Le dimensioni economiche, sociali ed ecologiche dell’innovazione monetaria

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Abstract italiano

L’innovazione monetaria si è sviluppata negli ultimi anni lungo due grandi macro-percorsi: quello delle monete complementari e quello delle criptovalute, costruite sulla blockchain.
Le monete complementari sono state caratterizzate dalla presenza di un insieme di questioni di natura sociale, culturale e ambientale e una parte significativa del dibattito si è concentrata sulle relazioni complesse fra il progetto monetario e le dinamiche socio-culturali nello sviluppo delle iniziative.
Fino a poco tempo fa, lo scenario era molto diverso sul fronte blockchain. Per alcuni anni, infatti, la percezione delle cripto-attività è stata profondamente influenzata dall’esempio di Bitcoin. Il controverso progetto di una moneta artificialmente scarsa, basata sul potere algoritmico, tende ad essere comunemente considerato come un progetto con uno scarso valore socio-culturale ed ecologico (anche, ma non solo, per l’enorme impatto ambientale del processo di mining).
La situazione appare oggi molto diversa. Mentre la blockchain si impone come spazio privilegiato per ambiti sempre più ampi dell’innovazione monetaria, intorno alla blockchain stessa si sono sviluppate numerose fattispecie di token sociali, culturali ed ecologici. Assistiamo a una straordinaria (ma anche confusa e ambigua) proliferazione di progetti che si sviluppano all’interno di diversi quadri di riferimento, che contengono anche approcci critici rispetto al capitalismo contemporaneo.
A fronte di questa proliferazione (e a fronte di recenti, importanti sforzi regolatori nel campo delle cripto-attività), come dovremmo leggere le dimensioni sociali, culturali ed ecologiche dell’innovazione monetaria? In che modo questa domanda rappresenta una lente per leggere alcune questioni aperte concernenti il significato propriamente economico dell’innovazione e del fenomeno delle cripto, in particolare? Il paper propone due interconnesse prospettive analitiche, che possono essere utili per riavviare il dibattito.

English abstract

Monetary innovation has developed in recent years along two major macro-paths: that of complementary currencies and that of cryptocurrencies, built on the blockchain.
Complementary currencies have been characterized by the presence of a set of issues of a social, cultural and environmental nature and a significant part of the debate has focused on the complex relationship between the monetary project and the socio-cultural dynamics in the development of the initiatives.
Until recently, the scenario was very different on the blockchain front. For some years, in fact, the perception of the crypto-assets has been profoundly influenced by the example of Bitcoin. The controversial project of an artificially scarce currency, based on algorithmic power, tends to be commonly considered as a project with little socio-cultural and ecological value (also, but not only, due to the huge environmental impact of the mining process).
The situation today appears very different. While the blockchain is establishing itself as a privileged space for ever wider areas of monetary innovation, numerous types of social, cultural and ecological tokens have developed around the blockchain itself. We are witnessing an extraordinary (but also confused and ambiguous) proliferation of projects that develop within various reference frameworks, which also contain critical approaches to contemporary capitalism
Against this proliferation (and against recent, important, regulatory efforts in the field of crypto-assets), how should we read the social, cultural and ecological dimensions of monetary innovation? How does this question represent a lens to read certain open questions concerning the properly economic meaning of innovation and particularly of the crypto phenomenon? The paper proposes two interconnected analytical perspectives, that may be useful for restarting the debate.

1.  Introduzione

L’innovazione monetaria ha proceduto negli ultimi anni lungo due grandi macro-percorsi: quello delle monete complementari e quello delle criptovalute, costruite sulla blockchain (per un’analisi del complesso scenario dell’innovazione monetaria contemporanea, si veda Fama, Lucarelli e Orzi, 2020). Si tratta, è bene ricordarlo, di due ambiti molto variegati al loro interno e  segnati da un insieme di problemi riguardanti il senso della complementarietà, le differenze concettuali fra diverse declinazioni della complementarietà stessa, il carattere di monete “alternative” di certe criptomonete e la stessa possibilità di considerare le cripto come entità monetarie. Intorno a questi problemi si è sviluppato un dibattito a dir poco effervescente che, come spesso accade nel campo dell’innovazione monetaria, vede sistematicamente riemergere questioni di fondo, aperte sull’abisso teoretico della domanda sulla natura e le funzioni della moneta.

