica (carbon tax) sia il modo più efficace e più giusto per realizzare la transizione energetica ed arginare la crisi climatica. Questo perché una carbon tax è da un lato un modo rapido ed efficiente per reindirizzare la produzione e il consumo verso pratiche meno inquinanti, e dall’altro è una potente leva di redistribuzione economica, poiché genera importanti entrate pubbliche tassando i consumatori e i produttori di beni che generano emissioni (e tra questi il grande capitale). Come molti esperti dicono da tempo, questo è il momento storico giusto per introdurre una carbon tax, per due ragioni principali. La prima è che il prezzo dei combustibili fossili è sceso, sia per ragioni geopolitiche sia perché la domanda è crollata a causa delle restrizioni causate dalla pandemia in corso, quindi qualsiasi aumento del prezzo dell’anidride carbonica (CO2) sarebbe più accettabile di quanto non lo fosse prima. La seconda ragione è che la gente si muove meno, sempre a causa della pandemia, quindi un aumento del prezzo della CO2 avrebbe un effetto minore sui redditi individuali rispetto a prima[1].

Eppure, nonostante tutto ciò, la carbon tax è vista a volte con sospetto e a volte con totale indifferenza da quei partiti politici che dovrebbero essere più interessati all’ambiente e alla giustizia socio-economica: i progressisti. In questo breve articolo mi riferirò principalmente ai progressisti europei, perché questo è il caso politico più vicino al mio punto di osservazione, ma sono sicuro che il ragionamento che farò qui può essere facilmente esteso, almeno in parte, ad altri contesti[2].

Prima di tutto, penso che sia importante chiarire cosa si intende per carbon tax. Si tratta di una tassa sull’emissione di ogni tonnellata di CO2. Ovviamente non ci sono limiti alla tassa, ed è importante calibrarla in base al contesto sociale ed economico in cui viene introdotta. Normalmente, una carbon tax che possa contribuire a mitigare la crisi climatica dovrebbe essere compresa tra una base minima di 25 dollari per tonnellata e un livello ottimale di 75 dollari[3], ma ci sono anche altri casi, come ad esempio in Svezia, dove si è deciso di introdurre una tassa fino a 110 dollari per tonnellata di CO2[4]. Non ci sono nemmeno limiti geografici all’introduzione di tasse sulla CO2. Il modo più semplice e veloce per prezzare l’anidride carbonica è a livello nazionale, ma con il giusto sostegno politico, non ci sarebbero ostacoli, almeno in teoria, ad una tassa regionale sulla CO2, ad esempio europea, o addirittura globale.

L’altra questione preliminare che può essere utile chiarire è perché l’anidride carbonica debba essere tassata. Ci sono due possibili e diverse spiegazioni, da cui seguono diverse proposte per il livello di tassazione. La prima è che il prezzo della CO2 non riflette completamente i suoi costi di produzione, e questo crea un’inefficienza economica. Ogni tonnellata di anidride carbonica ha tre tipi di costi: i costi di acquisto e di lavorazione dei beni di consumo che generano CO2 (in primo luogo i combustibili fossili); i costi ambientali a breve termine, generati dalla combustione, come l’inquinamento dell’aria o delle falde acquifere; e i costi ambientali a lungo termine, cioè gli effetti negativi che l’accumulo di CO2 nell’atmosfera ha sul clima. Normalmente, le aziende e i consumatori condividono interamente il primo tipo di costi, passano gran parte del secondo tipo di costi alla comunità locale, e trasferiscono quasi tutti i costi del terzo tipo alle generazioni future. Questa situazione, moltiplicata all’infinito per milioni di persone, crea un’inefficienza economica sistemica di cui i singoli produttori e consumatori beneficiano a brevissimo termine, ma che ha effetti destabilizzanti a medio e lungo termine sull’economia e sull’ambiente. La carbon tax serve dunque a correggere questo fallimento del mercato[5].

La seconda spiegazione del perché la CO2 dovrebbe essere tassata muove dalla stessa premessa, cioè che il prezzo attuale dell’anidride carbonica non riflette tutti i suoi costi sociali, ma vede in questo un problema che non è strettamente economico, bensì precipuamente climatico: il prezzo della CO2 è troppo basso per potere generare lo stimolo necessario a convincere le persone a usare fonti di energia pulita, e finché ciò non accadrà sarà impossibile raggiungere gli obiettivi di mitigazione del cambiamento climatico che gli scienziati raccomandano e che la comunità internazionale ha fatto propri con gli accordi di Parigi[6].  

