Come previsto dalle nuove regole di governance economica europea nell’ambito della recente riforma del Patto di stabilità e crescita, il 21 giugno 2024 la Commissione europea ha trasmesso a tutti gli Stati membri con un debito pubblico superiore al 60% del PIL o un disavanzo pubblico superiore al 3% del PIL la traiettoria di riferimento per la spesa primaria netta specifica per paese. Tale traiettoria impone per ogni anno del periodo di aggiustamento (della durata di 4 o, come nel caso italiano, 7 anni) un tasso di crescita massimo per la spesa primaria netta ed è funzionale a ridurre il deficit primario strutturale[1] di un ammontare determinato dalla Commissione sulla base dell’Analisi di sostenibilità del debito (Debt Sustainability Analysis, DSA). Secondo le previsioni della Commissione, infatti, tali correzioni consentirebbero di raggiungere, alla fine del periodo di aggiustamento, un valore del saldo primario strutturale che, se mantenuto costante per i successivi 10 anni, garantirebbe la riduzione e sostenibilità del debito nel medio-lungo termine.
Il presente articolo si propone di indagare, adottando un approccio teorico alternativo rispetto a quello della Commissione, l’impatto sul rapporto debito-PIL italiano dei consolidamenti fiscali imposti dalla traiettoria di riferimento, concepita in modo tale da porre tale rapporto su un sentiero plausibilmente decrescente.
Le previsioni della Commissione hanno alla base un’ipotesi fondamentale e valida per tutti i paesi che, se rimossa, condurrebbe a scenari diametralmente opposti. L’ipotesi in questione è che l’output gap si annulli nel terzo anno successivo all’ultimo anno di aggiustamento. Cioè, pur ammettendo un (moderato) impatto negativo delle restrizioni fiscali sull’andamento del PIL, la Commissione ipotizza che questo sia transitorio, e che dopo tre anni la traiettoria di crescita del PIL torni ad essere determinata dall’ offerta potenziale determinata da disponibilità lavoro, capitale e produttività, senza che questi fattori da offerta vengano modificati dalle politiche fiscali.
Le previsioni della Commissione
In quanto segue faremo riferimento alle stime e previsioni della Commissione per il nostro paese relative alla traiettoria di riferimento trasmessa a giugno 2024, che prescindono dunque dagli aggiornamenti effettuati in seguito.
La tabella 1 riporta le previsioni relative al PIL italiano in termini reali per il periodo di aggiustamento (2025-2031) e per i successivi 3 anni (2032-2034). Il PIL reale è previsto crescere lungo tutto il periodo considerato, con una chiusura dell’output gap, coerentemente con l’ipotesi adottata, nel 2034. Si noti che, secondo queste previsioni, dal 2026 al 2031 il prodotto effettivo si collocherebbe al di sotto del livello potenziale (fase ciclica negativa) a causa della continua riduzione del disavanzo pubblico (incremento dell’avanzo primario) tramite riduzioni della spesa e/o aumenti del prelievo fiscale.
Tabella 1: PIL effettivo, potenziale e output gap nello scenario programmatico della Commissione europea (valori in termini reali, miliardi di euro)

Figura 1: PIL effettivo e potenziale nello scenario programmatico della Commissione europea (valori in termini reali, miliardi di euro)