Nelle prime fasi del revival dell’innovazione monetaria[1], una questione si presentava, però, come abbastanza sicura, quella concernente la diversa connotazione socio-culturale e ambientale delle monete complementari e delle cripto.

Una buona parte delle monete complementari (a volte classificate anche come local, social, community monies) era decisamente caratterizzata dalla presenza di un insieme di istanze (di valori, di contenuti, di implicazioni) che vengono comunemente etichettati come extra-economici. Con architetture concettuali e organizzative anche diversissime, molti progetti di moneta complementare inseguivano, infatti, espliciti obiettivi di coesione sociale, miravano a rinsaldare legami comunitari, si proponevano di raggiungere specifici environmental goals, articolavano progetti antiglobalisti, localisti, identitari. Queste istanze si intersecavano (con forme ed esiti anche molto diversi fra loro) con spezzoni di concettualizzazioni monetarie e il tutto avveniva spesso a livello locale, dando luogo a varie configurazioni della localness monetaria. L’intero processo chiamava in causa molteplici registri di sperimentazione istituzionale, che potevano includere approcci deliberativi e incorporare specifiche operazioni di ingegneria organizzativa. Indipendentemente dalla dotazione tecnologica dei progetti, la novità e l’alterità dei progetti stessi non si giocava – a differenza di quanto avviene intorno all’apparato socio-tecnico della blockchain e alla possibilità che esso produca disintermediazione e decentralizzazione – sul piano dell’innovazione technology-driven.

Una parte significativa del dibattito sulle monete complementari si è sviluppato, allora, proprio intorno alle ricche e complesse relazioni fra progetto monetario e dinamiche socio-culturali e organizzative nella vita delle iniziative (si veda, per esempio, con riferimento a Sardex, Sartori e Dini, 2016). Secondo alcune posizioni interne a quel dibattito (si veda Doria e Fantacci, 2018), nel caso di alcune linee di innovazione particolarmente rilevanti (come alcuni progetti di mutuo credito, basati sul principio del clearing) il significato sociale delle monete complementari non va tanto ricercato nei loro obiettivi e valori “extra-economici”, ma è invece profondamente embedded nella logica monetaria degli esperimenti e nella sua elaborazione istituzionale.

La situazione era, appunto, molto diversa sul fronte blockchain. Per alcuni anni, infatti, la scena cripto è stata profondamente influenzata dall’esempio bitcoiniano, che si presentava come ben poco caratterizzato in senso socio-culturale ed ecologico (anche, ma non solo, per i spaventosi impatti della macchina energivora del mining). Quel progetto mirava a costruire una moneta artificialmente scarsa, combinando la straordinaria potenza della blockchain con la reinterpretazione in chiave algoritmica di ben noti – e discutibilissimi – spezzoni di pensiero monetario (Amato e Fantacci, 2018). Un modo decisamente problematico di rispondere ai flaws della moneta bancaria, destinato a sclerotizzare i tratti più deteriori della fiat money capitalistica (tra cui la tendenza alla tesaurizzazione e all’irrigidimento in circuiti speculativi). In apparenza, niente di particolarmente connotato in senso socio-culturale, quindi. Anzi, proprio intorno a un certa ideologia della blockchain (all’interno della quale il focus su decentralizzazione, disintermediazione e distribuzione orizzontale del potere  si salda con la fede nella capacità dell’algoritmo di by-passare dinamiche socio-istituzionali) sembrava prefigurarsi una de-socializzazione della moneta o almeno un profondo sovvertimento della socialità monetaria – nel corso degli anni non sono mancati (si veda per esempio Dodd, 2018) i contributi che hanno messo in questione la natura desocializzata e tecnologicamente fredda di Bitcoin, per riconoscere al suo cuore specifiche forme di comunità, relazioni sociali, dotazioni e asimmetrie di potere.