Il discorso pubblico sulla carbon tax di solito, e purtroppo, si ferma a questo livello di analisi. Così, quello che sembra uscirne fuori, è un grande compromesso. Da un lato c’è la massimizzazione del benessere collettivo a lungo termine e la lotta contro il cambiamento climatico, di cui beneficeranno, almeno in parte, persone che non sono ancora nate e non votano, e dall’altro ci sono i produttori e i consumatori di CO2. I produttori sono molto potenti, e i consumatori costituiscono una gran parte dell’elettorato, e molte volte sono anche individui socialmente fragili. Non è difficile vedere come un tale scenario presti il fianco a tendenze politiche “presentiste”[7].

Quello che molti sembrano invece ignorare, più o meno volontariamente, è il fatto che la carbon tax generi entrate pubbliche. E con queste entrate è possibile fare due cose: elaborare una carbon tax che sia neutra rispetto alle entrate (revenue-neutral) o una carbon tax che sia positiva, sempre rispetto alle entrate (revenue-positive). Nel primo caso, si utilizzano le entrate della carbon tax per abbassare, in modo generalizzato, un’altra (o più) tasse. Il risultato è che l’effetto negativo della carbon tax sui contribuenti viene parzialmente neutralizzato, ma con il vantaggio di introdurre importanti incentivi per allontanarsi dalle fonti energetiche inquinanti. Nel secondo caso, invece, si crea effettivamente una maggiore pressione fiscale su produttori e consumatori di beni che generano emissioni, ma si ottengono nuove entrate pubbliche che si possono destinare a scopi specifici: uno, ad esempio, potrebbe essere quello di redistribuire risorse alle categorie sociali più vulnerabili (indipendentemente dalla questione ambientale), e un altro potrebbe essere quello di investire nello sviluppo di nuove tecnologie a basso impatto ambientale (con possibili effetti positivi che potrebbero riversarsi su chi cerca lavoro).

Sembrerebbe quindi che ci siano due modi diversi di pensare ed usare questa tassa. Una carbon tax più conservatrice che dà un contributo decisivo alla mitigazione del clima ma non cambia l’equilibrio di potere tra i membri della società e non ridistribuisce molta ricchezza[8]. E una carbon tax più progressista che persegue l’obiettivo climatico e allo stesso tempo contribuisce a una più equa distribuzione della ricchezza. Sia una carbon tax neutra rispetto alle entrate che una positiva possono servire uno qualsiasi dei due scopi. Una carbon tax “revenue-neutral” che abbassa le tasse sul reddito da capitale è potenzialmente una riforma regressiva (e conservatrice), mentre una carbon tax che abbassa le tasse sul lavoro è probabilmente una riforma progressiva (e di sinistra). Una carbon tax “revenue positive” che ridistribuisce ai meno abbienti è sicuramente una riforma progressiva (e di sinistra), mentre una carbon tax che finanzia nuove tecnologie non è necessariamente una riforma progressiva (e di sinistra) ma può diventarlo a seconda di come i benefici sociali (intesi sia come ricadute ambientali positive sulla comunità che come nuove e migliori opportunità di lavoro) sono distribuiti[9].

Onestamente, il successo e l’accettabilità sociale della carbon tax dipendono molto da come vengono utilizzati gli introiti[10]. Se, per esempio, l’anidride carbonica venisse tassata senza un piano per ammortizzare il nuovo carico fiscale sui gruppi sociali più dipendenti dall’uso delle automobili (e che spesso sono pendolari o semplicemente persone che vivono in aree meno avvantaggiate), i risultati potrebbero essere disastrosi. E il sospetto che circola oggi in Europa circa la carbon tax si basa su questo tipo di esperimenti fallimentari. Allo stesso tempo, anche una carbon tax “revenue-positive” e di sinistra rischia di diventare uno strumento di forte polarizzazione politica, al di là della questione se sia auspicabile o meno.

