Le determinanti della produttività del lavoro nell’Area Euro

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The economic policy implications deriving from the analysis of the productivity determinants of the manufacturing industry in the Euro Area go in the opposite direction from the recipes indicated by “mainstream” economists in the aftermath of the outbreak of the sovereign debt crisis (and summarized by the triad : deconstruction of the labor market, fiscal austerity and privatizations). The reabsorption of the structural imbalances that characterize the countries of the area requires a coordinated plan of public investments in the peripheries that favors the adoption of a production model based on research and innovation, and therefore on international cooperation, rather than on wage deflation and competition between “neighbors”.

1. La funzione della produttività di Paolo Sylos Labini

Il divario nei tassi di crescita della produttività del lavoro tra centro e periferie europee viene spesso indicato come uno dei principali fattori alla base degli squilibri esteri dei paesi membri dell’Area Euro che hanno segnato il primo decennio degli anni duemila (si veda, ad esempio, Draghi 2013). Proprio quel divario fornisce il maggiore argomento a favore delle cosiddette “riforme strutturali”, chiamate a risollevare la competitività delle produzioni periferiche attraverso un aumento della flessibilità nelle condizioni lavorative. Ricondurre la dinamica della produttività del lavoro alla struttura del mercato del lavoro dei paesi membri dell’Area Euro ha l’indubbio vantaggio di mettere in luce il fatto che la prima non è il semplice riflesso di condizioni tecniche esogene. Al contrario, la produttività del lavoro è una grandezza endogena che dipende da una varietà di fattori economici, sociali e istituzionali. Ma è davvero la struttura del mercato del lavoro il fattore più importante? Non la pensava così Paolo Sylos Labini (1920-2005), uno dei più influenti ed acuti economisti italiani del ventesimo secolo. Per Sylos Labini le determinanti chiave della produttività del lavoro andrebbero piuttosto ricercate nella crescita dei mercati dei prodotti, nel rapporto tra costo del lavoro e prezzo dei macchinari, nel costo assoluto del lavoro e nella dinamica degli investimenti (si rinvia a Sylos Labini 1984, 1992, 2004).

 Che l’estensione del mercato sia uno dei principali vincoli alla divisione del lavoro e dunque all’introduzione di innovazioni tecniche ed organizzative è un’osservazione che si deve già al padre dell’economica politica, Adam Smith, il quale ne parla estesamente nella sua Ricchezza delle Nazioni del 1776. Saranno poi Petrus Verdoorn, Nicholas Kaldor e Anthony Thirlwall a riprendere ed ampliare tale intuizione (tra la fine degli anni quaranta e l’inizio degli anni novanta del novecento), oggi nota ai più con il nome di Legge di Verdoorn. Secondo questa “legge”, nel lungo periodo, la produttività del lavoro cresce al crescere della domanda di prodotti, ossia, approssimativamente, del prodotto nazionale. In termini empirici, un aumento unitario del tasso di crescita dell’economia è solitamente associato con un aumento di mezzo punto del tasso di crescita della produttività del lavoro. È questa relazione che Sylos Labini ribattezzerà “effetto Smith”, in onore del pensatore di Kirkaldy che per primo ne intuì la rilevanza per il processo di accumulazione capitalistico.   

Per quanto rilevante, l’effetto Smith (o Legge di Verdoorn) non è però l’unica variabile esplicativa della produttività del lavoro. Come già accennato, un posto di rilievo viene assegnato da Sylos Labini al costo del lavoro relativo a quello dei macchinari. Ancora una volta, l’intuizione originale si deve ad uno dei principali esponenti dell’economica politica classica, David Ricardo. Nei suoi Principi di economica politica, pubblicati in diverse edizioni tra il 1817 e il 1821, Ricardo afferma the il saggio di sostituzione tra lavoratori e macchine nella sfera della produzione è regolato dal rapporto dinamico tra salari e prezzi dei macchinari. Un aumento del costo del lavoro induce i capitalisti (o, meglio, le imprese) ad aumentare la domanda relativa di macchinari rispetto a quella di forza-lavoro – ossia ad introdurre “investimenti di efficienza”. La maggiore macchinizzazione dei processi produttivi induce un aumento della produttività del lavoro, che Sylos Labini ribattezza “effetto Ricardo”. Tale effetto non va confuso con il cosiddetto “effetto organizzazione”, ossia con la maggiore produttività generata da una riorganizzazione del processo produttivo che fa seguito ad un aumento del costo assoluto del lavoro, così come espresso dal salario reale. Si noti the l’intensità dell’effetto organizzazione e dell’effetto Ricardo è commisurata al grado di concorrenza del mercato dei beni di consumo e del mercato dei beni capitali (macchinari), rispettivamente. Maggiore concorrenza significa, infatti, minore possibilità per le imprese di scaricare l’aumento del costo del lavoro sul prezzo dei prodotti, costringendole invece a puntare su aumenti di produttività al fine di garantirsi un adeguato margine di profitto.