La scena è, però, notevolmente cambiata negli ultimi anni. Mentre la blockchain si imponeva come spazio privilegiato per ambiti sempre più ampi dell’innovazione monetaria, intorno alla blockchain stessa si sviluppavano anche numerosissime fattispecie di token di matrice sociale, culturale, ecologica. Si assiste oggi a una straordinaria proliferazione di progetti e di esperienze che germogliano all’interno di quadri di riferimento diversissimi, che includono anche approcci critici rispetto al capitalismo contemporaneo; approcci anche lontanissimi, nelle intenzioni, non solo dalla sfera della speculazione finanziaria, ma anche da quella della commodification del sociale, del culturale e del naturale. La blockchain, infatti, si è costituita come terreno privilegiato di coltura per nuove forme di commoning non- o post-capitalistico; ciò grazie alla capacità della tokenization di garantire forme inedite di controllo, condivisione e governance nei nuovi commons, in un quadro di disintermediazione e di autonomia rispetto alle classiche architetture istituzionali (sul rapporto fra blockchain e governance dei global commons, si veda Rozas et al, 2021). Un insieme di istanze critiche si saldano, quindi, con la cultura socio-tecnica della blockchain e alludono, a volte, a una sorta di algorithmic justice (si veda, con riguardo al cibo, Heitlinger et al., 2021) sul terreno sociale e ambientale.

A fronte di questa nuova proliferazione, come guardare alle dimensioni sociali, culturali ed ecologiche dell’innovazione? In che modo questa domanda si configura come una lente per leggere questioni di fondo irrisolte sul senso economico dell’innovazione stessa e del fenomeno delle cripto, in particolare? E quali coordinate è quindi possibile rinvenire per un’analisi critica che deve confrontarsi con una situazione di notevole e crescente confusione? Propongo qui di seguito, in modo assolutamente provvisorio ed esplorativo, due interconnesse prospettive di interrogazione, utili, a mio avviso, per incominciare a definire il campo analitico.

2. Due prospettive analitiche

2.1 Se la nebbia si dirada: le cripto verso la maturità?

Quella che viviamo è una fase di notevole turbolenza per il mondo cripto. Il recente crollo della piattaforma di trading FTX si è accompagnato ad altri fenomeni nefasti, come il fallimento della piattaforma di prestiti Celsius e il crollo della stablecoin algoritmica Terra-Luna (si veda Fantacci, 2022), gettando ombre funeste sulla stabilità dell’intero edificio. I warning che da tempo vengono lanciati a proposito dei rischi del movimento speculativo in cripto-assets (come movimento privo di qualsiasi ancora e bussola) sembrano suonare oggi, per alcuni, come dichiarazioni di pre-dissesto. Eppure, più che come inizio della fine dell’impresa criptofinanziaria, il momento presente può essere riguardato (Ibidem) come occasione per un reframing teorico-concettuale dell’intera questione delle cripto-attività. Una spinta verso questo complicatissimo compito viene, del resto, anche dai progressi che si sono manifestati sul piano dell’inquadramento normativo della questione. I tentativi di normazione del fenomeno – che si sono sviluppati in diversi contesti negli ultimi anni (de Mari, 2019) – si sono mossi sul terreno della tipizzazione di diverse categorie di token. Secondo de Mari (Ibidem, p. 288, corsivi nell’originale), è generalmente riconosciuto, anche sul piano comparatistico, che un token “è un codice alfanumerico digitale rappresentativo di diritti che incorpora e implicitamente documenta informazioni complesse non duplicabili, creato e trasferibile su basi crittografiche attraverso un registro elettronico condiviso e distribuito (blockchain o Distributed Ledger Technology)”. Secondo de Mari (Ibidem, p. 295, corsivi nell’originale), con riferimento alla disciplina italiana, sembra si possa dire che il token è di per sé neutro, in quanto ciò che rileva “è il rapporto negoziale che ne è alla base e ne giustifica l’emissione e costituisce i diritti incorporati nel token e nel whitepaper, nonché la sua eventuale destinazione alle negoziazioni”.

