Il Mezzogiorno e la (mala) scienza

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In un articolo pubblicato di recente dalla rivista Intelligence, edita dalla Elsevier, il Professor Richard Lynn, emerito alla University of Ulster, ha sostenuto che il divario nei redditi pro-capite tra nord e sud Italia sarebbe da ricondurre a sostanziali differenze nei quozienti di intelligenza (QI).

I dati pubblicati dal Professor Lynn mostrano in effetti l’esistenza di una elevatissima correlazione (0.937) tra una proxy dei QI calcolata a partire dall’indagine PISA dell’OCSE[1] – che rileva le competenze acquisite dagli studenti in prossimità della conclusione dei cicli di studio obbligatori – ed i redditi regionali pro-capite[2]. In pratica, nelle regioni italiane in cui il punteggio raggiunto dagli studenti, nei test approntati dall’OCSE, è più basso, si osserva anche un più basso livello di reddito pro-capite. Le differenze nei quozienti di intelligenza (presenti, stando allo studio in esame, già a partire dal 1400) sarebbero in grado di spiegare circa l’88% della variabilità regionale nei redditi pro-capite, e sarebbero da ricondurre a sostanziali differenze genetiche.

L’introduzione, nel Mezzogiorno, di materiale genetico proveniente dalle popolazioni del Medio Oriente e del Nord Africa, avrebbe inciso negativamente sul QI delle popolazioni meridionali, mediamente compreso nell’intervallo 89-92 ed intermedio tra quello del Nord-Italia/ Europa centrale (pari a 100), e quello del Medio Oriente / Nord Africa (80-84).

E’ singolare notare che l’argomento utilizzato dal Professor Lynn per sostenere quest’ultima tesi, ha le tipiche caratteristiche di circolarità dei ragionamenti non solidamente fondati: poiché vi è evidenza di similarità genetiche tra alcune popolazioni mediterranee i cui membri mostrano una capacità simile nei test volti a misurare il QI, deve essere il caso che il QI degli appartenenti a tali popolazioni sia interamente determinato dal proprio patrimonio genetico!

E’ curioso riflettere sul fatto che l’interpretazione attualmente prevalente del divario nord-sud si basa su presunte differenze nei codici di condotta. Dalle differenze etiche si è dunque passati a quelle antropologiche, in attesa che qualcuno riveli che quella discontinuità ontologica, che secondo Jacques Maritain distinguerebbe l’uomo dagli altri primati, in realtà, nel Mezzogiorno, non ha mai avuto luogo.

In un bellissimo libro sulle origini del razzismo in Europa, lo storico George Mosse ha ricostruito il ruolo svolto da molti uomini di Scienza nel sostenere le false evidenze che hanno poi contribuito ad alimentare il mito della superiorità razziale[3]. Se qualcosa si è dunque imparato, è che bisogna evitare l’accusa gratuita di razzismo verso chi espone tesi controverse come quelle del professor Lynn. Occorre invece contrastare tali tesi con argomenti che possano privarli di qualsiasi credibilità scientifica.

Preliminarmente occorre riconoscere che il QI, non direttamente osservabile, è giocoforza sempre approssimato in modo assai imperfetto. E’ ad esempio noto che la personalità del soggetto sottoposto ad un test di intelligenza può avere rilevanti effetti sull’esito del test stesso[4]. Tale esito è inoltre la risultante di complesse interazioni tra motivazione e abilità, ed anche questo andrebbe riconosciuto[5].

E’ poi del tutto evidente la forzatura che viene posta in essere non appena si consideri che i test somministrati nel corso dell’indagine PISA non sono congegnati allo scopo di misurare il quoziente intellettivo, e che è del tutto ignorato, nell’analisi in esame, il legame tra il QI e la qualità dell’istruzione ricevuta.

Dal punto di vista statistico occorre poi rilevare che l’analisi del Professor Lynn si basa su di un numero di osservazioni del tutto inadeguato (dodici), che rende i risultati semplicemente inaffidabili. Per giunta, dall’esistenza di un legame statistico tra due variabili non si può dedurre alcunché, per la semplice ragione che il loro concorde andamento potrebbe essere determinato dall’andamento di una o più variabili non osservate (a parte il problema, affatto considerato, di determinare la direzione del nesso di causalità tra le variabili).

