Espansioni della domanda e partecipazione femminile alla forza lavoro: nuove evidenze empiriche

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Il recente interesse per le disuguaglianze di genere, segnalato dalla crescente presenza nei dibatti politici ed economici, è certamente una novità positiva. Per quanto riguarda la narrativa economica (divulgativa e accademica), forse mai come lo scorso anno ci si è concentrati sulla problematica dell’occupazione femminile e della partecipazione delle donne alla forza lavoro, una tematica che ha anche portato l’economista americana Claudia Goldin a ricevere il Premio Nobel per l’economia.

Introduzione

Il recente interesse per le disuguaglianze di genere, segnalato dalla crescente presenza nei dibatti politici ed economici, è certamente una novità positiva. Per quanto riguarda la narrativa economica (divulgativa e accademica), forse mai come lo scorso anno ci si è concentrati sulla problematica dell’occupazione femminile e della partecipazione delle donne alla forza lavoro, una tematica che ha anche portato l’economista americana Claudia Goldin a ricevere il Premio Nobel per l’economia.

L’interesse per questi temi deriva, oltre che dal lavoro di anni di tante, ottime economiste, anche probabilmente dalla presa di coscienza di un fenomeno (quello della partecipazione femminile) che sembrava risolto con le ondate di forti incrementi nella forza lavoro femminile del secolo scorso, ma che si è raffreddato intorno a livelli insufficienti per la maggior parte dei paesi OCSE. Questo problema è particolarmente rilevante per il contesto italiano a causa dei bassi tassi di partecipazione femminile, fermi al 57.7% nel 2023, molto lontani dalla media europea pari al 70.3%. Sempre in relazione al caso italiano, la presenza di così tante donne al di fuori del mercato del lavoro è in netta contrapposizione con una parte importante del discorso pubblico che riguarda la natalità e il problema dell’invecchiamento demografico come limiti della crescita del lavoro e quindi della produzione. Infatti, anche prescindendo da questi fattori, la presenza massiccia di donne inattive fa sì che la forza lavoro abbia un ampio margine di crescita proprio in virtù di un loro maggiore coinvolgimento.

La letteratura economica ha proposto numerose spiegazioni circa le cause di questo trend, individuando vari fattori che agiscono da ostacolo alla partecipazione femminile alla forza lavoro. Tra questi, i principali risultano essere le scelte di fecondità, in quanto storicamente la nascita di un figlio ha un effetto negativo sull’occupazione della madre (De Philippis e Lo Bello, 2024); il peso del lavoro di cura, sproporzionalmente affidato alle donne, (Ngai e Petrongolo, 2017; De Henau et al., 2017) e la segregazione occupazionale (Goldin, 1995; Bettio, 2010).

I fattori individuati hanno indiscutibilmente un peso nella determinazione dell’occupazione e della partecipazione femminile alla forza lavoro nei paesi più sviluppati, ed è impensabile raggiungere l’equità sul mercato del lavoro senza affrontare queste problematiche specifiche. In questo studio, tuttavia, si cerca di ampliare il dibattito e presentare un ulteriore elemento che tende a essere posto in secondo piano negli studi sul tema. In particolare, facendo riferimento alla letteratura keynesiana, si propone un’analisi dell’impatto che espansioni della domanda possono avere proprio sulla partecipazione femminile alla forza lavoro.

Numerosi studi hanno dimostrato l’effetto positivo, anche nel lungo periodo e non solo nel ciclo, di espansioni fiscali sull’occupazione e sulla partecipazione alla forza lavoro (Brückner e Pappa, 2012; Girardi et al., 2020; Fazzari e Gonzalez, 2023, Di Domenico et al., 2024) e il framework keynesiano offre un assetto teorico in grado di giustificare ampiamente questi risultati. Recenti sviluppi della letteratura hanno analizzato la relazione tra componenti della domanda aggregata e risultati economici nel lungo periodo, indagando se le espansioni della domanda autonoma e della spesa pubblica abbiano effetti persistenti su reddito, produttività e occupazione, trovandone conferme empiriche (Deleidi e Mazzucato, 2019; Girardi et al., 2020, Di Domenico et al., 2024).

