L’8 novembre si è spento Luciano Gallino, sociologo di fama internazionale, che è stato un critico della globalizzazione e della precarizzazione del lavoro, e ha per primo chiarito le ragioni del declino italiano. Quando decidemmo di fondare www.economiaepolitica.it/, nel 2008, lui accettò subito la nostra proposta di fare parte del Comitato Scientifico, insieme a Pierangelo Garegnani e ad Augusto Graziani. La redazione della rivista partecipa alla commozione del mondo della cultura per la scomparsa del grande studioso.
È stato maestro di tanti di noi sociologi, soprattutto di quelli che si occupano di lavoro, di industria, di economia e di processi culturali. Ci ha spiegato (nel 2000) la globalizzazione e le disuguaglianze che si stavano creando sotto i nostri occhi ma che non vedevamo, tutti affascinati della favola delle nuove tecnologie e della new economy. Ha scritto molto di lavoro ricordandoci che è e resta (e deve restare) un diritto e non deve (non dovrebbe) diventare una merce come invece è diventato e ci ha spiegato gli effetti perversi della flessibilizzazione (Se tre milioni vi sembran pochi, 1998; Il costo umano della flessibilità, 2002; Il lavoro non è una merce, 2007). Ha scritto – lui olivettiano – dell’impresa responsabile secondo Adriano Olivetti e di quella, a contrario, del tutto irresponsabile (2005) che ha conquistato il mondo negli ultimi decenni, definendo quindi come irresponsabile quell’impresa che “al di là degli elementari obblighi di legge suppone di non dover rispondere ad alcuna autorità pubblica e privata, né all’opinione pubblica, in merito alle conseguenze in campo economico, sociale e ambientale delle sue attività”.
Ha criticato il neoliberismo come ideologia e come trasformazione del mondo e della società in mercato e in impresa. Ha contestato (nel 2003) il disastro industriale dell’Italia, disastro che continua ancora oggi. Ha indagato i rapporti difficili tra tecnologia e democrazia (2007). Ha analizzato soprattutto, negli ultimi anni i processi di finanziarizzazione dell’economia, ovvero il passaggio alla produzione di denaro mediante denaro, con l’ulteriore e perversa transizione dalla produzione di valore (costruire una scuola o una casa, creare un posto di lavoro retribuito) alla estrazione di valore (aumentare la produttività e gli orari di lavoro a parità di salario, imporre un prezzo artificiosamente alto a una nuova medicina, distruggere un bosco per farne un parcheggio). Finanziarizzazione dell’economia e poi, e peggio, la risposta dell’Europa alla crisi del 2007, le politiche di austerità e la stupidità al potere – ed ecco allora: Con i soldi degli altri (2009), Finanzcapitalismo (2011), Il colpo di Stato di banche e governi e L’attacco allo stato sociale (2013), l’intervista a Paola Borgna sulla lotta di classe dopo la lotta di classe (2012). Su tutto, il suo fondamentale Dizionario di sociologia – ma ci piace ricordare anche la sua bellissima Introduzione a L’uomo a una dimensione di Marcuse.
Luciano Gallino ci ha lasciato e tutti sentiamo un grande vuoto dentro e attorno. Ancora poche settimane fa avevamo discusso insieme di ordoliberalismo. Ha lavorato fino alla fine perché guardava sempre avanti e progettava sempre cose nuove. Un uomo libero, Luciano Gallino, libero come oggi ce ne sono sempre meno. Poi, ha vinto la malattia. E il vuoto che lascia.
Luciano Gallino era un intellettuale che amava dunque il pensiero critico (“inteso quale capacità di esercitare un giudizio cercando quali alternative esistono anche in situazioni dove non sembrano essercene, e di scegliere tra di esse guardando a quelle che vanno in direzione dei fini ultimi piuttosto che alla massimizzazione dell’utile”) e non smetteva di praticarlo e di insegnarlo. Perché era importante (è sempre importante, anche se faticoso) dire il vero, smascherare le menzogne del potere perché, come recita la frase di Rosa Luxemburg citata da Gallino nel suo ultimo libro (uscito pochi giorni prima della morte) Il denaro, il debito e la doppia crisi, spiegati ai nostri nipoti: Dire ciò che è, rimane l’atto più rivoluzionario. Perché, appunto dire ciò che è e non ripetere ciò che il potere dice, questa sì è cosa davvero rivoluzionaria in una società – la nostra – conformista negando di esserlo, plagiata senza crederlo, manipolata incessantemente da una pedagogia neoliberista in servizio permanente.