Per verificare quanto i risultati dello studio in esame siano fuorvianti, è sufficiente condurre una semplice analisi multivariata, volta a spiegare le divergenze regionali nei redditi pro-capite tenendo conto, oltre che del QI, anche della disponibilità di fattori della produzione (capitale fisico, capitale umano e lavoro)[6] . Una tale analisi, che può avvalersi dei dati pubblicati dal Professor Lynn in modo da replicarne eventualmente i risultati, rivela: a) l’esistenza di un forte legame tra QI e reddito, quando però il QI è l’unica variabile esplicativa considerata (cioè l’unica variabile tenuta in conto tra quelle in grado, in principio, di spiegare le differenze regionali nei redditi pro-capite); b) il venir meno di un qualsiasi legame statistico tra QI e reddito non appena si introducano ulteriori variabili. In particolare, l’introduzione della variabile che tiene conto delle differenze nei tassi di occupazione regionali, rende il coefficiente che misura l’impatto del QI sul reddito pro-capite non statisticamente diverso da zero (mentre l’impatto del tasso di occupazione sul reddito, sopravvive all’introduzione di una serie di controlli, ovvero di altre variabili).

Se si conduce poi un’analisi sulle determinanti del QI a partire dai dati pubblicati dal Professor Lynn, se cioè si pone il QI come variabile dipendente, si possono facilmente riprodurre risultati noti[7]. In particolare si può pervenire ad una spiegazione delle differenze regionali nei punteggi raggiunti dagli studenti coinvolti nell’indagine PISA, imperniata sui seguenti due fattori. Innanzitutto la disponibilità di risorse[8]. Non è a tal proposito inutile rilevare che le province del Friuli Venezia Giulia dispongono di un ammontare di risorse (in conto capitale, quelle cioè che più contano), fino a venti volte superiore a quello disponibile nelle province della Sicilia. In secondo luogo le caratteristiche di contesto; in particolare le condizioni del mercato del lavoro. Queste ultime giocano un ruolo davvero rilevante nel determinare le disparità osservate nelle competenze acquisite dagli studenti, per la semplice ragione che quanto peggiori sono le condizioni del mercato del lavoro, tanto minori sono gli incentivi ad investire in istruzione: gli individui scelgono infatti, razionalmente, di dedicare più tempo ad attività alternative, dati i bassi tassi di rendimento dell’investimento.

Le spiegazioni offerte dalla letteratura circa le disparità regionali nelle competenze acquisite dagli studenti, si completano con l’osservazione, effettuata in precedenza, che l’esito di un test volto a misurare il QI, è molto probabilmente la risultante dell’interazione tra abilità e motivazione. I fattori di contesto giocano un ruolo rilevante nel determinare quest’ultima; svolgono pertanto un ruolo rilevante nel determinare l’esito della prova.

Nel complesso sembra evidente da quanto precede che l’analisi del Professor Lynn conduce a conclusioni che si rivelano, ad un’indagine appena più accurata, del tutto false.

In ogni caso la sua è solo l’ultima in ordine di tempo, la più estrema, tra le spiegazioni che chiamano in causa una qualche diversità delle popolazioni meridionali per giustificare i divari in termini di reddito pro-capite tra nord e sud del paese. La spiegazione attualmente prevalente, com’è ampiamente noto, s’impernia sull’idea che esistano notevoli differenze nei codici di condotta, e chiama in causa un entità, il capitale sociale, che svolge un po’ la stessa funzione svolta dall’etere fino al XIX secolo nell’ambito della Fisica. In pratica si ricorre al concetto di capitale sociale, in modo spesso acritico, per spiegare qualsiasi tipo di differenza tra nord e sud Italia per cui la causa non appare immediatamente evidente: dalle differenze nei livelli di reddito a quelle nei tassi di criminalità o all’efficacia nella raccolta differenziata dei rifiuti. Tesi come quella del familismo amorale[9] o della scarsa dotazione di capitale sociale[10] sono molto popolari, per più di una ragione. Certamente ben si coniugano con il pregiudizio relativo ad una società, quella meridionale, i cui individui sarebbero incapaci di attuare comportamenti volti ad ottenere i vantaggi connessi con l’azione collettiva.

C’è naturalmente un pericolo: poiché i codici di condotta non si modificano che molto lentamente, non si può non convenire sul fatto che qualsiasi intervento non potrebbe che dimostrarsi, almeno a breve, di scarsa utilità. Insomma, che si tratti di intelligenza o di codici di condotta, non si può che lasciare il Mezzogiorno al suo destino.

