Il sistema delle regole negli investimenti pubblici – ossia l’insieme delle norme, procedure e standard che guidano l’allocazione delle risorse – è considerato un fattore cruciale per l’efficacia, l’efficienza e la sostenibilità delle politiche di investimento. Secondo la letteratura scientifica, la “buona regolazione” non è solo un presidio anticorruzione, ma una leva di crescita (North, 1990; Acemoglu & Robinson, 2012). Non a caso il rischio regolatorio è uno degli elementi più analizzati nei rating Paese (Moody’s, 2022) e il continuo cambiamento del contesto normativo di riferimento, ovvero l’incertezza del sistema delle regole, è ritenuto da più parti [1] uno dei principali punti di debolezza nella crescita degli investimenti pubblici e quindi del sistema economico.
Ebbene se si guarda all’Italia, ed in particolare al mondo dei comuni, i conti non tornano. Ovvero è come se negli ultimi otto anni il legislatore si fosse messo a giocare con i Lego costruendo una torre multicolor di regole e controregole, interpretazioni e controinterpretazioni, normativa primaria, secondaria, terziaria, sentenze, direttive, circolari, comunicazioni, pareri, e quant’altro senza, però, che tutto ciò andasse minimamente a scalfire più di tanto la performance degli investimenti fissi lordi dei comuni quanto piuttosto la tenuta fisica e psicologica dei loro Responsabili Unici di Progetto (RUP). Ma andiamo sinteticamente per gradi e analizziamo gli accadimenti.
È indubbio che il Codice dei contratti pubblici rappresenti uno dei pilastri della regolazione amministrativa italiana, con effetti diretti sull’efficienza, la trasparenza e la legalità della spesa pubblica e quindi degli investimenti. Il periodo compreso tra il 2017 e il 2025 ha visto una successione intensa di riforme, correttivi e innovazioni – spesso sollecitati dalla giurisprudenza, dalle Autorità di controllo come ANAC e dalla Corte dei Conti, nonché dalle esigenze di armonizzazione europea e di ripresa post-pandemica.
L’attuale Codice degli appalti nasce con il D.Lgs. 50/2016, recependo le direttive UE 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE. Già nel 2017, tuttavia, emergono le prime criticità interpretative e applicative: il D.Lgs. 56/2017 (cd. “Decreto correttivo”) interviene su oltre 200 commi, chiarendo aspetti centrali su qualificazione delle stazioni appaltanti, avvalimento, criteri di aggiudicazione e affidamenti sottosoglia [2]. La ratio del correttivo era doppia: da un lato, semplificare le procedure; dall’altro, rafforzare i presidi di legalità. ANAC sottolineava già nelle sue relazioni annuali del 2017-2018 l’effetto “a fisarmonica” di queste modifiche, tra esigenze di flessibilità e rischi di aggiramento delle regole [3].
Dopo il correttivo D.Lgs. 56/2017, la prassi ha visto l’alternarsi di deroghe, sospensioni parziali e mini-riforme (es. “Decreto Sblocca Cantieri”, D.L. 32/2019). Centrale in questi anni è stato il tentativo di digitalizzazione del ciclo degli appalti, con l’avvio della Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP) e della piattaforma SIMOG gestite da ANAC. Non mancano i rilievi della Corte dei Conti, che nelle sue Relazioni al Parlamento (ad es. la relazione 2020 sulla gestione ANAC) denuncia lentezze strutturali, criticità nelle procedure negoziate e un aumento del contenzioso [4]. Nel periodo pandemico, le deroghe introdotte dal D.L. 76/2020 (“Decreto Semplificazioni”) accelerano la stipula dei contratti, ma sollevano dubbi sulla tenuta dei presidi anticorruzione [5].
Ed ecco che in questo quadro turbolento fa la sua comparsa, anche dietro la forte spinta del PNRR e delle direttive europee, il D.Lgs. 36/2023 che rappresenta un cambio di paradigma nella disciplina degli appalti pubblici italiani. Il nuovo Codice prova ad introdurre un forte orientamento al risultato, una decisa semplificazione procedurale e una grande spinta verso la digitalizzazione dell’intero ciclo degli appalti. Tra le principali novità figurano il ricorso sistematico a piattaforme digitali interoperabili; criteri di aggiudicazione più flessibili; maggiore trasparenza e tracciabilità delle procedure; nuove regole sul subappalto e la qualificazione delle stazioni appaltanti. L’obiettivo dichiarato è duplice: garantire una maggiore efficienza e rapidità negli investimenti pubblici e, al tempo stesso, assicurare integrità, legalità e sostenibilità nell’utilizzo delle risorse.
Peccato che poi a meno di due anni dall’avvio del nuovo Codice, il legislatore è dovuto nuovamente intervenire con il Correttivo D.Lgs. 209/2024, entrato in vigore il 31 dicembre 2024, per apportare modifiche e integrazioni volte a rispondere a non poche criticità emerse nella prima applicazione della riforma [6]. Ed ancora con il DL Infrastrutture 73/2025 del 21 maggio 2025 vengono introdotte nuove modifiche al Codice degli Appalti, semplificando le procedure e rafforzando il sostegno tecnico-amministrativo. Tra le principali novità: anticipo del 10% ai progettisti, estensione degli incentivi ai dirigenti, maggiore flessibilità sul subappalto e revisione prezzi retroattiva.