Ora, secondo de Mari, “pur nel polimorfismo e nella sommarietà delle categorie” (Ibidem, p. 288), all’interno dell’universo token si possono distinguere:

“i) payment-token: ossia cripto-monete, senza diritti incorporati, ossia strumenti affini ai mezzi di pagamento per l’acquisto di beni o servizi, sempre che il venditore del bene o del servizio sia disponibile ad accettarli per l’estinzione dell’obbligazione pecuniaria. […]

ii) investment o security-token: ossia token che attribuiscono al titolare un diritto di partecipazione, patrimoniale o amministrativo nell’emittente i token (sulla falsariga dei nostri strumenti finanziari partecipativi o non partecipativi), ovvero un diritto di credito nei confronti dello stesso emittente. […]

iii) utility-token: ossia token che attribuiscono al titolare il diritto di utilizzare o di godere di un bene o di un servizio (fisico o digitale) presente o futuro e che tipicamente tendono a soddisfare le esigenze di consumo del titolare, senza che l’apporto finanziario sia funzionale alla partecipazione ad una iniziativa imprenditoriale;

iv) hybrid-token: ossia token che prevedono la combinazione di due o più delle funzioni suddette (pagamento/investimento/finanziamento/compravendita)” (Ibidem, pp. 288-290, corsivi nell’originale).

Simili prospettive classificatorie sembrano, in  buona sostanza, fungere ormai da riferimento per il dibattito giuridico-economico e sono in effetti assolutamente opportune e utili per procedere verso l’obiettivo dell’inquadramento normativo. Come tutte le classificazioni in ambito monetario, però, esse si muovono, in una certa misura, su terre mobili e solcate da canyon concettuali. Si pensi, ad esempio, alla possibilità teorica di immaginare gli utility token come mezzi di pagamento ultra limitati (e quindi come entità che incorporano “qualità monetarie”, sebbene in forma parzialissima) spendibili solo per l’acquisto di una gamma ristrettissima di beni.

Gli utility token, in effetti, rappresentano oggetti tra i più delicati e controversi, se consideriamo le forme diverse che essi possono assumere in relazione alla tipologia di blockchain utilizzata, la varietà potenziale delle regole che ne possono definire la circolazione e la trasferibilità e la questione complessa che concerne il loro possibile rapporto con dimensioni di finanziarietà. Come nota ancora de Mari (Ibidem, p. 292), a proposito della categoria dei cc. dd. utility-token puri (si veda lo stesso testo di de Mari per argomentazioni su questa categoria di token), “questa è la categoria più problematica ai fini della disciplina applicabile, perché questi non si presentano come strumenti di investimento in senso causale, pur presentando una attitudine allo scambio ed alla negoziazione su piattaforme di mercati secondari”.

Una suddivisione in tre tipi è rinvenibile nel Regolamento (UE) 2023/1114 del Parlamento europeo e del Consiglio detto regolamento MiCA, che è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 9 giugno 2023 (si veda Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea, 2023 per le definizioni e il complesso dettato normativo, comprese le situazioni di non applicabilità di specifiche disposizioni).

Il primo tipo è costituito da una cripto-attività che mira a mantenere un valore stabile facendo riferimento al valore di una valuta ufficiale (“token di moneta elettronica”).

Il secondo tipo di cripto-attività (“token collegato ad attività”) è costituito da una cripto-attività che non è un token di moneta elettronica e che mira mantenere un valore stabile facendo riferimento a un altro valore o diritto o a una combinazione dei due, comprese una o più valute ufficiali.