Un discorso a parte meritano gli investimenti “di sviluppo”, ossia quegli investimenti finalizzati all’accrescimento della capacità produttiva delle imprese – come un raddoppio delle linee di produzione – e perciò non catturati dall’effetto Ricardo (che si riferisce soltanto gli investimenti di efficienza, ossia agli investimenti innovativi effettuati in risposta alla crescita del costo relativo della forza-lavoro). Va da sé che nel lungo periodo tali investimenti si accompagnano solitamente ad un aumento della produttività del lavoro. Possiamo denominare tale incremento di produttività “effetto accumulazione”. Nuovi investimenti possono, tuttavia, comportare una riduzione del prodotto per unità di lavoro nel breve periodo. Il cosiddetto “effetto disturbo” degli investimenti correnti si deve al fatto che i nuovi macchinari necessitano solitamente di tempo, risorse e sforzi organizzativi per essere messi all’opera, riducendo perciò temporaneamente l’efficienza del processo produttivo. Riassumendo, la funzione della produttività del lavoro teorizzata da Sylos Labini è composta da cinque variabili esplicative: la dimensione del mercato dei prodotti (effetto Smith), il rapporto tra costo del lavoro e prezzo dei macchinari (effetto Ricardo), il costo assoluto del lavoro (effetto organizzazione), gli investimenti ritardati (effetto accumulazione), e gli investimenti correnti (effetto disturbo). Le prime quattro variabili hanno un impatto positivo sulla produttività del lavoro, mentre l’ultima ha un impatto negativo.

2. Le determinanti della produttività del lavoro nell’Area Euro

Lo schema appena descritto è stato applicato con successo da Sylos Labini allo studio dell’economia italiana nel corso degli anni ottanta e novanta e ha poi trovato numerose applicazioni. Per esempio, Guarini (2007, 2009) lo ha impiegato per studiare i divari di produttività nelle regioni italiane durante il periodo 1980-2004, mentre Corsi e D’Ippoliti (2013) lo hanno utilizzato per analizzare la dinamica della produttività settore pubblico italiano.

Più di recente, la funzione della produttività di Sylos Labini è stata applicata allo studio della dinamica della produttività del lavoro nell’Area Euro – si rinvia a Carnevali et al. (2020) per un’analisi dettagliata. L’andamento della produttività del lavoro (espressa come valore aggiunto reale per ora di lavoro) in una selezione di paesi membri è riportato in Figura 1. I dati si riferiscono alla sola industria manifatturiera.

Figura 1. Andamento della produttività del lavoro in una selezione di paesi membri dell’Area Euro

Fonte: elaborazione su dati Eurostat 2016.

Si nota immediatamente che i paesi del centro capitalistico europeo (Austria, Germania, Francia e Olanda), sono stati caratterizzati da una crescita della produttività più marcata rispetto ai paesi periferici (Grecia, Italia, Portogallo e Spagna) durante l’intero periodo considerato – quadrante (b). L’andamento della produttività nei paesi del centro è stato piuttosto omogeneo se confrontato con quello del blocco dei paesi periferici – quadrante (b). Quanto ai primi, la produttività è cresciuta prima della crisi finanziaria globale, si è ridotta nel biennio 2007-2009, ed ha conosciuto una ripresa nel periodo successivo. Per contro, dalla metà degli anni novanta alla metà dei duemila le due maggiori economie periferiche, Italia e Spagna, sono state caratterizzate da una produttività del lavoro stagnante, mentre Grecia e Portogallo stavano recuperando terreno rispetto al resto dell’Area Euro. Dopo la crisi statunitense del 2007 e la conseguente crisi finanziaria globale, la produttività del lavoro è tornata a crescere in modo sostenuto nella penisola iberica, mentre è rimasta pressoché piatta in Italia. Nello stesso periodo, la Grecia ha registrato una caduta piuttosto marcata.   