Quello che i partiti progressisti europei potrebbero fare (nel senso che sarebbe nel loro interesse farlo) è abbracciare apertamente e fermamente l’idea di una carbon tax neutrale e di sinistra – una revenue-neutral and leftist (RNL) carbon tax: tassare la produzione e il consumo di beni che generano emissioni per abbassare la tassazione sul lavoro, o anche semplicemente per aumentare la progressività della tassazione sul lavoro. In primo luogo, come qualsiasi altro schema di carbon tax, la carbon tax RNL scoraggerebbe la produzione e il consumo di beni inquinanti, rallentando così il riscaldamento globale. In secondo luogo, e sempre come qualsiasi altro schema di carbon tax, la carbon tax RNL sarebbe un modo giusto per far internalizzare alle persone i costi della CO2 che producono o consumano. In terzo luogo, diversamente da altri schemi di carbon-tax “revenue-neutral”, la carbon tax RNL sarebbe un mezzo per ridistribuire la ricchezza dal capitale che produce reddito senza un aumento proporzionale della domanda di lavoro verso il capitale che crea nuove opportunità di lavoro, e di conseguenza verso i salariati. Se guadagnate un reddito esclusivamente sotto forma di rendite, per esempio gestendo il vostro patrimonio immobiliare o attraverso attività finanziarie, la carbon tax RNL comporterà per voi perdite nette (pagherete più di quanto riceverete indietro, a meno che non diventiate investitori e/o consumatori etici rispetto all’ambiente). Se siete un lavoratore, il costo del vostro lavoro diminuirà, quindi ci saranno più opportunità di lavoro (e forse anche meglio pagate): quello che perdete con la carbon tax vi tornerà indietro attraverso il vostro contratto di lavoro, sotto forma di sconti fiscali concessi al vostro datore di lavoro. Quindi, se siete un lavoratore, la carbon tax RNL di per sé non vi renderà né perdenti né vincenti, sarà invece neutrale per voi – tenendo da parte i benefici ambientali collettivi. Ma se invece inizierete a spendere il vostro stipendio in modo etico, passando a prodotti e fonti di energia sostenibili, è probabile che otteniate benefici netti nel medio termine, perché è ragionevole attendersi che il prezzo delle scelte di consumo ecologiche scenda nel tempo. In quarto luogo, diversamente dagli schemi di carbon tax “revenue-positive” e di sinistra, la carbon tax RNL non è solo una misura di welfare che, rivolgendosi alle persone più povere, può avere un effetto sulla crescita solo stimolando la domanda di beni di prima necessità, piuttosto è un chiaro incentivo, per chi ha capitale, a investire in lavoro umano.

Il limite di un discorso come questo è che è complesso, dispiega il suo significato attraverso diversi passaggi, e si presta a facili mistificazioni da parte di chi guarda a un singolo passaggio, decontestualizzandolo. Se, ad esempio, si concentrasse l’attenzione solo sul fatto che viene aumentata la tassazione sul carburante, si potrebbe facilmente pensare che siamo di fronte ad un provvedimento regressivo che colpisce i più poveri, ad esempio i pendolari, la cui domanda indiretta di combustibili fossili rimarrebbe quasi inelastica rispetto all’aumento del costo del carburante (devono comunque andare a lavorare), e quindi vedrebbero i produttori scaricare su di loro l’aumento della tassazione sotto forma di aumento quasi proporzionale dei prezzi.

Quello che i progressisti dovrebbero fare è invertire l’ordine del discorso. Il messaggio non dovrebbe più essere “tasseremo l’anidride carbonica e così facendo abbasseremo la tassazione sul lavoro”, ma “abbasseremo la tassazione sul lavoro attraverso la tassazione dell’anidride carbonica”. Qualsiasi gruppo politico che voglia introdurre una carbon tax di questo tipo dovrebbe fare un piano degli obiettivi di tassazione del lavoro che desidera raggiungere, obiettivi che siano in linea con gli standard di giustizia distributiva e di crescita economica che desidera soddisfare. Una volta determinati questi obiettivi, il gruppo politico potrebbe progettare uno schema di carbon tax che raccolga le entrate pubbliche necessarie per raggiungerli. Questo capovolgerebbe completamente la prospettiva da cui attualmente guardiamo al clima, e che spesso genera un’assurda opposizione nel campo progressista: la lotta al cambiamento climatico passerebbe dall’essere un fine in sé, spesso da molti non pienamente compreso, ad essere un mezzo per un obiettivo politico che la stragrande maggioranza delle persone vede come primario, cioè maggiori e migliori opportunità di lavoro. E da un punto di vista pratico non cambierebbe nulla, anzi, si creerebbero gli incentivi giusti per affrontare la crisi climatica in modo più rapido e deciso.

Tuttavia, è necessario chiarire perché, tra i molti modi possibili di spendere le entrate della carbon tax, abbassare il cuneo fiscale dovrebbe essere una priorità per la sinistra, piuttosto che usare queste risorse per contenere il debito pubblico, per esempio. Non c’è spazio in questo articolo, che vuole essere un piccolo studio preliminare sull’argomento, per affrontare in modo esaustivo la questione[11]. La risposta breve è che il cuneo fiscale è troppo alto in Europa. In alcuni paesi, come Belgio, Italia, Austria, Francia e Germania, il cuneo fiscale supera addirittura il 45 percento. Nella maggior parte degli altri paesi è tra il 30 e il 40 per cento[12]. Questo crea diversi problemi evidenti per la classe lavoratrice. In primo luogo, i datori di lavoro sono poco incentivati a investire nel lavoro umano, il che è un incentivo a delocalizzare la produzione e i servizi o, più in linea con l’attuale fase storica, ad automatizzare. In secondo luogo, anche se il cuneo fiscale è teoricamente condiviso tra lavoratori e datori di lavoro, in un mercato del lavoro precario in cui l’equilibrio di potere tra capitale e lavoro è troppo sbilanciato a favore del primo, i datori di lavoro hanno poche difficoltà a spostare la tassazione del lavoro completamente sul lavoratore. Questo è un modo per accentuare le disuguaglianze esistenti a scapito dei lavoratori. La carbon tax post-pandemia può e deve diventare uno strumento di redistribuzione della ricchezza. Messa in questo modo, la carbon tax emerge dall’ambiguità politica e può facilmente diventare la pietra angolare di un programma politico europeo di sinistra.

