Riuscirà il Pnrr a rilanciare l’Italia?

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Political and social notes

Il nuovo libro di Gianfranco Viesti (Riuscirà il Pnrr a rilanciare l’Italia?, Donzelli Editore, 2023) invita a riflettere sul PNRR italiano, per alcuni definito come il nuovo Piano Marshall. Contiene una prefazione, 14 capitoli e una bibliografia. Nei primi 6 capitoli l’autore tocca diversi punti generali del Piano, mentre nei capitoli 7, 8, 9, 10, 11 e 12 entra nel dettaglio di infrastrutture pubbliche, città, scuole, università e imprese.

L’autore cerca di dare una lettura critica del PNRR e sostiene che la principale debolezza si basa sulla mancanza di una visione unificante del futuro: “Il Piano che ne è scaturito ha conservato, forse accentuata, la sua mancanza di una visione del paese nel futuro. Appare più un programma di modernizzazione che di trasformazione strutturale” (Viesti, 2023, p. 17).  Partendo dall’ipotesi che l’Europa sia rilanciata dalle crisi, Viesti considera il recente piano Next Generation dell’UE una novità radicale, da un lato perché lascia da parte l’austerità, dall’altro perché è finanziato con debito europeo.

Secondo Viesti, “la dimensione complessiva del Piano è estremamente grande, sia rispetto alle politiche economiche del nostro paese, sia rispetto a quanto accade altrove in Europa” (Viesti, 2023, p. 21).[1] Il totale è circa il 10% del PIL italiano, suddiviso su più anni (2021-2026). È principalmente un piano di opere pubbliche. Il settore delle costruzioni rappresenta più della metà del PNRR. Il piano è settoriale e queste linee non si intersecano quasi mai con i territori. Si nota il fatto che le regioni non sono state prese in considerazione in modo approfondito durante la stesura del piano. Secondo Viesti, il governo ha rinunciato a utilizzare questo piano per equilibrare o riequilibrare territorialmente l’Italia.

Viesti solleva un punto interessante per le regioni periferiche italiane. L’aumento della domanda fa aumentare le importazioni da queste regioni perché, in genere, la produzione viene effettuata nelle regioni centrali e all’estero. O anche se la produzione si svolge in periferia, accade che i beni intermedi siano prodotti nelle regioni centrali italiane ed europee. Anche se l’autore non la mette in questi termini, senza un piano di sostituzione delle importazioni nel Sud, è difficile che un piano come il PNRR possa cambiare la realtà della periferia italiana. Naturalmente, in questo modo, c’è il rischio che la realtà territoriale italiana diventi ancora più polarizzata.

Un altro punto importante che Viesti mette in evidenza è che il piano implica grandi risorse straordinarie (non correnti) per le infrastrutture, ma poi non tiene conto della spesa pubblica corrente necessaria per sostenere e consentire l’utilizzo dei servizi e delle infrastrutture che crea. Ci saranno ospedali con pochi medici o asili senza personale, università senza insegnanti. Questo ovviamente mette in discussione l’idea che il PNRR possa essere considerato un cambiamento strutturale. Viesti teme un ritorno all’austerità dopo il PNRR.

La critica principale di Viesti riguarda la gestione dello sviluppo del PNRR. Mancava il dialogo con gli organismi economici, sociali, territoriali e pubblici in generale. La stesura del Piano è avvenuta all’interno del governo e il dibattito pubblico è stato praticamente inesistente. Ciò ha generato la percezione che il piano sia un documento tecnico di alto livello e non una decisione politica. Il PNRR manca di una visione comune per il futuro. Oltre a questo, Viesti sostiene che il piano, in ultima analisi, è stato progettato intorno all’idea che le forze di mercato siano i principali attori del cambiamento che serve. Manca un’idea di politica indistriale. Viesti dice: “[Il Piano] sembra partire dall’idea che basti potenziare la domanda per ottenere un sufficente sviluppo dell’offerta interna” (p. 18).

Il libro invita al dibattito intellettuale e a riflettere su molteplici questioni. Alcuni dei punti su cui il libro mi ha portato a riflettere, anche se non sono esplicitati, sono i seguenti:

  • Finanziare un piano di opere pubbliche o grandi spese di ricerca e sviluppo con il debito pubblico europeo non è cosa da poco. Come gli Stati Uniti, un finanziamento a livello europeo, al di là dei limiti politici, consentirebbe all’UE di riposizionarsi come attore internazionale con la capacità fiscale di realizzare opere infrastrutturali, spese per la ricerca e lo sviluppo, insomma una buona politica fiscale espansiva per poter, attraverso l’economie di scala, migliorare la competitività internazionale delle sue imprese, da un lato, e dall’altro, creare un livello di solidarietà in cui le regioni (e i Paesi) periferici possano convergere con il centro. Quest’ultimo, senza spesa pubblica, è impossibile. Il problema principale è che la stragrande maggioranza degli economisti e dei tecnici parte dal falso presupposto che manchino le risorse per realizzare questi cambiamenti. Pensando a una economia aperta al commercio internazionale e ai flussi finanziari, potrebbero esserci limiti e restrizioni non solo politiche all’aumento della spesa (cioè problemi della bilancia dei pagamenti[2]); invece, in un’economia come quella italiana di oggi, ma senza le regole fiscali disegnate dall’Europa e con una BCE accomodante[3], sembrerebbero non esserci questi limiti alla spesa. Questa idea viene ulteriormente approfondita quando si parla di spesa (e di prestiti) a livello europeo. L’euro è una moneta globale. Sebbene non abbia la portata egemonica del dollaro, è vero che l’UE può finanziare il debito pubblico a livello europeo e consentire una spesa fiscale espansiva. I limiti, in questo caso, sarebbero politici e geopolitici, e questo ha un impatto sul modo in cui l’eurozona si relaziona commercialmente e finanziariamente con gli Stati Uniti e la Cina. Ma, in linea di principio, non ci sarebbero limiti tecnici all’aumento della spesa pubblica. Vale almeno la pena di chiedersi: quale sarebbe il limite alla spesa e all’indebitamento europeo? A prima vista non sembra ovvio. Le regole europee delle percentuali sul bilancio o sul debito non hanno alcuna base scientifica.
  • C’è un altro punto che vale la pena sottolineare. Anche se si potesse pensare che è la domanda a determinare per prima la produzione, come in Keynes, cosa succederebbe se la maggior parte della spesa del PNRR finisse nei Paesi core europei? Ad esempio, l’Italia è uno dei Paesi con i peggiori tassi di digitalizzazione e parte del piano prevede investimenti in tecnologie digitali. Queste tecnologie probabilmente non saranno prodotte in Italia e finiranno per essere importate. Se non ci sono regole che privilegiano l’acquisto di materiali e beni intermedi prodotti in Italia, è difficile che un piano del genere abbia un risultato permanente sul territorio italiano. C’è il rischio che la spesa per l’impatto abbia un effetto positivo ma che gran parte del piano venga speso per importare beni, macchinari e infrastrutture prodotti in altri Paesi europei. Sta accadendo qualcosa di simile con l’analogo PNRR in altri Paesi? Attenzione, lo stesso problema potrebbe essere affrontato dall’Europa nel suo complesso. Se i beni necessari per le nuove infrastrutture non sono prodotti in Europa, potrebbero finire per essere importati dagli Stati Uniti o dalla Cina, rafforzando le strutture produttive di altri Paesi al di fuori dell’UE. Non sembra esserci un piano europeo in questo senso.
  • Un ultimo punto che sembra rilevante è il seguente. Perché ora il PNRR? È a causa della pandemia? È perché molti cittadini europei ritengono che l’Europa non abbia dato risposte negli ultimi 20 anni e c’è un numero crescente di persone scettiche nei confronti del progetto europeo? Forse una parte della leadership politica europea si è resa conto che le politiche di austerità portano a nascenti e crescenti movimenti antidemocratici che mettono a rischio il progetto europeo?
Bibliografia

Canelli, R., Fontana, G., Realfonzo, R., & Veronese Passarella, M. (2021). L’efficacia del Next Generation EU per la ripresa dell’economia italiana. Economia e Politica, 17.

Canelli, R., Fontana, G., Realfonzo, R., & Veronese Passarella, M. (2022). Is the Italian government debt sustainable? Scenarios after the Covid-19 shock. Cambridge Journal of Economics, 46(3), 581-587.

Lucarelli, S., Palma, D., & Romano, R. (2013). Il sostegno agli investimenti in un’economia tecnologicamente in ritardo. Economia E Politica, (Novembre 2013).

Viesti, G. (2023). Riuscirà il Pnrr a rilanciare l’Italia?. Donzelli Editore.


[1] Alcuni autori sostengono che la prima bozza del PNR sia stata molto più potente della versione finale (Canelli, Fontana, Realfonzo & Veronese Passarella, 2021).

[2] Approfondendo il caso italiano si può vedere Lucarelli, Palma & Romano (2013).

[3] In relazione al debito pubblico italiano, secondo Canelli, Fontana, Realfonzo & Veronese Passarella (2022) è improbabile che il debito pubblico italiano entri in una traiettoria sostenibile nei prossimi anni. Sebbene la Next Generation EU e le altre misure fiscali e monetarie stiano aiutando l’economia italiana a riprendersi, nei prossimi anni sembra necessario un maggiore sforzo da parte delle autorità europee – compreso un intervento della BCE.

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