Infine, il terzo tipo è costituito dalle cripto-attività diverse dai due tipi appena menzionati e comprende un’ampia gamma di cripto-attività, compresi gli utility token (Ibidem)[2].

Ora, bitcoin pare evidentemente ben lontano dall’orizzonte dei primi due tipi di cripto-attività e dalle loro logiche di stabilizzazione – peraltro, emerge come oggetto di analisi la questione complessiva relativa al fatto che l’assenza di un emittente ponga il bitcoin fuori dai confini del regolamento (su questa questione e su quella relativa al fatto che, comunque, disciplinando il regime autorizzativo legato alla prestazione di servizi, in qualche modo il regolamento interessi indirettamente anche il bitcoin[3] si veda la posizione di Andrea Conso, riportata nell’articolo di Petrucciani, 2023). Proprio l’intrinseca volatilità di bitcoin è stata alla base del tradimento delle aspettative che avevano accompagnato gli esordi bitcoiniani. Lungi dal divenire una forma monetaria di riferimento a livello globale (obiettivo ben poco praticabile e, in ogni caso, assolutamente non auspicabile per gli effetti deflattivi che la moneta artificialmente scarsa produrrebbe, Amato e Fantacci, 2018), bitcoin ha fluttuato come un cripto-asset avente un rapporto con il dollaro spaventosamente volatile. Ha galleggiato, in particolare, come una “cosa cripto” (cioè come un oggetto che alludeva alle grandi potenzialità della blockchain, le quali, di per , potrebbero essere considerate, secondo alcuni, la sorgente del valore fondamentale di bitcoin stesso), senza, però, che si potesse effettivamente definire con esattezza il valore di questa cosa come moneta, in rapporto a qualche specifica funzione monetaria: la sua instabilità, infatti, non le permette di funzionare adeguatamente come mezzo di pagamento e neanche  come riserva di valore (si veda su queste questioni Fantacci, 2022). Si tratta, quindi, di un’entità che è estranea a una prospettiva di stabilità e a un orizzonte di valore che non sia quello fondato sul solo, insufficiente, pilastro della scarsità.

Ora, non è possibile, in questa sede, discutere il significato, le implicazioni e gli effetti complessivi dell’approccio normativo in ambito comunitario; né è possibile affrontare i molti e delicati temi che emergono con riguardo all’individuazione delle tipologie e alla definizione delle questioni relative all’emissione, alla vigilanza, etc.

Qui si vuole solo segnalare che il tentativo di disciplinare il fenomeno può essere assunto come occasione per muovere verso un reframing concettuale di fondo. Al cuore di tale reframing è l’esigenza di un chiarimento del rapporto fra token e blockchain, un rapporto che è stato in parte oscurato dalla sbornia della cripto-speculazione. Questo chiarimento sembra avere a che fare con la questione che chiede che cosa effettivamente le cripto possano fare sulla blockchain (Ibidem) e quali siano le condizioni perché possano farlo in modo economicamente sensato e sostenibile. Procedendo, certo, con brutale semplificazione, potremmo dire che una delle questioni principali al centro della scena è quella di un cripto-asset che possa effettivamente funzionare come mezzo di pagamento (il che implica naturalmente la questione della stabilità) e come riserva di valore e che possa operare, in modo ordinato, come strumento di accesso al godimento di beni o servizi (il che solleva il tema dell’effettiva esistenza e disponibilità di tali beni e servizi, quello della gestione dell’eventuale negoziazione degli utility token e quello del rapporto con altri eventuali mezzi di accesso agli stessi beni e servizi). Alcuni token, peraltro, possono avere la forma peculiare di diritti di voto, diritti di partecipazione alle decisioni all’interno di un determinato contesto di commoning, o in generale, di diritti alla partecipazione al design e alla governance di progetti, che possono trovare proprio nella natura tendenzialmente autonoma, orizzontale e decentrata della blockchain senso e linfa. Quest’ultima fattispecie di token ci permette di fare segno verso un’altra ambiguità di fondo che segna l’universo cripto: quella che concerne la concettualizzazione delle cripto-attività come entità che permettono di fare delle cose sulla blockchain o, invece, come entità che consentono di far funzionare (si veda su queste questioni, Fantacci, Ibidem) la blockchain stessa, con i conseguenti effetti di coordinamento, organizzazione, pooling e governance delle risorse.