In conclusione, dovremmo anche considerare che man mano che gli incentivi della carbon tax entrano in funzione e le emissioni si riducono, anche la base imponibile dell’anidride carbonica si ridurrà, e quindi per continuare a mantenere un livello accettabile di spesa pubblica al fine di abbassare il cuneo fiscale, sarà necessario aumentare progressivamente l’aliquota della carbon tax. Ciò significa che le emissioni diventeranno sempre più costose, e quindi la loro tassazione avrà lo stesso effetto redistributivo della tassazione dei beni di lusso. La sinistra europea non può continuare ad avere scuse per fingere che la carbon tax non esista o, peggio ancora, che sia un coniglio nascosto nel cilindro dei conservatori.


[1] Si veda Kian Mintz-Woo, Francis Dennig, Hongxun Liu & Thomas Schinko. “Carbon pricing e COVID-19”, Climate Policy, online first (2020). https://doi.org/10.1080/14693062.2020.1831432 .

[2] Si veda, ad esempio, Zack Colman and Eric Wolff, “Why greens are turning away from a carbon tax”, Politico, September 12, 2018.

[3] Beatrice Bonini. “Carbon tax: il prezzo da pagare per salvare il pianeta”, L’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani, November 15, 2019: 5-6. https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-carbon-tax-il-prezzo-da-pagare-per-salvare-il-pianeta. See also IMF. Fiscal Monitor, October 2019: How to Mitigate Climate Change. https://www.imf.org/en/Publications/FM/Issues/2019/10/16/Fiscal-Monitor-October-2019-How-to-Mitigate-Climate-Change-47027

[4] Si veda Shuting Pomerleau. “What can we learn from Sweden’s carbon tax?”, Niskanen Center, October 29, 2020. https://www.niskanencenter.org/what-can-we-learn-from-swedens-carbon-tax/

[5] Si veda Marc Fleurbaey, Maddalena Ferranna, Mark Budolfson, Francis Dennig, Kian Mintz-Woo, Robert Socolow, Dean Spears, Stéphane Zuber. “The Social Cost of Carbon: Valuing Inequality, Risk, and Population for Climate Policy”. The Monist 102, no. 1 (2019): 84–109. https://doi.org/10.1093/monist/ony023

[6] Si veda Carbon Market Watch. Pricing carbon to achieve the Paris goals. Policy Briefing, September 2017. https://carbonmarketwatch.org/wp-content/uploads/2017/09/CMW-PRICING-CARBON-TO-ACHIEVE-THE-PARIS-GOALS_Web_spread_FINAL.pdf

[7] Dennis F. Thompson. “Representing future generations: political presentism and democratic trusteeship”. Critical Review of International Social and Political Philosophy 13, no. 1 (2010): 17-37. https://doi.org/10.1080/13698230903326232 . Si veda anche Corvino, F. “The Intersectional Approach to Intergenerational Justice: A First Sketch”. Academia Letters, Article 594 (2021). https://doi.org/10.20935/AL594

[8] Si veda Ken Boessenkool. “The Conservative Case for a Carbon Tax”. MAX Policy, October 29, 2020. https://www.mcgill.ca/maxbellschool/article/max-policy/conservatives-should-embrace-carbon-tax-not-reasons-you-think

[9] Si veda anche David Klenert and Linus Mattauch, “How to make a carbon tax reform progressive: The role of subsistence consumption”, Economics Letters 138, (January 2016): 100-103. https://doi.org/10.1016/j.econlet.2015.11.019 ; Julie Anne Cronin, Don Fullerton, and Steven Sexton, “Vertical and Horizontal Redistributions from a Carbon Tax and Rebate”, Journal of the Association of Environmental and Resource Economists 6, S1 (2019): S169-S208.

[10]Vedi Stefano Carattini, Maria Carvalho and Sam Fankhauser. “How to make carbon taxes more acceptable”. The Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment (LSE) – Policy publication, December 5, 2017. https://www.lse.ac.uk/GranthamInstitute/wp-content/uploads/2017/12/How-to-make-carbon-taxes-more-acceptable.pdf

[11] See David Roberts, “The 5 most important questions about carbon taxes, answered”, Vox, June 27, 2019. https://www.vox.com/energy-and-environment/2018/7/20/17584376/carbon-tax-congress-republicans-cost-economy

[12] OECD. Taxing Wages 2020 (Paris: OECD Publishing, 2020), 60 https://doi.org/10.1787/047072cd-en

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