La tendenza del prodotto effettivo a convergere verso quello potenziale, e quindi la chiusura dell’output gap, è una conseguenza dell’ipotesi che l’effetto restrittivo generato dalla correzione annuale del deficit primario strutturale sia solo temporaneo. Formalmente, per ogni anno (t) del periodo di aggiustamento, questo effetto può essere espresso come:
,
dove:
= moltiplicatore fiscale;
= variazione programmata del saldo primario strutturale nell’anno t;
= variazione a politiche invariate del saldo primario strutturale nell’anno t.
Nei suoi calcoli la Commissione adotta un moltiplicatore pari a 0,75.
è la correzione del deficit primario strutturale ottenuta mediante la DSA, mentre
è quella che si realizzerebbe a politiche invariate. Lo scenario a politiche invariate, prodotto dalla stessa Commissione, rappresenta il controfattuale (baseline) e costituisce ciò che si verificherebbe se le misure implementate nell’anno di partenza, il 2024, venissero prorogate negli anni successivi (nel nostro caso 2025-2031). In altre parole, è lo scenario che si ottiene ipotizzando che il saldo primario strutturale ottenuto nel 2024 si mantenga costante nel corso del periodo di aggiustamento.
dunque è pari a zero per definizione.
La Commissione ipotizza che l’effetto restrittivo (rispetto allo scenario a politiche invariate) generato in ogni anno (t) rappresentato dalla formula [1] venga gradualmente eliminato nei tre anni successivi (t+1, t+2, t+3). Si assume quindi un immediato effetto di contrazione che però nell’anno successivo comincerebbe ad essere riassorbito. Da tale riassorbimento deriverebbe la chiusura dell’output gap nel terzo anno successivo alla fine del periodo di aggiustamento, nel caso italiano il 2034. Tuttavia, nei documenti prodotti dalla Commissione non viene fornita alcuna giustificazione o indicazione relativa alla natura di tali meccanismi di compensazione, probabilmente da ricondursi ad aumenti di componenti della spesa aggregata conseguenti alla riduzione del deficit. I soli meccanismi che è possibile ipotizzare sul piano logico o dedurre dalla letteratura sono:
- Eventuale riduzione dei tassi d’interesse in risposta al calo dell’inflazione con conseguente stimolo alla spesa privata (investimenti e/o consumi). Tuttavia, non è possibile immaginare tale circostanza nell’area euro, dove la politica monetaria è centralizzata e non può rispondere alle condizioni di un singolo Paese. D’altra parte, è poco plausibile che la Commissione presupponga che una riduzione dei tassi d’interesse possa risultare da una minor rischiosità percepita per il debito pubblico italiano, in quanto nelle sue stesse previsioni il rapporto debito-PIL subirebbe un aumento nei primi anni del periodo di aggiustamento (2025-2028);[2]
- Minore crescita o calo di salari nominali e prezzi rispetto ad altri paesi che favorisce le esportazioni. Il verificarsi di ciò risulta però poco probabile in un contesto in cui molti paesi stanno simultaneamente adottando politiche di contenimento della domanda interna, e ancor meno alla luce dell’attuale situazione geopolitica, caratterizzata da un aumento delle barriere commerciali e da una crescente instabilità internazionale.
La Commissione stessa produce stime relative al PIL effettivo in uno scenario alternativo, chiamato “intermedio”, che non prevede chiusura dell’output gap. Tuttavia, tale scenario non risulta rilevante ai fini delle disposizioni della Commissione nei confronti degli Stati membri, in quanto la tendenza del prodotto effettivo a quello potenziale non viene messa in discussione.
Scenari alternativi
Adottando un punto di vista alternativo, in cui non vi è ragione di ritenere che esista un livello potenziale della produzione al quale quello effettivo tenda a convergere né, quindi, che gli effetti restrittivi di un consolidamento fiscale siano meramente temporanei, lo scenario che la Commissione definisce “intermedio” diventa rilevante. L’unica differenza nella metodologia di stima tra tale scenario e quello programmatico, precedentemente considerato, sta nella rimozione dell’ipotesi di riassorbimento dell’output gap, risultante dagli effetti impliciti di compensazione della restrizione fiscale.
Tabella 2: PIL effettivo, potenziale e output gap nello scenario intermedio della Commissione europea (valori in termini reali, miliardi di euro)

Figura 2: PIL effettivo e potenziale nello scenario ‘intermedio’ della Commissione europea (valori in termini reali, miliardi di euro)

Stando alle stime della stessa Commissione, se i meccanismi di compensazione dell’effetto restrittivo del consolidamento fiscale non operassero, i tassi di crescita del prodotto sarebbero significativamente più bassi e assumerebbero valori persino negativi negli anni 2027, 2030 e 2031. L’output gap, negativo a partire dal 2026, continuerebbe a crescere lungo tutto il periodo considerato.
L’abbandono dell’ipotesi che il prodotto effettivo converga verso un livello potenziale predeterminato e quindi l’idea della natura temporanea degli effetti restrittivi dei consolidamenti fiscali trova riscontro nella letteratura sull’isteresi. Il termine “isteresi”, in ambito economico, si riferisce infatti al fenomeno per cui gli effetti di shock negativi, come recessioni o consolidamenti fiscali, su variabili come il PIL e l’occupazione siano persistenti. Questo fenomeno, supportato dall’evidenza empirica,[3] non solo mette in discussione l’idea che l’economia tenda a tornare sul PIL potenziale, ma anche l’esistenza di un tasso di disoccupazione ‘naturale’ di equilibrio, che è quello associato al livello del PIL potenziale. La stima più recente per l’Italia di tale tasso di disoccupazione da parte della Commissione europea si attesta al 10%[4] – un livello piuttosto elevato e superiore a quello effettivo attuale. Il fenomeno dell’isteresi mette in dubbio la nozione di una disoccupazione di equilibrio e di un PIL potenziale predeterminati e indipendenti dalle dinamiche di domanda aggregata, verso cui l’economia tenderebbe a convergere.
Veniamo ora alle previsioni della Commissione sul rapporto debito-PIL italiano, la cui riduzione costituisce l’obiettivo ultimo del consolidamento fiscale da implementare. Le stime relative allo scenario programmatico con aggiustamento di 7 anni e a quello a politiche invariate sono riportate nella Tabella 3 e rappresentate nella figura 3.
Tabella 3: previsioni della Commissione europea sul rapporto debito-PIL, scenario programmatico e a politiche invariate (valori percentuali)