Potrei ricordare che il mio primo incontro con Gallino risale a 15/20 anni fa, potrei riordinare le tante discussioni via mail, richiamare i commenti reciproci ai nostri articoli, la condivisione delle ultime scelte politiche (tranne una: ci divideva il giudizio sull’Euro, lui propenso a uscirne, io ostinatamente convinto di non doverlo fare). Invece preferisco prendere il suo ultimo libro provando appunto a recuperare pezzi di questo suo testamento politico e intellettuale – non saprei come altrimenti chiamarlo – che lui aveva appunto dedicato ai nipoti, ma in fondo tutti siamo oggi in qualche modo suoi nipoti. Un libro amaro, perché “quel che vorrei provare a raccontarvi è per certi versi la storia di una sconfitta politica, sociale e morale. Abbiamo visto scomparire due idee e relative pratiche che giudicavamo fondamentali: l’idea di uguaglianza, e quella di pensiero critico”. Con l’inevitabile conseguenza che “ad aggravare queste due perdite si è aggiunta, come se non bastasse, la vittoria della stupidità”. L’uguaglianza: che oggi è dimenticata. Eppure, era stata un’idea forte del secolo scorso, soprattutto negli anni ’30 del ‘900 con Roosevelt negli Usa; e in Europa, nei primi (gloriosi) trent’anni dopo il 1945, con la nascita dei sistemi di welfare, le politiche keynesiane, la redistribuzione dei redditi dall’alto verso il basso e la quasi eutanasia del rentier. Poi, sul finire degli anni ’70 è iniziato un attacco ideologico (ancora la stupidità) all’idea di uguaglianza (e quindi, aggiungiamo, anche all’idea di fraternità e solidarietà e conseguentemente alla stessa libertà). Mentre venivano organicamente effettuati “tagli micidiali all’istruzione, all’università, alle pensioni, alla sanità, in base all’assunto (del tutto falso) che eravamo tutti vissuti al di sopra dei nostri mezzi”, facendoci dimenticare che invece proprio il nostro dover vivere al di sopra dei nostri mezzi era stata la strada obbligata (facendoci indebitare) per garantire la sopravvivenza al sistema capitalista. E allora, ecco che le riforme economico-sociali imposte dall’Europa “lasciano chiaramente intendere che in gioco non c’è soltanto la demolizione dello stato sociale, ma la ristrutturazione dell’intera società secondo il modello della cultura politica neoliberale, o meglio di una sua variante: l’ordoliberalismo”. E ancora: “Causa fondamentale della sconfitta dell’uguaglianza è stata, dagli anni Ottanta in poi, la doppia crisi, del capitalismo e del sistema ecologico, quest’ultima strettamente collegata con la prima”. Perché alla sua crisi a molte facce, il capitalismo ha reagito “accrescendo lo sfruttamento irresponsabile dei sistemi che sostengono la vita nonché ostacolando in tutti i modi gli interventi che sarebbe necessario adottare prima che sia troppo tardi. Il tutto con il ferreo sostegno di una ideologia, il neoliberalesimo, che riducendo tutto e tutti a mere macchine contabili dà corpo a una povertà del pensiero e dell’azione politica quale non si era forse mai vista nella storia”. E quindi, la crisi del capitalismo e la crisi ecologica “non sono due eventi che si possano affrontare separatamente”.
Che fare? Gallino chiude il suo libro con un capitolo quinto – scendendo molto nel concreto – dedicato alla ricerca di alternative. E alla ricerca di un nuovo soggetto politico e sociale capace almeno di ri-democratizzare il capitalismo. Cosa non facile – questo capitalismo esercita una vera e propria egemonia – ma forse ancora possibile. Servono una massa adeguata di elettori e “un gruppo di dirigenti capaci di diffondere le idee per una svolta politica”. Qualcosa forse si muove, scrive Gallino. E tuttavia, se una vera forza di opposizione non si formasse neppure ora, “quello che ci attende è un ulteriore degrado dell’economia e del tessuto sociale”. E quindi, ancora un invito ai nipoti, cioè a noi: “Se riuscirete a costruirvi un’immagine dell’essere umano da creare in voi, ispirata da fini ultimi piuttosto che dai precetti della finanza, vi verrà naturale pensare a quale sarebbe il genere di società in cui quel tipo umano vorrebbe vivere e che vorreste impegnarvi a realizzare. (…) Nessuno è veramente sconfitto se riesce a tenere viva in se stesso l’idea che tutto ciò che è può essere diversamente e si adopera per essere fedele a tale ideale”. E allora, in conclusione: “Considerate questo piccolo libro un modesto tentativo volto ad aiutarvi a coltivare una fiammella di pensiero critico nell’età della sua scomparsa”.
*Università degli Studi dell’Insubria