Malgrado 150 anni di accese discussioni intellettuali ed accademiche, la misurazione e la spiegazione della mancata unificazione nazionale non sembra ancora soddisfacente, e appare comunque migliorabile.[1] Per avvicinarci ad una stima e diagnosi più adeguata, occorre a nostro avviso ragionare non su un divario unidimensionale, bensì su una gamma di divergenze collocate in vari ambiti della vita associata. Abbiamo deciso di usare ed estendere una metodologia statistica recentemente costruita per misurare quanto due paesi o territori sono culturalmente vicini.[2] Essa, fondandosi su analisi di distribuzioni e non su misure di sintesi, utilizza banche date individuali per andare oltre le stime basate su medie o mode. Una volta selezionate le dimensioni giudicate più rilevanti, con i corrispondenti indicatori (qualitativi e quantitativi), essa forma dei cluster rispetto a ogni dimensione, assumendo che coloro che stanno nello stesso cluster siano tra loro simili; infine, calcola per ogni paese la distribuzione tra i cluster, assumendo che due paesi siano tanto più simili quanto più è simile tale distribuzione. Abbiamo applicato tale metodologia all’Italia, misurando i divari regionali su tre dimensioni – culturale, civile e strettamente economica – e proponendo un confronto tra la misura delle distanze ottenuta in una dimensione con quella nelle altre. Compatibilmente con i limiti dei dati disponibili, abbiamo rappresentato la dimensione culturale tramite i comportamenti riguardanti la produzione, la fruizione e la circolazione della conoscenza, ponendo un’enfasi particolare sui processi di creatività ed utilizzo del tempo libero. La dimensione civile rimanda invece all’insieme dei diritti (o beni) di cittadinanza disponibili ed accessibili al cittadino. La disponibilità di dati ha consentito di includere variabili rappresentative dei servizi pubblici, della qualità delle infrastrutture urbane, dell’accesso alla salute, dei servizi di sicurezza e delle infrastrutture viarie. La dimensione economica, infine, è stata catturata mediante un indicatore standard, il reddito pro capite disponibile al netto dei trasferimenti, quale indicatore della capacità di un sistema economico di produrre ricchezza.[3]
In termini intuitivi, il nostro schema interpretativo può essere introdotto chiedendoci perché milioni di sportivi rimasero sorpresi e sbigottiti quando, in una partita del Mondiale di calcio 2014, la squadra tedesca sconfisse quella brasiliana per 7 reti a 1. La ragione derivava dalla diffusa convinzione che sotto alcuni aspetti la squadra del Brasile non era inferiore, ed era anzi forse più forte, di quella rivale. Per esprimerci alla rovescia, qualora una squadra professionistica si scontrasse con quella di un oratorio, nessuno si stupirebbe di un esito tennistico e quindi nessuno si preoccuperebbe di trovarne una spiegazione. L’ipotesi da cui abbiamo preso le mosse è che i confronti tra alcune Regioni italiane possano svelare risultati non meno spiazzanti: se, ad esempio, confrontiamo Sicilia e Toscana, i tre divari (culturale, civile ed economico) potrebbero non aprirsi in pari misura a favore della Toscana; al contrario, potremmo forse imbatterci in una Sicilia “troppo” colta, relativamente a quanto esprime in termini economici, e ancora più “arretrata” in termini civili. Potremmo persino scoprire che sul piano della cultura la Sicilia di Camilleri, Battiato e Emma Dante “supera” la Toscana, proprio come, nel Mondiale di calcio, in termini di tasso tecnico e fantasia, il Brasile forse superava la Germania.
Chiamiamo A il dominio culturale, B quello civile e C quello economico. Una giustificazione particolarmente semplice della nostra ipotesi suggerisce che, avendo la Sicilia una pesante carenza dei beni di cittadinanza, i soggetti “fuggono” da quel settore B di attività (sia come offerenti, che come richiedenti) e si spostano verso la sfera economica C, dove però gli affari, senza un’adeguata dimensione civica, possono degenerare in traffici clientelar-mafiosi. Ancor più, i siciliani migrano verso la sfera culturale A, nella quale è possibile esprimere talenti e vocazioni anche nell’isolamento di Racalmuto o di Comiso. Se però “troppi” lasciano B per fuggire verso C e ancor più verso A, la situazione peggiora per chi sta in B, che pure tende a fuggire; d’altra parte, se “troppi” stanno in A, provocano una congestione quantitativa e un peggioramento della qualità media delle prestazioni in quell’ambito. In breve, le differenze di opportunità e incentivi tra Nord e Sud influenzano le scelte dei soggetti, indirizzandole “eccessivamente” verso alcune attività; ciò a sua volta genera effetti di feedback su incentivi e opportunità, istituzionalizzando le scelte iniziali.
Ma veniamo ai primi risultati della nostra ricerca. La figura 1 riporta la distanza media di ciascuna Regione meridionale e settentrionale rispetto alla macroregione opposta, ossia alla media di Nord e Sud rispettivamente[4]. L’istogramma mostra chiaramente come ciascuna Regione meridionale (settentrionale) sia in media molto più distante dal Nord (Sud) nella dimensione dei diritti di cittadinanza, rispetto a quanto osservabile nelle altre dimensioni, persino rispetto a quella economica sulla quale il dibattito sul dualismo italiano si è principalmente concentrato in letteratura. In particolare, le distanze culturali Nord-Sud risultano meno rilevanti di quelle economiche, con l’eccezione di Piemonte/Val d’Aosta, Friuli VG, Liguria, Abruzzo e Campania. Ad ogni modo, le differenze sono minime e di magnitudine decisamente inferiore rispetto alla terza dimensione.
Figura 1. Distanze medie per Regione rispetto a Nord e Sud
La nostra conclusione provvisoria suggerisce che le distanze culturali tra le Regioni del Sud e del Nord sono comparabili alle distanze economiche, ma entrambe queste distanze sono molto più ridotte di quelle dei diritti di cittadinanza. In breve, le disuguaglianze regionali sono molto più rilevanti nella dimensione dei diritti di cittadinanza che in quella economica e culturale. Collocando questo risultato all’interno del quadro teorico presentato in precedenza, esso propone una radicale rivisitazione del dualismo italiano. Anziché concepirlo in termini di “ordinamenti” delle Regioni, lungo una o più dimensioni (il Veneto è più ricco della Calabria, o più sviluppato, o più moderno, o tutte le cose assieme), o di semplicistiche relazioni causali (l’assenza di civismo determina negativamente la performance economica), il dualismo è invece il sistema delle traiettorie che, in ciascun ambito istituzionale e nell’interazione tra essi, avvicinano o allontanano i territori. In termini più teorici, stiamo sostenendo che la struttura istituzionale di riferimento determina le opportunità e le alternative disponibili agli individui, influenzandone le scelte economiche e sociali, nonché la performance del sistema economico. La dimensione dei diritti di cittadinanza vuole rappresentare tale struttura. Nonostante non sia possibile (né si vuole) argomentare in termini di rapporto causa-effetto, la circostanza per cui le distanze regionali sono molto più marcate in termini di diritti di cittadinanza indica che, nel sistema economico-sociale italiano, le Regioni che sono più carenti nell’ambito dei diritti di cittadinanza, tendono a rimanere intrappolate in un circolo vizioso che può essere considerato quale matrice del dualismo italiano.
*Università degli studi di Firenze