Lavoro e salari: un punto di vista alternativo sulla crisi

Scarica pdf Partecipa alla discussione Torna indietro Home

Political and social notes

L’ultimo libro di Antonella Stirati, docente di economia all’Università Roma Tre e figura di riferimento nel dibattito tra economisti “eterodossi”, ha un titolo – Lavoro e salari – che già richiama due argomenti cruciali per l’economia italiana. Ma, come vedremo, nel volume c’è molto di più.

Il lavoro è introdotto da una prima parte teorica, ma affrontata con un linguaggio divulgativo, in cui l’autrice sintetizza i punti salienti dell’approccio dominante alla macroeconomica, che chiameremo anche “ortodosso”, o mainstream, contrapponendolo ad approcci alternativi, o “eterodossi”, alla spiegazione del funzionamento dei sistemi economici. L’approccio dominante ritiene che l’operare indisturbato dei mercati garantisca crescita economica e un tasso minimo di disoccupazione compatibile con bassi livelli di inflazione. Nelle parole di Solow, il PIL reale tende a crescere fluttuando intorno ad un trend “prevalentemente determinato dal lato dell’offerta”, ossia dalla disponibilità di fattori produttivi e dalla loro produttività, mentre “le fluttuazioni [attorno al trend] sono prevalentemente determinate da impulsi della domanda aggregata”.[i] Questa visione del funzionamento del sistema economico ha influenzato la costruzione delle istituzioni europee, spingendo alla privatizzazione delle imprese pubbliche, e costruendo intorno alla moneta unica un sistema di regole che limita fortemente la capacità della politica fiscale di contribuire a politiche di piena occupazione, mentre restringe il mandato della Banca Centrale Europea al controllo dell’inflazione. I limiti della teoria ortodossa erano già stati individuati da Keynes, e il ruolo della domanda aggregata individuato nella Teoria Generale è tuttora uno dei pilastri del pensiero divenuto oggi “eterodosso”, così come l’idea che l’agire spontaneo dei mercati non implichi risultati soddisfacenti in termini di sviluppo e occupazione. L’autrice ricorda che il pensiero eterodosso non discende solo da Keynes, ma anche dai contributi di Kalecki, dalla rivisitazione del pensiero dei classici tramite i contributi di Sraffa, con una presenza importante nel dibattito internazionale di economisti italiani quali Pasinetti, Sylos-Labini, Garegnani, Graziani, Caffè.

Potremmo dire che la nuova ortodossia abbia origine nell’attacco alle teorie keynesiane portato da Lucas, Barro ed altri negli anni ’70, che ha dato origine al pensiero ortodosso moderno basato sull’idea che la macroeconomia debba partire dall’analisi dei comportamenti ottimizzanti degli individui – cioè dalla microeconomia di un astratto mondo di concorrenza e razionalità – e che solo questo approccio dia dignità “scientifica” all’economia, e che chi segue approcci alternativi –gli “eterodossi” – sia da confinare alle cattedre di storia del pensiero economico. Il prevalere di questo approccio è stato rafforzato dalla disponibilità di finanziamenti, mentre il sostegno finanziario all’eterodossia si prosciugava, alla selezione dei contributi degni di apparire sulle riviste scientifiche “di fascia A”, e di conseguenza sulle possibilità di carriera accademica di chi aderiva all’approccio ortodosso.

Il culmine del successo dell’ortodossia si raggiunge prima della Grande Recessione del 2007. Come è noto, gli economisti ortodossi furono colti di sorpresa dalla crisi – laddove alcuni eterodossi l’avevano prevista – e questo ha innescato un ripensamento critico, portando i più lungimiranti ad ammettere che un maggiore “pluralismo” in economia sia inevitabile, come richiesto tra l’altro a gran voce dai movimenti studenteschi che hanno portato alla nascita di Rethinking Economics (www.rethinkeconomics.org). C’è da dire che, a oltre 13 anni dalla Grande Recessione, se è vero che l’interesse per l’economia eterodossa è aumentato, il sostegno concreto al pluralismo – in termini di finanziamenti, valutazione delle pubblicazioni e conseguenti opportunità di carriera – è ancora marginale.

Eppure, come emerge dalla lettura della seconda parte del volume, l’approccio eterodosso ha fornito spesso, se non sempre, delle interpretazioni che si sono rivelate più realistiche ed efficaci rispetto a quelle ortodosse. La seconda parte del volume raccoglie contributi a carattere divulgativo che l’autrice ha pubblicato tra il 2008 e il 2020. Questa lettura costituisce così una utile ricostruzione del dibattito su diverse tematiche legate al mercato del lavoro, ma non solo: dalle questioni di genere alla dinamica dei salari, dalla disoccupazione alle riforme del mercato del lavoro, dalla politica monetaria basata su “l’inafferrabile Nairu” alla crisi in corso legata alla pandemia.

Ricorrono spesso riferimenti alla “Lettera degli economisti” (http://www.letteradeglieconomisti.it/) promossa anche dall’autrice nel 2010, in cui si denunciavano i rischi insiti nelle politiche di austerità. La storia ha mostrato come la visione dei firmatari della Lettera fosse lungimirante: il fallimento delle politiche di austerità in Grecia, ad esempio, è stato ammesso dalle istituzioni che le avevano promosse – come il Fondo Monetario Internazionale – solo dopo anni di disoccupazione e povertà inflitti al popolo greco.

Nonostante questo, ancora oggi sono troppo numerosi gli economisti che ricoprono il ruolo di “consiglieri del principe” che ritengono che il debito pubblico sia il problema più rilevante, e che l’austerità sia lo strumento per combatterlo, anche dopo la crisi economica ancora in corso dovuta alla pandemia, che – tra le altre conseguenze – ha mostrato i danni provocati dai tagli alla sanità pubblica Su questo un passaggio della Lettera è ancora attualissimo:

Vi è infatti chi vede nell’attuale crisi una occasione per accelerare i processi di smantellamento dello stato sociale, di frammentazione del lavoro e di ristrutturazione e centralizzazione dei capitali in Europa. L’idea di fondo è che i capitali che usciranno vincenti dalla crisi potranno rilanciare l’accumulazione sfruttando tra l’altro una minor concorrenza sui mercati e un ulteriore indebolimento del lavoro.

Per contrastare queste tendenze, ci auguriamo che il lavoro della Stirati possa essere di riferimento per affrontare problemi cruciali dell’economia italiana già prima della pandemia, e che dalla pandemia sono stati acuiti: la mancanza di lavoro “regolare”, e l’entità del lavoro sommerso, in particolare nel Mezzogiorno, come testimoniato dal tasso di partecipazione alla forza lavoro (Figura 1) che in Italia è più basso che in altri Paesi, e che nel Mezzogiorno è addirittura diminuito; la qualità dei posti di lavoro: l’Italia, dopo la Grecia, ha la maggior percentuale di lavoratori costretti al part-time per mancanza di lavoro a tempo pieno (Figura 2), fenomeno che si collega alla crescente povertà anche tra chi ha un posto di lavoro; la stagnazione delle retribuzioni a fronte dell’aumento nelle rendite, ecc.

Ho apprezzato il passaggio nella prefazione in cui l’autrice ammette che una delle motivazioni del libro è mostrare che “noi lo avevamo detto”. Ma la soddisfazione delle Cassandre è ben magra! L’auspicio è che la diffusione delle idee contenute in questo libro e nel lavoro degli economisti oggi “eterodossi” sia invece finalmente incisiva per le scelte di governo.


[i] Citato in Stirati (2020) p.20

economiaepolitica.it utilizza cookies propri e di terze parti per migliorare la navigazione.