Su questa base, le tre domande a cui Carnevali et al. (2020) tentano di dare risposta sono le seguenti. Quali sono stati i fattori che hanno determinato l’andamento della produttività del lavoro nell’Area Euro nei quindici anni successivi al lancio della valuta unica? Vi sono state o no differenze significative tra i paesi del centro e quelli periferici? Quale è stato l’impatto della crisi finanziaria globale e della successiva “crisi dei debiti sovrani europei”? I risultati dello studio, che è stato condotto utilizzando diverse varianti del modello di Sylos Labini, sono riassunti dalla Tabella 1.

Tabella 1. Sintesi dei risultati ottenuti applicando la funzione della produttività di Sylos Labini ai paesi membri dell’Area Euro

Tutti gli effetti individuati da Sylos Labini sono risultati statisticamente significativi per l’insieme dei paesi considerati e il loro segno è risultato coerente con quanto previsto dal suo modello teorico: impatti positivi sulla produttività del lavoro dovuti alla dimensione del mercato, al costo relativo e assoluto del lavoro e agli investimenti passati; impatto negativo esercitato dagli investimenti correnti. Per contro, il grado di protezione del lavoro – e, dunque, per converso, la flessibilità delle condizioni contrattuali – non sembra essere un fattore decisivo. Il suo impatto sulla produttività del lavoro è risultato sempre positivo (suggerendo che la produttività sia positivamente associata ad un grado maggiore, non minore, di protezione dei lavoratori!) e, in ogni caso, non statisticamente significativo, in linea con quanto mostrato dagli studi più recenti sul tema (si vedano Brancaccio et al. 2018).

I due gruppi di paesi sembrano inoltre caratterizzati da diverse sensibilità alle determinanti della produttività del lavoro. Mentre i paesi del centro sembrano reagire maggiormente a variazioni nell’estensione del mercato dei prodotti e nel costo relativo della forza-lavoro rispetto ai macchinari, la produttività dei paesi periferici sembra essere più sensibile al costo assoluto del lavoro. Anche l’effetto disturbo degli investimenti correnti sembra essere maggiore per le periferie europee rispetto al centro. Una possibile spiegazione è che la maggiore intensità di ricerca che caratterizza le produzioni manifatturiere dei paesi del centro implica maggiori rendimenti di scala e dunque una maggiore sensibilità all’estensione del mercato (effetto Smith). Per la stessa ragione, le imprese manifatturiere del centro capitalistico europeo sarebbero più inclini ad aumentare il grado di macchinizzazione dei processi produttivi quando il tasso di crescita dei salari supera il tasso di crescita dei prezzi dei macchinari (effetto Ricardo). Per contro, la minore intensità di ricerca delle produzioni periferiche spiegherebbe perché Grecia, Italia, Portogallo e Spagna siano, nel complesso, più sensibili al cambiamento nel costo assoluto del lavoro (effetto organizzazione). Si noti, tuttavia, che l’aumento di competitività dovuto ai minori salari è parzialmente eroso dalla riduzione degli investimenti di efficienza e dalla conseguente caduta relativa della produttività del lavoro.

Si noti, infine, che la crisi finanziaria globale che, partita dagli Stati Uniti, ha progressivamente investito i paesi europei, ha sì provocato una caduta temporanea della produttività del lavoro nell’industria manifatturiera europea, ma non sembra aver avuto alcun impatto di rilievo sulle sue determinanti. Al contrario, la cosiddetta crisi dei debiti sovrani ha modificato in modo significativo la sensibilità della produttività del lavoro ai fattori individuati da Sylos Labini.  