Fazzari et al. (2020) basano il proprio modello sull’estensione al lungo periodo dell’ipotesi keynesiana: le componenti dell’offerta, tra cui l’offerta di lavoro, convergono nel lungo periodo a un sentiero di crescita trainato dalla domanda. Nel loro contributo, un aumento nel tasso di crescita della domanda autonoma porta a un crollo del tasso di disoccupazione, stimolando l’aumento della produttività e del tasso di crescita dell’offerta di lavoro. Gli autori, pur considerando l’offerta di lavoro come un limite alla crescita nelle cosiddette economie mature, le riconoscono comunque un certo grado di endogeneità nel lungo periodo[1]. In generale, dunque, questo filone di ricerca sostiene e prova che, nel lungo periodo, la crescita dell’offerta di lavoro possa ostacolare solo marginalmente, o non ostacolare affatto, la crescita trainata dalla domanda. Vale a dire che, se la domanda aggregata registrasse un aumento sostenuto, tanto la capacità produttiva che l’offerta di lavoro ne sarebbero positivamente influenzate (Girardi et al., 2020; Di Domenico et al., 2024). Le dinamiche esposte fino ad ora sono solitamente verificate per la forza lavoro totale, senza che vengano fatte distinzioni di genere. In pochi casi, come in Fazzari et al. (2020), anzi, la partecipazione femminile viene trattata come esogena.

In questo studio si vuole dimostrare che l’attuale sottoimpiego del lavoro femminile, sotto forma di elevati tassi di inattività, possa essere imputato anche a una debole dinamica della domanda aggregata e che, quindi, politiche di stimolo demand-side possano avere effetti positivi sulla partecipazione femminile alla forza lavoro. Ci si aspetta infatti che la partecipazione femminile reagisca positivamente a espansioni della domanda autonoma e della spesa pubblica in ragione di tre principali canali di trasmissione: il primo canale fa riferimento al generale effetto positivo che espansioni della domanda aggregata hanno sul mercato del lavoro. Come riportato da Girardi et al. (2020), infatti, un aumento della domanda aggregata persistente è in grado di stimolare gli investimenti necessari ad aumentare la capacità produttiva e, in un’economia con sufficiente slack del mercato del lavoro, a fornire occupazione non solo a lavoratori non occupati ma anche sottoccupati e scoraggiati, quindi fuoriusciti dal mercato del lavoro. A risultati simili giungono Di Domenico et al. (2024) i quali trovano che un aumento della domanda autonoma produca effetti persistenti e positivi sulla capacità produttiva istallata e anche sulla forza lavoro, portando a una riduzione del tasso di disoccupazione effettivo solo temporaneo, proprio in virtù dell’aumento della forza lavoro. In ragione di questi risultati empirici, si può ipotizzare che l’espansione della forza lavoro causata da un aumento della domanda autonoma vada a beneficio anche della partecipazione femminile, permettendoci di individuare un primo canale di trasmissione.

 I restanti due canali di trasmissione riguardano il ruolo specifico della spesa pubblica e di come essa interagisca con la condizione femminile sul mercato del lavoro. In particolare, il secondo canale prevede che un aumento della spesa pubblica nei settori quali la sanità e l’istruzione (le classi di spesa cosiddette sociali) riduca il peso del lavoro di cura e riproduzione sociale che gravano sulle spalle delle donne. Grazie a questa riduzione del lavoro di cura, almeno una parte della popolazione femminile potrà dedicare più tempo al lavoro salariato, con un conseguente aumento dell’offerta di lavoro (Oyvat e Onaran, 2020). In ultimo, è ampiamente documentato in letteratura che le donne tendono a essere maggiormente rappresentate nel settore pubblico: le espansioni fiscali hanno quindi la capacità di creare domanda di lavoro proprio nei settori in cui le donne tendono a essere occupate in maggior numero.

Qui proponiamo una stima che ha l’obiettivo di verificare l’effetto macroeconomico di espansioni della domanda aggregata sulla partecipazione femminile alla forza lavoro. L’effetto viene stimato per un panel di 27 paesi OCSE attraverso una metodologia combinata SVAR – Local Projection. In particolare, utilizzeremo la metodologia del local projection (Jordà, 2005) per stimare l’effetto di uno shock alla domanda autonoma sulla partecipazione femminile. Lo shock esogeno sarà ottenuto facendo ricorso a un modello SVAR applicando un approccio ricorsivo in cui le variabili sono ordinate dalla più esogena alla meno esogena, imponendo che la prima variabile non abbia relazioni contemporanee (ovvero non sia influenzata nello stesso periodo) con nessun’altra variabile del modello.

