La seconda guerra civile

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Political and social notes

Bernard MarisIl Fatto Quotidiano ha già ricordato Oncle Bernard (zio Bernard, come si firmava), l’economista keynesiano che ha perso la vita durante l’attentato a Charlie Hebdo. Bernard Maris ci ha lasciato contributi di grande interesse, estremamente critici nei confronti delle politiche sostenute dai leader europei che hanno marciato insieme a Parigi dopo gli attentati terroristici. La redazione di Economia e Politica rende omaggio alla sua memoria mettendo a disposizione dei lettori italiani un suo articolo apparso lo scorso aprile su Alternatives Économiques.

 

Nel 1992, François Mitterrand ha dato il via ad una seconda guerra dei 30 anni credendo di poter legare la Germania all’Europa attraverso la moneta unica.

La Germania realizza senza volerlo attraverso l’economia ciò che un cancelliere folle aveva già realizzato attraverso la guerra: essa sta distruggendo a poco a poco l’economia francese. Di certo, essa non è responsabile di questa situazione, tutt’altro; essa non è mai intervenuta nella politica interna della Francia e ha dato una mano ai francesi ai tempi di Balladur per realizzare un abbozzo di unità fiscale e di bilancio (che le fu rifiutata).

È François Mitterand che, in due riprese, ha voluto legare la politica monetaria della Francia a quella della Germania, distruggendo un’industria che già andava indebolendosi: la prima volta nel 1983, con la svolta del rigore e la politica del «franco forte»; la seconda volta nel 1989, andando in panico dopo la riunificazione tedesca e avallando quest’ultima al prezzo d’una moneta unica e d’un funzionamento della BCE ricalcato su quello della Bundesbank.

Sono passati da allora più di venti anni di guerra economica, e l’industria tedesca ha annientato le industrie italiane e soprattutto francesi. Oggi la guerra è finita e ha un vincitore. La parte delle esportazioni della Germania nell’Eurozona rappresenta il 10% del totale. Il resto va invece al di fuori, verso gli USA e in Asia. La Germania non ha più bisogno dell’Eurozona. Al contrario: la zona Euro comincia a costarle cara, a causa dei piani di sostengo alla Grecia, al Portogallo e alla Spagna a tal punto che essa stessa comincia a sognare di uscire dall’Euro.

È evidente che né la Grecia, né il Portogallo, né la Spagna, e neppure la Francia o l’Italia non potranno mai rimborsare i loro debiti avendo una crescita debole e una industria devastata. L’Eurozona scoppierà dunque al prossimo grande attacco speculativo rivolto ad uno dei cinque Paesi appena citati.

La Cina e gli USA contemplano incantati questa seconda guerra civile interminabile, e si preparano (per quanto riguarda gli USA, una seconda volta) a togliere le castagne dal fuoco. La Cina e gli USA praticano una politica monetaria astuta e lassista. Si potrebbero aggiungere alla lista dei Paesi che praticano una politica monetaria intelligente la Corea del Sud e, oggi, il Giappone. La Gran Bretagna prepara sic et simpliciter un referendum per uscire dalla UE.

La vera scelta da fare è: uscire dall’Euro o morire a poco a poco. In altri termini, il dilemma per i Paesi dell’Eurozona è abbastanza semplice: uscire in modo coordinato e di soppiatto, o attendere lo tsunami finanziario.

Un’uscita cooperativa e di soppiatto avrebbe il merito di preservare un pochino la costruzione europea, uno tsunami sarà l’equivalente del Trattato di Versailles, dove i perdenti questa volta saranno i Paesi del Sud. E, al di là dei Paesi del sud, l’Europa intera.

L’uscita morbida e coordinata è abbastanza semplice, ed è stata prospettata da molti economisti. Si tratta semplicemente di ritornare a una moneta comune, che serva da riferimento alle differenti monete nazionali. Questa moneta comune, definita da un «paniere di monete» nazionali attenuerebbe la speculazione contro le monete nazionali.

Sarebbe il ritorno allo SME (Sistema monetario europeo)? Sì. Avremmo dei margini di fluttuazione interno alla moneta comune. Una stabilizzazione della speculazione attraverso delle limitazioni dei movimenti di capitale, stabilizzazione che potrebbe essere accresciuta attraverso una tassa di tipo Tobin sugli stessi movimenti di capitale. Ma lo SME è fallito direte voi… Sì, perché lo SME non aveva l’obiettivo di lottare contro la speculazione, e non aveva adottato una «Camera di compensazione» come si augurava Keynes nel suo progetto per Bretton Woods (abbandonato a favore del progetto americano).

Il modo migliore di rendere l’Europa odiosa, detestabile per un lungo periodo, di dare spazio ai nazionalismi più biechi, è di proseguire questa politica imbecille della moneta unica associata a una «concorrenza libera e senza distorsioni» che fa saltare di gioia coloro che ne approfittano, Cinesi, Americani, e gli altri BRICs.

Con tutta evidenza, il dominio della politica sulla moneta non è sufficiente a rendere forte un’economia: la ricerca, l’istruzione, la solidarietà sono certamente altrettanto importanti… Tuttavia, lasciare che i «mercati» governino i Paesi è, molto semplicemente, una vergognosa viltà.

 

(traduzione dal francese di Hervé Baron e Stefano Lucarelli)

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