Figura 3: previsioni della Commissione europea sul rapporto debito-PIL, scenario programmatico e a politiche invariate

È possibile notare che il rapporto debito-PIL è previsto inizialmente crescere nello scenario programmatico, registrando nel 2025 un valore superiore a quello a politiche invariate, fino al 2028. Successivamente il rapporto inizierebbe a ridursi, fino a raggiungere, non prima del 2034, un valore inferiore a quello dell’anno base (137,3%), l’anno di chiusura dell’output gap.
Poniamoci ora in un’ottica in cui gli effetti restrittivi del consolidamento fiscale siano persistenti, facendo venir meno quei meccanismi di compensazione che secondo le ipotesi della Commissione entrerebbero implicitamente in gioco a partire dal secondo anno dell’aggiustamento, il 2026. Per analizzare cosa accadrebbe in questo caso al rapporto debito-PIL, faremo riferimento al contributo di Nuti (2013)[5] su come calcolare la variazione del rapporto che si otterrebbe per effetto del consolidamento rispetto allo scenario a politiche invariate, nell’ipotesi di persistenza degli effetti del moltiplicatore fiscale. Applicando la regola del quoziente possiamo scrivere:
,
dove:
= stock di debito a politiche invariate;
= PIL nominale a politiche invariate;
= variazione dello stock di debito generata dal consolidamento fiscale rispetto al livello di debito a politiche invariate dello stesso anno
;
= variazione del PIL generata dal consolidamento fiscale rispetto al PIL a politiche invariate dello stesso anno
.
Nuti esprime e
come:
[3a]
[4]
dove indica il consolidamento fiscale.
Volendo prescindere dall’ipotesi che il prodotto effettivo tenda a quello potenziale, intendiamo x in termini di saldo primario – anziché di saldo primario strutturale[6], come nei calcoli della Commissione (equazione [1]) – in percentuale del PIL effettivo:
.
Si noti, osservando la relazione [3a], che nel tentativo di calcolare la variazione dello stock di debito generata dalla manovra, rispetto allo scenario a politiche invariate, Nuti tiene conto esclusivamente dell’effetto diretto della manovra. Riteniamo opportuno, invece, riformulare l’equazione come segue:
[3b]
Riducendo il PIL di un ammontare pari a , la manovra comporta una perdita di entrate dello Stato pari a
, con z che indica l’aliquota d’imposta, e quindi una minor riduzione del debito. Inoltre, ipotizzando che gli interessi maturino sullo stock di capitale dell’anno precedente, la riduzione dello stock di debito in un anno t-1 comporta una minore spesa per interessi sul debito pubblico nell’anno t pari a
con
che indica il tasso d’interesse implicito sul debito pubblico, portando ad un’ulteriore riduzione di debito nell’anno t.
Definendo come nell’equazione [4], la variazione dello stock di debito può anche essere espressa come:

Sostituendo le equazioni [3] e [4] nella [2] otteniamo:

, [5]
da cui:
⇒ [6]
Ciò significa che il rapporto debito-PIL subirà un aumento, anziché una riduzione, per effetto di un consolidamento fiscale, ogni qual volta il valore del moltiplicatore (m) supera il termine a destra della disequazione.
La soglia individuata dall’analisi di Nuti, invece, è l’inverso del rapporto debito-PIL “di partenza”, il controfattuale, che nel nostro studio (coerentemente con le stime della Commissione europea) corrisponde allo scenario a politiche invariate. Dunque, se avessimo espresso come nella relazione [3a], seguendo l’approccio di Nuti, avremmo ottenuto
. Come è ovvio, maggiore è il rapporto debito-PIL di partenza, minore è il suo inverso e più elevata è la probabilità che il moltiplicatore sia maggiore di esso. Nuti conclude quindi che per i paesi con un elevato rapporto debito-PIL, come l’Italia, un consolidamento fiscale, posto in essere proprio per comprimere tale rapporto, condurrebbe al risultato opposto. Una tale misura avrebbe dunque l’effetto che la Commissione si attende soltanto per quei paesi che, presentando un rapporto piuttosto contenuto, non necessitano, di fatto, di essa. In Italia, ad esempio, il rapporto debito-PIL del 2024 è pari, secondo le stime di settembre della Commissione (che sono state riviste al ribasso rispetto a quelle di giugno, riportate nella tabella 5, relative alla traiettoria di riferimento oggetto del nostro studio) al 135,8%. Il suo inverso è 0,74, inferiore al moltiplicatore adottato dalla Commissione (0,75).
La soglia da noi ottenuta, descritta nella relazione [6], rispetto all’inverso del rapporto debito-PIL a politiche invariate è:
- minore, per effetto di +z al denominatore;
- maggiore, per effetto del termine tra parentesi, che è superiore all’unità (si ricordi che
è un valore negativo).
L’effetto di +z risulta più che controbilanciare quello del termine tra parentesi, rendendo la soglia della relazione [6] ancor più ridotta rispetto a quella individuata da Nuti come inverso del rapporto debito-PIL. Come dimostrazione pratica di ciò, tentiamo di stimare il valore di entrambe le soglie per ogni anno del periodo di aggiustamento in modo tale da confrontarle. A tale scopo utilizziamo l’inverso del rapporto debito-PIL a politiche invariate relativo alle stime di giugno della Commissione, riportato nella tabella 3, la serie dei tassi d’interesse impliciti sul debito previsti dalla Commissione ed il rapporto tra entrate derivanti da imposte e contributi e PIL del 2023 (41,7%)[8] come aliquota media (z).
Tabella 4: Le soglie del moltiplicatore oltre le quali il rapporto debito-PIL aumenta

Risulta dunque evidente che il moltiplicatore fiscale adottato dalla Commissione pari a 0,75, costante nel tempo e uguale per tutti gli Stati membri, supera le soglie individuate. Tali ipotesi sul valore del moltiplicatore non sono sostenute da particolari giustificazioni, salvo il riferimento a un documento di lavoro pubblicato dalla Commissione nel 2015.[9] Quest’ultimo, tuttavia, giunge ad un intervallo di stima di 0,8-0,9 e sottolinea l’incertezza delle stime e la rilevanza della composizione della manovra e delle specifiche condizioni macroeconomiche nel determinare gli effetti di un consolidamento fiscale sulla crescita. Coerentemente con tali conclusioni, altri studi evidenziano che i moltiplicatori sono più elevati nelle fasi di recessione rispetto a quelle di espansione.[10] Ai fini delle stime dei moltiplicatori sono anche rilevanti altri fattori. Ad esempio, alcuni studi mostrano come i moltiplicatori fiscali possano risultare inferiori in piccole economie aperte rispetto a grandi economie relativamente chiuse.[11] Inoltre, alcuni autori evidenziano che il moltiplicatore fiscale può essere più elevato (più basso) quando i tassi d’interesse sono bassi (alti), poiché ciò incentiverebbe (disincentiverebbe) gli operatori a richiedere prestiti e spendere.[12] Alla luce di tali considerazioni, appare quantomeno discutibile l’assunzione di un moltiplicatore costante nel tempo e comune a tutti gli Stati membri, pari a 0,75.[13]
Se il moltiplicatore fosse più elevato rispetto a quello impiegato dalla Commissione, come diversi studi suggeriscono, i nostri risultati verrebbero ulteriormente rafforzati. In effetti, diversi Stati membri, tra cui l’Italia, hanno subito nel tempo ampie revisioni delle proiezioni del rapporto debito-PIL. Ad esempio, nel 2016 la Commissione prevedeva per il 2026 un rapporto debito-PIL italiano del 110,1%. Tale valore è stato rivisto al rialzo nel 2020, prima dello scoppio della pandemia, al 137,7% e di nuovo nel 2022 al 150,3%.[14] Tali revisioni anche nel breve termine potrebbero sollevare dubbi sulle ipotesi sottostanti la DSA ed essere un segnale del fatto che la Commissione tenda a sottostimare i moltiplicatori fiscali.
Utilizzando la formula [5] e mantenendo un moltiplicatore pari a 0,75 possiamo calcolare la variazione, rispetto allo scenario a politiche invariate, del rapporto debito-PIL italiano generata ogni anno dai consolidamenti fiscali previsti dalla traiettoria di riferimento nell’ipotesi che i relativi effetti restrittivi siano persistenti. Possiamo così ottenere un andamento previsionale del rapporto per gli anni dell’aggiustamento che è ben diverso da quello dello scenario programmatico della Commissione europea.[15]
Tabella 5: Diversi scenari di previsione del rapporto debito-PIL (valori percentuali)