I risultati prodotti dimostrano che espansioni esogene della domanda autonoma sono associate a un aumento persistente della partecipazione femminile alla forza lavoro. Questa evidenza empirica supporta l’ipotesi che la domanda sia in grado di determinare il livello dell’offerta e che gli alti livelli di inattività femminili sono parzialmente sintomo di ridotte opportunità lavorative, scarsa attività economica e insufficiente spesa pubblica.

Metodologia

L’analisi qui presentata è stata condotta su dati annuali relativi a 27 paesi OCSE – scelti sulla base della disponibilità dei dati – per il periodo 1960 – 2016. Le variabili y considerate sono la domanda autonoma (AD), calcolata come la somma tra esportazioni (X), spesa pubblica per consumi (G_C) e spesa pubblica per investimenti (G_I) al netto del pagamento degli interessi sul debito; il prodotto interno lordo (PIL); il tasso di disoccupazione (UN) e il tasso partecipazione femminile alla forza lavoro (LFP_F). Le variabili macroeconomiche, quindi il PIL, la domanda autonoma e tutte le sue componenti, sono state convertite in termini reali applicando il deflatore del PIL e trasformate in termini logaritmici. Per le variabili riguardanti il mercato del lavoro la popolazione di riferimento consiste nella fascia 15 – 64 anni.

In linea con la letteratura di riferimento (Auerbach e Gorodnichenko, 2017; Deleidi et al., 2023; Paternesi Meloni et al., 2022; Romaniello e Stirati, 2024) verrà impiegata la metodologia delle local projection (Jordà, 2005). Questa metodologia consente di studiare l’effetto di uno shock esogeno sulle variabili di interesse su un orizzonte temporale esteso, consentendoci quindi di apprezzare l’effetto dinamico, ossia per i periodi successivi alla realizzazione dello shock. L’equazione (1) rappresenta l’equazione della local projection ed è utilizzata per ottenere le Funzioni di risposta a impulso (IRF):

Nell’equazione di regressione (1) i pedici i e t identificano rispettivamente i paesi e il tempo, yi,t+h rappresenta il vettore delle variabili di interesse, Si,t lo shock esogeno di domanda autonoma. βh è il coefficiente che descrive l’effetto dello shock sulla nostra variabile di interesse in ogni orizzonte temporale h. αih e δth rappresentano una serie di effetti fissi paese e tempo, la prima sommatoria riporta i lag del vettore delle variabili dipendenti, mentre xi,t è il vettore delle variabili di controllo. Le variabili di controllo che vengono incluse comprendono: la domanda autonoma (AD), il PIL (GDP) e il tasso di disoccupazione (UN).  

Partendo da shock iniziale nel periodo t, la regressione (1) viene reiterata per ogni variabile di interesse yi,t+h per tutti gli orizzonti temporali t+h (17 anni nel nostro caso). Ordinando in sequenza i coefficienti βh stimati si ottengono le IRF. In pratica, i coefficienti stimati indicano l’impatto nell’anno t+h di uno shock di domanda autonoma avvenuto nel periodo t.

Gli shock esogeni di domanda autonoma, Si,t, sono stimati tramite una strategia basata su restrizioni di breve periodo e su un ordinamento ricorsivo (Bachmann e Sims, 2012; Ciaffi et al., 2023; Deleidi et al., 2021) che consiste nell’ordinare le variabili in base all’influenza che subiscono, nelle relazioni contemporanee, dalle altre variabili del modello. La domanda autonoma, definita come spesa pubblica per consumi, spesa pubblica per investimenti ed esportazioni, (AD) è ordinata come prima variabile; il PIL è ordinato come seconda variabile; il tasso di disoccupazione (UN) è la terza variabile e il tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro è la quarta variabile nell’ordinamento delle relazioni contemporanee.

Gli shock di domanda autonoma così identificati vengono inseriti nell’equazione (1), dalla quale si stima si stima il parametro βh per tutte le variabili di interesse. βh rappresenta la risposta del PIL, del tasso di disoccupazione e della partecipazione femminile alla forza lavoro a uno shock di domanda autonoma nel momento dello shock e in h orizzonti temporali successivi, che in questo caso corrispondono a 17 anni. Nel caso presentato i parametri βh consistono nelle elasticità delle variabili allo shock. Dalle stime dei parametri βh per ogni variabile e orizzonte temporale h si ricavano le funzioni di risposta a impulso (IRFs) in cui i parametri vengono rappresentati in sequenza per ogni variabile.

