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I fatti ci hanno dato ragione. Le politiche economiche in Italia e in Europa hanno frenato lo sviluppo e ampliato gli squilibri territoriali; le disuguaglianze nella distribuzione dei redditi e nell’accesso ai servizi pubblici continuano a crescere; il disastro ambientale è la principale evidenza degli effetti di una globalizzazione sregolata. Per tutti questi motivi continueremo a condurre la nostra critica alla politica economica di questi anni. E per farlo, per essere più efficaci, moltiplicare le nostre analisi  e renderle più incisive, ci dotiamo un nuovo sito e chiediamo sostegno finanziario ai nostri lettori.

economiaepolitica.it nacque dodici anni or sono, nel 2008, l’anno del collasso di Lehman Brothers e della crisi. Noi economisti accademici di formazione classico-keynesiana, e di altri approcci teorici critici verso il mainstream più liberista, avevamo già provato a lanciare l’allarme sulla inadeguatezza delle politiche economiche.

Nel 2006 avevamo pubblicato un appello per la stabilizzazione del debito pubblico italiano e contro l’abbattimento del debito realizzato a colpi di avanzi primari. Spiegammo che i tagli indiscriminati alla spesa pubblica e l’aumento della pressione fiscale non avrebbero migliorato i conti dello Stato, e piuttosto avrebbero compromesso lo sviluppo. Un appello caduto nel vuoto.

Nel 2007 avevamo chiamato a raccolta parte dell’accademia italiana per realizzare un convegno sul tema della precarietà, per spiegare che le “deregolamentazioni” del mercato del lavoro e la riduzione delle protezioni dei lavoratori non avrebbero incrementato la competitività, e dunque non avrebbero favorito crescita e occupazione. In quella occasione, lanciammo l’allarme sulla crisi che stava per incombere e sulla necessità che venissero approntate politiche espansive, in Italia e in Europa, andando oltre i vincoli di Maastricht. La crisi arrivò e l’Europa, all’opposto degli Stati Uniti, ritenne che la risposta migliore consistesse nelle politiche di austerità, da scaricare soprattutto sulle spalle dei Paesi più deboli e in difficoltà, come l’Italia. Una vecchia ricetta, che già si era dimostrata fallace.

E così, per proporre una critica scientifica alle linee di indirizzo delle politiche indicate dalla Commissione Europea, dalla Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale, fondammo economiaepolitica.it, forti di una vasta letteratura internazionale e del più autorevole consiglio scientifico che si potesse immaginare in Italia, composto da Luciano Gallino, Pierangelo Garegnani e Augusto Graziani. Da allora, abbiamo provato a salire sulle spalle di questi maestri, oggi scomparsi, per offrire un punto di vista non ideologicamente viziato sulle principali decisioni di politica economica che si sono venute imponendo sulla scena italiana ed europea.

Abbiamo denunciato l’irrazionalità dei vincoli europei relativi al deficit e al debito, l’inadeguatezza dello statuto della Banca Centrale Europea, i concetti di pil potenziale, disoccupazione strutturale e pareggio strutturale del bilancio con i quali la Commissione Europea costruisce le sue previsioni e “orienta” l’operato dei governi. Abbiamo spiegato che l’incompletezza dell’unione monetaria europea, e in particolare l’assenza di una politica fiscale unitaria espansiva e redistributiva, sta determinando il fallimento dell’euro, e che i costi sociali di questo fallimento possono essere elevatissimi. E a sostegno di queste tesi abbiamo pubblicato, tra l’altro, una Lettera degli economisti contro le politiche di austerità nel 2010 e poi il Monito degli economisti nel 2013.

Abbiamo mostrato che l’Italia è il Paese d’Europa che ha realizzato il maggior numero di avanzi primari, in omaggio ai principi dell’austerità, senza che ciò abbia favorito il calo del debito pubblico, che anzi ha continuato la sua corsa rispetto al prodotto interno lordo. Abbiamo spiegato che la spesa pubblica italiana andava razionalizzata, ma che i tagli degli investimenti pubblici in infrastrutture materiali e immateriali hanno drammaticamente impoverito il Paese, minandone la competitività, anno dopo anno, e accentuando il declino.

Abbiamo anche spiegato che la ricerca di una maggiore competitività mediante la contrazione dei costi, in primo luogo il costo del lavoro, non è la strada giusta per riprendere a crescere. D’altronde, la riduzione della quota del prodotto interno lordo che remunera i redditi da lavoro è stato uno dei fattori che ha rallentato la domanda aggregata e la crescita. E abbiamo mostrato che la caduta della competitività del Paese dipende, oltre che dal drammatico sottodimensionamento degli investimenti pubblici, da una serie di questioni irrisolte, come l’elevatissima evasione fiscale, l’eccessivo carico fiscale sul lavoro, l’assenza di una politica industriale, la persistenza della questione meridionale.

Abbiamo anche spiegato, a più riprese, che la competizione sregolata e illimitata su scena planetaria, e la ricerca di una continua esternalizzazione dei costi, con l’assenza di controlli adeguati, sta comportando il disastro ambientale che è sotto gli occhi di tutti.

La rivista – che è inserita nell’elenco nazionale delle riviste scientifiche (ANVUR) –  in questi anni ha pubblicato circa 700 articoli, tutti rigorosamente inediti, ospitando alcune tra le più illustri firme dell’economia politica italiana e internazionale, promuovendo campagne di informazione e dibattiti.

Il nostro lavoro si fonda sul volontariato di tutti, redazione, autori e tecnici. Ora abbiamo compiuto uno sforzo ulteriore per rivisitare la veste grafica della rivista, confermando lo stile proposto in questi anni, e per aggiornare la piattaforma tecnologica rendendo il sito più performante e più fruibile su tutti i device. Per rendere più incisivo il nostro lavoro, chiediamo per la prima volta ai lettori di sostenerci con delle donazioni che ci permetteranno di aumentare la circolazione dei nostri lavori e programmare iniziative, eventi pubblici, pubblicazioni, e magari anche borse di studio a favore di giovani studiosi che collaborano con noi.

Continuerà così il nostro sforzo per approfondire in chiave critica e scientifica, senza pregiudizi, i grandi temi dell’attualità. E il premio per questi nostri sforzi continuerà ad essere il gradimento dei lettori, la loro partecipazione, il loro stimolo ad affinare il pungolo della nostra analisi e della nostra critica.

Economisti Keynesiani I fatti ci hanno dato ragione

Economisti Keynesiani I fatti ci hanno dato ragione. Le politiche economiche in Italia e in Europa hanno frenato lo sviluppo e ampliato gli squilibri territoriali; le disuguaglianze nella distribuzione dei redditi e nell’accesso ai servizi pubblici continuano a crescere; il disastro ambientale è la principale evidenza degli effetti di una globalizzazione sregolata. Per tutti questi motivi continueremo a condurre la nostra critica alla politica economica di questi anni. E per farlo, per essere più efficaci, moltiplicare le nostre analisi e renderle più incisive, ci dotiamo un nuovo sito e chiediamo sostegno finanziario ai nostri lettori.

Economisti Keynesiani

Economisti Keynesiani I fatti ci hanno dato ragione

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