Figura 4: Diversi scenari di previsione del rapporto debito-PIL

Dai valori ottenuti emerge immediatamente come, rimuovendo l’ipotesi che si mettano in moto dei meccanismi di compensazione dell’effetto restrittivo del consolidamento, le previsioni sul rapporto debito-PIL siano di una crescita esponenziale che supera quella a politiche invariate. Ciò è evidentemente dovuto a riduzioni del prodotto più che proporzionali rispetto allo stock di debito. Rispetto alle previsioni della Commissione, tali risultati implicherebbero effetti negativi anche sui livelli di occupazione. Come è logico, se il moltiplicatore fosse più elevato, l’effetto restrittivo sul prodotto e quello ‘perverso’ sul rapporto debito-PIL sarebbero ancora maggiori. Si noti che nel 2025 il rapporto debito-PIL previsto dalla Commissione nello scenario programmatico risulta maggiore di quello da noi ottenuto. Ciò è riconducibile alla presenza, nei calcoli della Commissione per il 2025, di un aggiustamento stock-flussi (la parte di variazione del debito non spiegata dal deficit pubblico) del 2,3%. Per il 2025 rientra in questo aggiustamento la contabilizzazione di parte dei crediti d’imposta da Superbonus.
Abbiamo analizzato come, se si rifiuta la tendenza del prodotto effettivo a convergere verso quello potenziale e si ritiene che una manovra fiscale possa avere effetti persistenti, le politiche restrittive che le regole di governance comportano avrebbero l’effetto di rallentare la crescita e ridurre la sostenibilità del debito pubblico. Questo condurrebbe ad ulteriori manovre restrittive, conseguenti effetti depressivi, e così via. In aggiunta, il fatto che buona parte delle economie dell’area dell’euro si trovino nella condizione di implementare misure di austerità potrebbe ampliare gli effetti recessivi: essendo l’Eurozona fortemente integrata dal punto di vista commerciale, si avrebbero rilevanti spillover negativi tra le economie per effetto di riduzioni contemporanee dei livelli di domanda;[16] effetti che prescindono da, e a cui potrebbero sommarsi, quelli di politiche protezionistiche messe in atto dagli Stati Uniti. Inoltre, rallentamenti della crescita potrebbero comportare sfiducia nei mercati finanziari, rendendo il debito ancor meno sostenibile.[17]
[1] Il deficit primario strutturale è il disavanzo di bilancio pubblico calcolato al netto degli interessi sul debito e degli effetti del ciclo economico e di misure temporanee, considerando solo le componenti permanenti di entrata e spesa. Esprime la posizione fiscale “di fondo” di un Paese, utile per valutare la sostenibilità della politica di bilancio al di là delle fluttuazioni temporanee dell’economia. Si veda nota 5 per la nozione di saldo primario (non strutturale).
[2] Tabella 3.
[3] Si veda, ad esempio, Stirati, A., “Beyond the NAIRU – The Godley–Tobin Memorial Lecture”, Review of Keynesian Economics, 13(1), 2025, pagg. 1-20.
[4] Ufficio parlamentare di bilancio, Rapporto sulla politica di bilancio, giugno 2024, pag. 37 (https://www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2024/06/Rapporto_2024_pol_bil.pdf).
[5] Nuti, D. M., “Perverse Fiscal Consolidation” (http://www.insightweb.it/web/files/perverse_fiscal_consolidation.pdf), versione italiana (2013) “Gli effetti perversi del consolidamento fiscale”, Sbilanciamoci.
[6] Il saldo primario è la differenza tra le entrate e le spese dello Stato, al netto degli interessi sul debito pubblico. Indica quindi la capacità del settore pubblico di finanziare le proprie spese correnti senza ricorrere all’indebitamento per pagare gli interessi. Tale saldo si distingue da quello strutturale in quanto quest’ultimo è calcolato al netto di fluttuazioni cicliche e misure temporanee (cfr. nota 1 sopra).
[7] Per ogni anno del periodo di aggiustamento, la variazione dello stock di debito sarebbe:

[8] Total receipts from taxes and social contributions (including imputed social contributions) after deduction of amounts assessed but unlikely to be collected, Eurostat (https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/gov_10a_taxag__custom_13541241/bookmark/table?lang=en&bookmarkId=ff49dd66-ef00-4307-b0a6-8191b9bc2076).
[9] Carnot, N., de Castro, F. (2015) “The Discretionary Fiscal Effort: An Assessment of Fiscal Policy and its Output Effect”, European Commission, European Economy, Economic Papers 543.
[10] Si vedano, ad esempio, Fernández-Romero, D. (2023), “The Fiscal Multiplier in Presence of Unconventional Monetary Policy: Evidence for 17 OECD countries”, Paper prepared for presentation at the October, 2023 Forum for Macroeconomics and Macroeconomic Policy (FMM) Conference, pag. 2; Heimberger. P., Welslau, L., Schütz, B., Gechert, S., Guarascio, D., Zezza, F. (2024), “Debt Sustainability Analysis in Reformed EU Fiscal Rules”, Intereconomics, 59(5), pag. 278.
[11] Si veda, ad esempio, Chinn, M. D. (2013), “Fiscal Multipliers”, Working Paper Series, La Follette School Working Paper No. 2013-002, pag. 6.
[12] Si veda, ad esempio, Fernández-Romero, D. (2023), “The Fiscal Multiplier in Presence of Unconventional Monetary Policy: Evidence for 17 OECD countries”, Paper prepared for presentation at the October, 2023 Forum for Macroeconomics and Macroeconomic Policy (FMM) Conference, pag. 3.
[13] Si veda Audizione del Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio dell’1 marzo 2023 presso le Commissioni di bilancio congiunte del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati nell’ambito dell’esame della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Comunicazione sugli orientamenti per una riforma del quadro di governance economica dell’UE (COM(2022)583 final) (https://www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2023/03/Audizione-governance-europea.pdf), pag. 9.
[14] Heimberger, P. (2023), “Debt sustainability analysis as an anchor in EU fiscal rules. An assessment of the European Commission’s reform orientations, in-depth analysis requested by the ECON committee of the European Parliament”, pag. 15.
[15] Lo scenario previsionale alternativo relativo al rapporto debito-PIL qui presentato è ottenuto a partire dai dati sul rapporto debito-PIL a politiche invariate per il periodo 2024-2031 forniti dalla Commissione europea, a cui abbiamo applicato la variazione del rapporto generata dalla manovra, calcolata secondo la formula [5], che non assume alcun riassorbimento degli effetti restrittivi di ogni consolidamento fiscale:

Tale formula esprime la variazione annuale del rapporto, rispetto allo scenario a politiche invariate, generata da ogni consolidamento fiscale imposto dalle regole di governance. I dati a politiche invariate ed il valore del moltiplicatore (m) impiegati sono quelli forniti dalla Commissione. Il consolidamento fiscale annuale (x) corrisponde a quello imposto dalle regole, espresso però, a differenza delle elaborazioni della Commissione, in termini di saldo primario anziché di saldo primario strutturale, volendoci discostare dall’ipotesi della tendenza del prodotto effettivo verso quello potenziale. La formula [5] è stata ottenuta esprimendo la variazione del PIL come generata per effetto del moltiplicatore fiscale. La variazione dello stock di debito invece tiene conto sia dell’effetto diretto del consolidamento (riduzione del deficit) che: a) della perdita di entrate fiscali (quantificata impiegando come aliquota media z il rapporto tra entrate derivanti da imposte e contributi e PIL del 2023 fornita da Eurostat) dovuta alla contrazione del PIL; b) della minore spesa per interessi sul debito dovuta alla riduzione dello stock di debito dell’anno precedente, ipotizzando che gli interessi maturino sullo stock di capitale dell’anno precedente ed impiegando la serie dei tassi d’interesse impliciti sul debito previsti dalla Commissione ().
[16] Blanchard, O. J., Leandro, A., Zettelmeyer, J. (2021), “Redesigning EU fiscal rules: from rules to standards”, Economic Policy, 36(106), pag. 209; Heimberger, P. (2023), “Debt sustainability analysis as an anchor in EU fiscal rules. An assessment of the European Commission’s reform orientations, in-depth analysis requested by the ECON committee of the European Parliament”, pag. 10.
[17] Cottarelli, C., Jaramillo, L. (2012), “Walking Hand in Hand: Fiscal Policy and Growth in Advanced Economies”, IMF Working Paper WP/12/137, pag. 6.