Risultati

I grafici in figura 1 riportano le IRFs stimate con la metodologia presentata. I risultati mostrano, in linea con la letteratura, che shock positivi di domanda autonoma hanno un effetto positivo e persistente sul prodotto interno lordo. L’effetto sul tasso di disoccupazione è più contenuto, poiché dopo una riduzione iniziale, la disoccupazione torna ad aumentare fino a un livello pre-shock, sebbene perda di significatività dopo 11 periodi. Il quarto riquadro riporta l’evoluzione dell’elasticità del tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro, la nostra principale variabile d’interesse, agli shock di domanda autonoma. La risposta è significativa, positiva e persistente. In particolare, una variazione positiva della domanda autonoma pari all’1% nel primo anno si associa a un aumento del tasso di partecipazione femminile di circa 0,1 punti percentuali all’ ottavo anno dopo lo shock e sempre significativa fino al tredicesimo anno[2].  

Figura 1. Effetti della domanda aggregata sulla domanda aggregata, PIL, tasso di disoccupazione e tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro

Fonte: nostre elaborazioni su dati OCSE e ILO, 1960 – 2016
Conclusioni

Recentemente, numerosi dibatti in ambito politico e accademico si sono interessati ai risultati delle donne sul mercato del lavoro. Un primo filone concerne la discriminazione delle donne sul mercato del lavoro, che tendono ad avere tassi di disoccupazione più alti degli uomini e tassi di occupazione inferiori: le principali motivazioni che sono state addotte per spiegare questo fenomeno sono riassumibili principalmente nel ruolo del lavoro di cura e nella segregazione occupazionale. Una seconda tipologia di dibatti riguarda i tassi di natalità decrescenti e le implicazioni che una riduzione del tasso di crescita della popolazione può avere per la sostenibilità del sistema di welfare e del sistema economico.

L’analisi presentata suggerisce delle risposte per entrambe le questioni. Infatti, si è detto che è fondamentale che vengano attuate politiche volte a sollevare gli ostacoli che le donne incontrano nel loro percorso sul mercato del lavoro. In particolare, è imperativo mettere in atto un ampiamento dei servizi di cura pubblici che possano accompagnare la crescita dell’entrata delle donne nella forza lavoro senza imporre un “doppio lavoro” (salariato e di cura). Dall’altra parte, i nostri risultati dimostrano che per aumentare la partecipazione femminile alla forza è necessario implementare delle politiche espansive di supporto alla domanda aggregata per aumentare la domanda di lavoro.

Per quanto riguarda la seconda questione, i risultati che abbiamo presentato dimostrano che l’offerta di lavoro femminile è sensibile alle variazioni della domanda aggregata. Stimolare la natalità non è l’unica strada per aumentare il bacino della forza lavoro, soprattutto in un contesto di diffuso spreco di lavoro (Antenucci et al., 2023) e garantire la sostenibilità dei sistemi di welfare. Questi obiettivi possono essere raggiunti tramite la riduzione della disoccupazione, la regolarizzazione dei contratti precari e l’ampliamento della forza lavoro andando ad attingere alle “forze di lavoro potenziali”, come il bacino delle donne inattive – che già in passato, come l’esperienza delle guerre mondiali ci conferma, hanno dimostrato di essere più che disponibili a entrare sul mercato del lavoro, nel momento in cui la domanda lo richiede.

Bibliografia

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[1] Gli autori definiscono economia mature quelle economie che hanno sperimentato situazioni prossime alla piena occupazione (Skott, 2010; Fazzari et al., 2020). Un certo grado di endogeneità è riconosciuto, oltre che alla forza lavoro, anche alla produttività, in ottemperanza alla legge Kaldor-Verdoorn. (Fazzari et al., 2020; Fazzari e González, 2023)

[2] Ai fini di corroborare questo risultato è stato testato anche l’effetto di un aumento del tasso di disoccupazione totale sul tasso di partecipazione femminile. I risultati ottenuti certificano che un aumento del tasso di disoccupazione dell’uno percento si associa a una caduta persistente del tasso di partecipazione femminile e pari a -0.4 punti percentuali dopo 8 periodi. Poiché è stato utilizzato un modello simmetrico, tali risultati preliminari sembrano confermare che un aumento della domanda aggregata, responsabile di una caduta del tasso di disoccupazione, possa anche determinare un aumento del tasso di partecipazione.

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