Questa breve cronistoria per evidenziare come contrariamente a quanto riportato in premessa dalla letteratura scientifica sulla necessità di regole e quadri normativi certi, stabili, chiari nel nostro Paese abbia prevalso il mito della tela di Penelope ma all’incontrario. Cioè, pure essendo quello del Codice degli appalti un sudario più e più volte fatto e disfatto negli ultimi otto anni, andando a guardare l’impatto sull’andamento degli investimenti fissi lordi dei comuni i numeri sembrerebbero raccontare tutta un’altra storia (Fig. 1). Addirittura, negli anni di maggiore turbolenza giuridico-normativa la performance delle amministrazioni locali raggiunge i risultati migliori. Ci troviamo di fronte ad un’allucinazione statistica? Assolutamente; le motivazioni possono essere svariate e tutte al contempo più o meno preponderanti.
Le riforme più rilevanti sono spesso accompagnate da norme transitorie, periodi di “doppio binario” (vecchio e nuovo Codice) e deroghe che evitano blocchi amministrativi fungendo da vero e proprio propulsore. Da non sottovalutare una certa capacità di adattamento delle amministrazioni, soprattutto comunali meno ingessate rispetto a quelle centrali, che grazie anche agli ingenti investimenti in formazione, digitalizzazione e supporto operativo alle stazioni appaltanti – in primis da parte del MIT – hanno visto ridotto il rischio che le novità normative producessero uno shock negativo sulla loro operatività. Vi è poi il tanto invocato effetto “rush pre-normativo” (un fenomeno riportato più volte dalla Corte dei Conti nelle sue relazioni annuali) ossia la prospettiva che un cambio normativo induca le amministrazioni ad accelerare la spesa prima dell’entrata in vigore delle nuove regole, per evitare incertezze interpretative.
Ma soprattutto in questi otto anni l’Italia ha potuto contare su risorse finanziarie aggiuntive senza precedenti: Fondi strutturali europei (2014-2020, 2021-2027); sblocco dei cofinanziamenti nazionali (ad es. “Patti per il Sud”) e dal 2021 il PNRR che ha iniettato nel sistema economico liquidità mai viste dai tempi del Piano Marshall (oltre 194 miliardi di euro entro il 2026). Questo flusso di risorse ha sterilizzato quasi completamente le difficoltà di adattamento alle nuove regole, permettendo l’avvio o la prosecuzione dei cantieri già pianificati. Cantieri pianificati sulla carta da anni ma senza coperture finanziarie adeguate per leggi di bilancio alimentate – troppo spesso – con i soldi del Monopoli; l’abbandono, poi, dei rigidi vincoli finanziari (es. pareggio di bilancio) ha sbloccato margini utilizzabili per investimenti locali piuttosto che la possibilità di utilizzare risparmi e avanzi di bilancio destinati a infrastrutture e servizi urbani.
Fig. 1 – Investimenti fissi lordi dei comuni italiani, 2017-2024 e stima 2025*

Fonte: elaborazione IFEL-Ufficio Studi e Statistiche Territoriali su dati Siope, anni vari
Insomma, il cambiamento del quadro normativo degli appalti con l’entrata in vigore del nuovo Codice e del successivo Correttivo segna sicuramente un punto importante per gli investimenti pubblici dei comuni italiani i cui reali effetti, probabilmente, sono per lo più ancora tutti da valutare. Di certo al momento abbiamo compreso che, se ben gestite e accompagnate da risorse, formazione e flessibilità operativa, le riforme non rappresentano un freno agli investimenti pubblici ma possono diventare un catalizzatore, specie quando si inseriscono in un contesto di forte spinta finanziaria e supporto istituzionale, ovvero possono contribuire a rendere il sistema degli appalti più moderno, efficiente e orientato al bene comune. L’interrogativo, però, che ci dobbiamo porre nel breve e medio periodo è che se abbiamo compreso che le riforme non costano (il 99% delle riforme del PNRR sono ad invarianza di bilancio) gli investimenti necessitano di risorse economiche certe, costanti e durature, fino a quando potremo contare su risorse finanziarie aggiuntive, peraltro nel caso del PNRR per i due terzi a debito? Lo stesso nuovo Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) 2028‑2034 appena presentato dalla Commissione Europea di circa 2000 miliardi di euro, includendo anche il rimborso del debito generato da Next Generation EU, lascia poco spazio all’immaginazione su come possa essere alimentato visti i dubbi sollevati da più parti sulla fattibilità di nuove entrate proprie nel clima di crazy tariffs che stiamo vivendo. Viene da pensare che l’unico modo, specie in Italia ma invero non solo, per continuare questo ciclo virtuoso sia l’indebitamento sempiterno ma per dirlo con le parole di Benjamin Franklin: “Le uniche certezze nella vita sono la morte e le tasse”.
Il lavoro riflette esclusivamente le opinioni dell’autore senza impegnare la responsabilità dell’Istituzione di appartenenza. Per la parte di disamina normativa questo articolo è stato redatto parzialmente con l’utilizzo di tecnologie basate sull’intelligenza artificiale.
[1] FMI, Fiscal Monitor 2023; World Bank, Business Ready (B-READY) 2024; Banca d’Italia, “La dinamica degli investimenti pubblici in Italia”, Questioni di Economia e Finanza n. 463/2018: PDF; OCSE, Economic Surveys: Italy 2021.
[2] D.Lgs. 50/2016 e D.Lgs. 56/2017 (Decreto Correttivo).
[3] ANAC, Relazione annuale 2017; Relazione annuale 2018; “Rapporto sull’attività contrattuale delle stazioni appaltanti”, ANAC 2019.
[4] Corte dei Conti, “Relazione sul funzionamento dell’Autorità Nazionale Anticorruzione” (2020).
[5] Decreto-legge 76/2020 e successive modifiche; ANAC, “Monitoraggio appalti in emergenza Covid-19”, 2021.
[6] Per un approfondimento della materia si veda il Rapporto Osservatorio RUP 2025 https://www.fondazioneifel.it/documenti-e-pubblicazioni/item/download/6254_e1cb7c953fb6b3d18f5514d7d99bc640