A meno che non si decida di far propri alcuni suggerimenti, avanzati da Alberto Alesina ed Andrea Ichino in alcuni recenti interventi, volti ad “aumentare il capitale sociale” del sud[11]. Tra cui: educare i propri figli a riferire alla maestra l’identità dell’autore di una marachella, oppure educare gli insegnanti a non considerare normale il copiare durante gli esami (nel recente libro citato in nota, vi è anche un’esortazione ad educare i propri figli ad accettare caramelle dagli sconosciuti).

A parte condannare un bambino all’infelicità, conseguenza dell’ostracismo cui un’educazione in linea con la canzone “In fila per tre” di Edoardo Bennato lo esporrebbe, sarebbe il caso che Alesina ed Ichino ci chiarissero sulla base di quale evidenza essi ritengono: che al sud, più che al nord, l’omertà regna sovrana anche tra i bambini; che al sud uno stuolo di insegnanti gaudenti, si bea nel vedere una classe di somari scopiazzare allegramente dall’unico volenteroso, il cui padre, impiegato delle poste, è stato appena trasferito da Cuneo, sua città natale.

*Università degli studi di Napoli “Federico II” & ICER

[1] PISA: Program for international student assessment: cfr. OECD, (2007). PISA 2006 competencies for tomorrow’s world. Paris: OECD.
[2] Per capire l’ordine di grandezza nei divari concernenti i QI medi, si noti che, posto pari a 100 il QI del Regno Unito, si avrebbe: Friuli Venezia Giulia, 103; Sicilia, 89.
[3] Mosse, G., (1992). Il razzismo in Europa. Dalle origini all’olocausto. Milano: Mondadori.
[4] Eysenck, H. J., (1994). Intelligence and Introversion-Extraversion. In Sternberg, R.J., Ruzgis, P., (eds.) Personality and Intelligence. Cambridge University Press, Cambridge, 3–31.
[5] Bowles, S., Gintis, H., (2002). The inheritance of inequality. Journal of Economic Perspectives, 16 (3), 3-30.
[6] La versione working paper del mio commento all’articolo del Professor Lynn è disponibile al seguente indirizzo: http://www.icer.it/docs/wp2010/ICERwp06-10. L’Analisi statistica cui faccio riferimento integra il working paper, ed è contenuta in un articolo attualmente in corso di referaggio su Intelligence.
[7] Ci si riferisce al seguente ottimo studio: Bratti, M. Checchi, D., Filippin, A., (2007). Territorial differences in Italian Students’ Mathematical Competencies: Evidence from PISA 2003. IZA DP, No. 2603 (si veda anche Bratti, M. Checchi, D., Filippin, A., (2008). Da dove vengono le competenze degli studenti? Bologna: Il Mulino).
[8] Si veda anche, su questo punto, l’accurato Rapporto della Fondazione Agnelli: Fondazione Agnelli, (2010). Rapporto sulla scuola in Italia. Roma-Bari: Laterza.
[9] L’espressione familismo amorale fu elaborata sul finire degli anni ’50 con riferimento ad un paesino della Basilicata (chiaramente più a sud di Eboli, dove, com’è noto, già Cristo si era fermato), per indicare un modello di comportamento solo attento all’immediato vantaggio della propria ristretta cerchia familiare. Cfr. Banfield, E.C., (1958). The moral basis of a backward society. The Free Press: Glencoe (trad. it.: Le Basi Morali di una società arretrata. Bologna: Il Mulino)
[10] Putnam, R., (1993). Making Democracy Work. Princeton: Princeton University Press (trad. it.: La tradizione civica nelle regioni italiane. Milano: Mondadori).
[11] Alesina, A., Ichino, A., (2009). Sud e isole, far crescere il capitale sociale. Il Sole 24 ore, 22 dicembre. Disponibile on-line all’indirizzo: http://www2.dse.unibo.it/ichino/art_sole_sud_finale.pdf.
La posizione di Alesina ed Ichino è ampiamente sviluppata nel recente libro “L’Italia fatta in casa” edito da Mondadori, 2009. Tale libro non è, a mio giudizio, all’altezza della fama scientifica degli autori, e colpisce soprattutto per l’ inadeguatezza con cui vengono trattati gli aspetti relazionali che sottendono il buon funzionamento di un’economia di mercato. Cfr. Bruni, L. (2010). La famiglia? Non è inciampo per lo sviluppo. Avvenire, 5/2/2010.

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