Il chiarimento della relazione fra cripto-attività e blockchain dovrebbe, a mio avviso, accompagnarsi a uno sforzo teso a guadagnare un rapporto più libero con la blockchain stessa. Lo sviluppo della blockchain è stato accompagnato da un armamentario ideologico che assume la potenza della nuova tecnologia  come trampolino verso una incondizionata traduzione algoritmica di una gamma sempre più ampia di fenomeni socio-economici, alla luce di un’istanza di assicurazione cibernetica dell’economico, del sociale e del politico. Sotto l’ombrello di una certa interpretazione del ruolo e del significato degli smart contract e delle DAOs, quell’istanza si muove in stretta relazione con il discorso post/transumano, in un orizzonte in cui si dispiegherebbero continue ibridazioni fra l’umano e il macchinico e in cui l’agency sarebbe distribuita fra umani e algoritmi (si veda per una lettura critica, Doria, 2020). Sebbene l’intero movimento (che, nella sua ambizione di assicurare l’inassicurabile chiama in causa anche concezioni di fondo dell’economia e dello statuto dell’incertezza in economia) abbia a che fare con questioni di abissale profondità, una puntuale analisi critica delle derive di alcune cripto-ideologie può senz’altro essere utile ai fini di un approccio più misurato ed equilibrato all’intera questione.

2.2 La questione del significato socio-culturale ed ecologico della tokenization

È proprio con riguardo alle questioni appena menzionate che la proliferazione di token sociali ed ecologici merita di essere considerata. Le forme che questi token assumono sono numerosissime e molteplici sono le dimensioni lungo le quali le differenziazioni si generano. Una di queste dimensioni concerne la connotazione della blockchain; il carattere aperto, permissioned o privato della blockchain stessa rappresenta, infatti, un elemento importante per distinguere fra le diverse tipologie di social cryptocurrencies (Diniz et al., 2018)[4]. Ma sono, naturalmente, le regole che definiscono l’emissione, la circolazione e la spendibilità dei token a disegnare il profilo di una determinata operazione di tokenization. I social e gli environmental token possono essere assegnati in ricompensa di un determinato comportamento; ma la natura di tale comportamento e quindi il senso della ricompensa è assolutamente variabile. Si può essere ricompensati per aver contribuito alla creazione di una community, per essere stati particolarmente attivi al suo interno, per aver tenuto comportamenti ecologicamente connotati a livello micro[5], o per essere stati attori di azioni di policy ambientale articolate che vedono in campo, consumatori, prosumers e imprese e possono avere a che fare con l’investimento in processi green e, in particolare, ad esempio, con la tokenization della produzione di rinnovabili (per il riferimento ad alcuni casi di token legati a questioni ambientali si vedano Andoni et al., 2019 e Howson, 2019).

La stessa complessità la ritroviamo sul versante della circolazione e della spendibilità dei token. Alcuni token possono essere utilizzati per aver accesso a una specifica piattaforma[6] e per partecipare alla governance di una determinata community di matrice ecologica (ad esempio perché il token incorpora il diritto di votare o di avanzare proposte sulla gestione); altri danno accesso al godimento di una specifica gamma di servizi (magari essi stessi connotati in senso sociale o ecologico), altri ancora possono essere negoziati nei mercati globali delle cripto, o comunque legati a più o meno complesse dinamiche di marketization.