3. Crisi dell’Area Euro ed implicazioni di politica economica

L’ultima colonna della Tabella 1 sintetizza l’impatto della crisi dei debiti sovrani, che ha investito le periferie europee fin dal 2009, sulla relazione tra la produttività del lavoro e le sue determinanti. La crisi ha ridotto in modo significativo l’effetto Smith e l’effetto organizzazione, mentre ha aumentato l’effetto Riccardo e l’effetto disturbo degli investimenti. Durante le fasi di crescita sostenuta, l’aumento delle dimensioni del mercato consente lo sfruttamento economie di scala, processi di apprendimento ed innovazioni che sospingono la produttività del lavoro. Per contro, nei periodi di crisi, la riduzione nei livelli di produttività è solitamente meno marcata, perché l’aggiustamento delle imprese manifatturiere alle nuove condizioni di mercato è solitamente più prudente e graduale. La crisi si accompagna inoltre a processi di ristrutturazione industriale che riducono la concorrenza, riducendo dunque la sensibilità delle imprese, e dunque delle produzioni, al costo assoluto del lavoro. L’aumento dell’effetto Ricardo, ossia della sensibilità al costo relativo del lavoro, può invece essere spiegato dai bassi tassi di interesse che hanno reso più conveniente, a parità di altre condizioni, il ricorso all’acquisto (a credito) di macchinari rispetto all’impiego di forza-lavoro. Infine, il maggior effetto disturbo dei nuovi investimenti può essere spiegato proprio dalla caduta degli investimenti come percentuale del prodotto nazionale che ha fatto seguito alla crisi. È chiaro, infatti, che l’effetto disturbo è tanto minore quanto più gli investimenti sono una componente importante e crescente della produzione nazionale, mentre aumenta ogni qualvolta la quota di nuovi investimenti si contrae.

Le implicazioni di politica economica che derivano dall’analisi delle determinanti della produttività dell’industria manifatturiera dell’Area Euro vanno in direzione opposta rispetto alle ricette indicate dagli economisti “mainstream” all’indomani dello scoppio della crisi dei debiti sovrani (e riassumibili dalla terna: destrutturazione del mercato del lavoro, austerità fiscale e privatizzazioni). Il riassorbimento degli squilibri strutturali che caratterizzano i paesi dell’area richiede un piano coordinato di investimenti pubblici nelle periferie che favorisca l’adozione di un modello di produzione basato sulla ricerca e l’innovazione, e dunque sulla cooperazione internazionale, anziché sulla deflazione salariale e la competizione tra “vicini”. L’emergenza climatica e la necessità di mettere in sicurezza vaste aree periferiche interessate da fenomeni naturali estremi (si pensi, a titolo di esempio, a siccità, rischio di inondazioni ed emergenza sismica) e croniche carenze infrastrutturali, potrebbero fornire, in tal senso, una grande occasione di rilancio delle periferie europee e di consolidamento delle economie del centro. Purtroppo, l’attuale assetto istituzionale dell’Area Euro e, più in generale, dell’Unione Europea, sembra piuttosto favorire un modello di produzione basato sull’austerità fiscale e la deflazione salariale – ottenuta sia attraverso maggiore intensità di ricerca ed aumenti di produttività (nei paesi del centro) che attraverso un peggioramento delle condizioni lavorative (soprattutto nei paesi periferici). Un dualismo che, dopo aver frenato lo sviluppo dell’economia italiana, rischia ora di compromettere per molti decenni a venire anche il futuro economico, politico e sociale del continente europeo. 

Riferimenti bibliografici

Brancaccio, E., Garbellini, N. e Giammetti, R. 2018. Structural Labour Market Reforms, GDP growth and the Functional Distribution of Income. Structural Change and Economic Dynamics, vol. 44, 34-45.

Carnevali, E., Godin, A., Lucarelli, S. e Veronese Passarella, M. 2020. Productivity growth, Smith effects and Ricardo effects in Euro Area’s manufacturing industries. Metroeconomica, vol. 71, no. 1, 129:155.

Corsi, M. e D’Ippoliti, C. 2013. The productivity of the public sector: A Classical view. PSL Quarterly Review, vol. 66, no. 267, 403-434.

Draghi, M. 2013. Euro area economic situation and the foundations for growth. Presentazione all’Euro Summit di Brussels, 14 Marzo 2013.

Guarini, G. 2007. La funzione di produttività di Sylos Labini tra mercato e territorio: un’analisi econometrica per le regioni italiane. Moneta e Credito, vol. 60, no. 238, 173-198.

Guarini, G. 2009. Labour productivity and technological capability: an econometric analysis on the Italian regions, Geography. Structural Change and Economic Development: Theory and Empirics, Cheltenham: Edward Elgar, 280-303.

Sylos Labini, P. 1984. Le forze dello sviluppo e del declino. Laterza, Roma-Bari.

Sylos Labini, P. 1992. Elementi di dinamica economica. Laterza, Roma-Bari.

Sylos Labini, P. 2004. Torniamo ai classici. Produttività del lavoro, progresso tecnico e sviluppo economico. Laterza, Roma-Bari.

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