Con riguardo ai social token – al cui interno, nota Hartgrave (2021), si possono riconoscere le categorie dei personal tokens e dei community tokens – la questione del valore di mercato gioca un ruolo importante nella definizione del profilo incerto e mutevole dei token stessi; questi ultimi “sometimes develop a market value themselves and, if liquid enough, allow early contributors to exit with an upside comparable to early startup employees at IPO. The shared ownership from the beginning glues token-based communities together” (Ibidem).  Da qui una particolare configurazione dell’ambiguità che caratterizza i social token, che si configurano come “at once the entry key to a community and at the same time a financial instrument tracking the perceived value of that community” (Ibidem). 

Proprio la questione del market value e dei flussi finanziari (che, per i social token, in alcuni casi possono avere a che fare con la distribuzione di dividendi o con processi di token buy back, si veda Hartgrave, Ibidem) rappresenta una delle principali frontiere problematiche; la sovrapposizione fra le molteplici forme di utility token e la figura del cripto-asset con un valore di mercato rischia, a mio avviso, di essere gestita in modo piuttosto disinvolto e fluido (è anche per questo che l’ibrido continua a nominare un carattere importante delle cripto). E proprio gli sforzi di inquadramento normativo potrebbero condurre a incanalare in forme più leggibili la proliferazione delle cripto-attività.

L’interrogazione critica sulla multiforme natura dei token si rivela particolarmente urgente in campo ambientale. La tokenization, infatti, si inserisce in una scena molto affollata, in cui si susseguono e si intrecciano molteplici processi di trattamento, scomposizione e commodification della natura (Pellizzoni, 2021); si tratta di processi che, come sottolineano importanti filoni di analisi sociologica, tendono ad accompagnarsi alla continua rideterminazione dello stesso profilo ontologico del naturale (si veda, sull’ontological politics e la questione della natura, Pellizzoni, 2016).

Il fenomeno degli eco-token incorpora processi di tokenization che possono essere molto diversi fra loro e che, per di più, possono trasformarsi nel tempo per ciò che concerne il significato e gli effetti (si pensi ancora al possibile rapporto degli utility token con dimensioni di finanziarietà); e non è affatto scontato che in tutti i progetti che si moltiplicano sulle blockchain i proponenti abbiano la capacità di prevedere e gestire l’oscillazione del profilo e del valore dei token stessi.

La natura ambigua e sfuggente della tokenization – con la sua capacità di connettere quasi istantaneamente livelli micro e macro e istanze diverse  –  rischia di rendere la scena della manipolazione capitalistica del naturale ancora più opaca. La tokenization ambientale può rimandare a un campo di micro-governance costruito e auto-percepito come “autonomo” (e legato magari a un progetto di commoning ecologico che si avvale di una specifica forma di community token) o a un ennesimo spazio di astrazione tecno-calcolativa in cui spezzoni di natura (di comportamenti, di prestazioni, di risorse naturali) fluttuano, in un orizzonte che richiama, almeno per la potenza dei processi in gioco, il fenomeno dei derivati ambientali.

La stessa logica del rewarding sistematico delle prestazioni (che trova applicazione così frequente anche in ragione della facilità con cui ad oggi è possibile “inventare” ed emettere token) non è naturalmente affatto aproblematica sul piano del pensiero ecologico; e la questione si presenta particolarmente sfuggente per l’analisi critica proprio allorché ciò con cui si viene ricompensati non è il legal tender ma il token come oggetto dai contorni costitutivamente fluidi se non ambigui.

Laddove progetti quali quello di tokenizing the trees (si veda Al-Sibai, 2022)  continueranno a moltiplicarsi (e a suscitare la domanda su che cosa vogliano significare), l’attenzione critica dovrà essere tanto viva quanto orientata al dialogo stretto con l’interrogazione sul senso economico del fenomeno cripto.

3. Conclusioni

Lungo tutta la tumultuosa crescita dell’universo cripto, l’interrogazione sulla natura del valore delle cripto-attività è rimasta in buona parte in ombra, almeno nella dimensione del discorso pubblico. L’effervescente proliferazione di criptoasset è stata, per così dire, sempre diversi passi avanti alla domanda che chiedeva dove risiedesse il valore di quegli asset, se non nella scarsità programmata di alcuni di loro. Si tratta di una situazione forse non sorprendente se consideriamo la natura tendenzialmente anarchica, acentrica, distribuita del fenomeno; e se consideriamo anche che l’archetipo cripto – Bitcoin –, sotto l’ombrello del miraggio di una riforma radicale della moneta, ha, in concreto, fatto virare la questione del valore verso i lidi del valore speculativo.

Se la finestra di opportunità che si apre oggi – anche in ragione dell’addensarsi degli sforzi normativi – permetterà di cominciare a re-installare l’interrogazione sul valore delle cripto-attività, quest’ultima è chiamata ad affrontare anche la questione del senso e delle direzioni della tokenizzazione sociale e ambientale, che non è una questione marginale ma chiama in causa il significato dell’intero movimento cripto. 

In che senso (in quali diversi e non necessariamente coerenti sensi) un token è “sociale” o “ecologico” e quali concezioni, anche implicite, del sociale e dell’ecologico e dell’innovazione monetaria incorpora e riproduce? La risposta a queste domande dovrà confrontarsi con la questione del profilo ontologico dei token, ma anche con l’osservazione dei percorsi ibridi e confusi lungo i quali la tokenization continuerà a procedere nei prossimi anni. In questi termini si configura la scomoda partita che la riflessione interdisciplinare sarà chiamata a giocare.

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Petrucciani G. (2023) “Criptovalute, arriva il regolamento Ue: cosa cambia per operatori e investitori (anche per il Bitcoin)”, Corriere della Sera, L’Economia, 23 aprile, https://www.corriere.it/economia/finanza/23_aprile_23/criptovalute-arriva-regolamento-ue-cosa-cambia-operatori-investitori-anche-il-bitcoin-029450e0-e1df-11ed-a60a-9823b7efe925.shtml#:~:text=%C2%ABIl%20nuovo%20regolamento%20europeo%20parla,interessa%20indirettamente%20anche%20il%20bitcoin. (ultimo accesso 14 giugno 2023).

Rozas D., Tenorio-Fornés A., Hassan S. (2021) “Analysis of the Potentials of Blockchain for the Governance of Global Digital Commons”, Frontiers in Blockchain, vol. 4, https://doi.org/10.3389/fbloc.2021.577680 (ultimo accesso 9 giugno 2023).

Sartori, L., Dini P. (2016) “From complementary currency to institution: a micro-macro study of the Sardex mutual credit system”, Stato e mercato,36(2), 273–304.


[1] Una rinascita dell’attenzione per il tema dell’innovazione monetaria è rinvenibile negli ultimi decenni e, in particolare, negli anni successivi alla crisi finanziaria. La compresenza di forme diverse di moneta, naturalmente, è tutt’altro che un fatto sconosciuto alla storia economica e rappresenta, anzi, una questione importante e densa di significato teorico (si veda su alcuni temi connessi Amato e Fantacci, 2020).

[2] Per quanto riguarda i security token, invece, entra in gioco la loro normazione nell’ambito di altri quadri normativi in campo finanziario.

[3] Secondo Andrea Conso (argomentazione riportata nell’articolo di Petrucciani, 2023), se si prestano servizi utilizzando la tecnologia blockchain, consentendo per esempio di acquistare e vendere bitcoin, si deve comunque sottostare al regolamento.

[4] Nell’approccio di Diniz et al. (2018, p. 8) sono considerate cryptocurrencies quelle che hanno come piattaforma  “distributed systems of records of transaction in blocks (blockchain)” e social cryptocurrencies “only the ones which go beyond the primary economic goals and have clear social or environmental statement as a goal of the currency project” (Ibidem, p. 8).

[5] Quali, ad esempio, passare del tempo con le piante così come prendersene cura, come immaginato in uno dei prototipi concettuali illustrati in Heitlinger et al. (2021).

[6] L’accesso può essere concesso a chi possieda una certa quantità di fungible tokens o a chi possieda uno specifico non-fungible token (see Hartgrave, 2021).

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