Contro l’indipendenza anti-democratica delle banche centrali

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Political and social notes

Una proposta di riforma costituzionale e civile

In questo articolo critico la presunta “indipendenza” delle banche centrali; inoltre critico il fatto che quasi sempre le banche centrali, nonostante la loro fondamentale importanza e il loro grande potere, non siano neppure previste dalle Costituzioni nazionali. Propongo dunque che la loro missione e i loro compiti siano fissati dalle Costituzioni democratiche. Le banche centrali non dovrebbero più essere “torri d’avorio” tecnocratiche, opache e avulse dalla società, organi in simbiosi di fatto con il sistema bancario privato. Propongo che il sistema monetario nel suo complesso venga radicalmente democratizzato e che sia gestito dalle organizzazioni plurali della Società Civile, e dunque non dallo Stato né dai mercati. Le Costituzioni democratiche dovrebbero prevedere la banca centrale come organo indipendente governato dalla Società Civile e dalle parti economiche interessate per gestire il bene comune della moneta. Le banche centrali dovrebbero aprirsi al pubblico sfruttando l’opportunità legata all’avvento ormai prossimo delle monete digitali di banca centrale, le Central Bank Digital Currencies. 

Nel loro ruolo di monopoliste della moneta legale e di direzione della politica monetaria e bancaria le banche centrali sono al centro del capitalismo finanziario. Gli Stati hanno affidato alle banche centrali il monopolio di emissione di moneta legale; in cambio queste, nel corso della loro storia, hanno cessato di avere scopo di lucro, come invece avevano all’inizio in quanto possedute da finanzieri privati. Da banche private storicamente le banche centrali sono diventate un organo dello Stato, tanto che i loro profitti vengono riversati allo Stato, e le loro perdite dovrebbero essere ripagate dallo Stato. Tuttavia, come vedremo, nonostante siano organi di Stato, a causa della loro pretesa “indipendenza” operano ancora prevalentemente a beneficio del sistema bancario e finanziario privato – che ovviamente si muove nella logica del massimo profitto per gli azionisti e non in base agli interessi nazionali -.

La funzione delle banche centrali è importantissima, le loro politiche possono contribuire a sviluppare l’economia o invece a frenarla o addirittura ad affondarla. Il loro potere è enorme perché hanno il monopolio dell’emissione della moneta legale, ovvero la moneta garantita dallo Stato e imposta dallo Stato per pagare le imposte. Tuttavia sorprendentemente lo Stato democratico e sovrano, l’unico garante del valore della moneta, ha ceduto il suo potere di emissione e di governo della moneta a una banca centrale “indipendente”. L’altro fatto ancora più sorprendente è che nella grande maggioranza dei casi, nonostante il loro immenso potere, le banche centrali non siano previste dalle Costituzioni e dunque non siano costituzionalmente regolamentate. Sono quasi sempre di fatto organismi extra costituzionali: per esempio la Costituzione degli Stati Uniti prevede che solo il Congresso abbia il potere di coniare denaro, definire la valuta e determinarne il valore[1]. Non prevede la formazione di una banca centrale. Non a caso i critici dell’indipendenza della Federal Reserve sottolineano che la Costituzione americana non fa alcun riferimento a una banca centrale per l’emissione di moneta.

Anche la Costituzione italiana non prevede la banca centrale mentre prevede genericamente che “Lo Stato ha legislazione esclusiva sulla moneta” anche se “nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” (art. 117).

Sul piano giuridico il ruolo, i compiti e i limiti delle attività delle banche centrali sono quindi incerti e molto discussi a livello internazionale. In generale le Costituzioni affidano la potestà sulla moneta allo Stato e non alle banche centrali, e quindi le banche centrali esistenti appaiono di fatto come un “agente dello Stato”, un’agenzia che opera per conto dello Stato. E’ chiaro tuttavia che la banca centrale “indipendente” dei tempi attuali cozza con questo statuto giuridico: infatti un’agenzia dello Stato può essere autonoma ma non può essere completamente indipendente dallo Stato di cui è agente, a meno che questo non sia previsto dalla Costituzione.

Generalmente le Costituzioni democratiche, nella loro classica tripartizione dei poteri legislativo, esecutivo, giudiziario, prevedono che la Magistratura e la Corte Costituzionale siano organi “indipendenti”; ma in questo caso la loro indipendenza, cioè la loro “non dipendenza” da altri organi costituzionali, è regolata dalla Costituzione[2]. L’indipendenza di un organo che non è neppure previsto dalla Costituzione, che pure ha il monopolio sulla moneta di Stato (la moneta legale), che definisce le politiche monetarie del Paese e che non è eletto e quindi non è neppure soggetto allo scrutinio popolare, è quindi non solo formalmente opinabile ma è nella sostanza completamente abnorme, anti-democratica e minacciosa della sovranità popolare prevista dalla Costituzione.

A maggiore ragione questo ragionamento vale per la Banca Centrale Europea, che è un organismo previsto da trattati intergovernativi, indipendente, non eletto, e che – dal momento che gli azionisti sono le 19 banche centrali – non può neppure essere responsabile di fronte a un governo nazionale, e non lo è neppure di fronte al Parlamento Europeo o alla Commissione Europea. Questa situazione non rappresenta, come si afferma spesso in letteratura, un “deficit democratico”: è infatti ben di più di un deficit. Appare come un grave vulnus alla democrazia.

Tra l’altro la “indipendenza” della banca centrale è completamente irrealistica, è un traguardo irraggiungibile, perché nessuna istituzione può fare politica monetaria e bancaria nel vuoto pneumatico e al riparo da contesti molto stringenti, e quindi al riparo dalle azioni degli attori privati e pubblici e dai loro interessi specifici e di parte. La neutralità non può esistere in campo monetario. Non si può dimenticare o sottovalutare il fatto che per esempio la BCE/Eurosistema ha un bilancio pari a circa €8 trilioni (2022), cioè circa il 55% del PIL dell’area euro. Ovvero è il maggiore investitore finanziario dell’eurozona, anche se non ha nessun contrappeso democratico e istituzionale. La politica monetaria è senz’altro politica economica e quindi politica.

Non solo l’indipendenza delle banche centrali – per esempio dagli interessi delle comunità nazionali o dalle istituzioni democratiche – è concettualmente sbagliata: essa è anche impossibile. Se per esempio il compito di una banca centrale è di conservare gli equilibri di funzionamento del mercato finanziario,  allora essa deve necessariamente operare “dalla parte del sistema finanziario” proprio per garantirne l’equilibrio. La banca centrale deve dunque essere per forza partigiana e condividere i valori dell’economia di mercato se vuole riuscire a conservare l’equilibrio del sistema privato bancario (che è basato ovviamente sulla ricerca competitiva del massimo profitto).

Attualmente le banche centrali sono delle creature ibride che hanno una doppia natura: da un lato sono organi dello Stato che devono svolgere un servizio pubblico a favore della società nazionale (o dell’economia regionale, nel caso della BCE) con funzioni di regolazione macroeconomica; e dall’altro devono salvaguardare il buon funzionamento del sistema privato delle banche commerciali con l’obiettivo dichiarato di proteggere il risparmio. Devono mantenere la stabilità della moneta e eventualmente – nel caso per esempio della Federal Reserve americana, ma non della Banca Centrale Europea – devono contemporaneamente operare anche a favore della crescita economica e della piena occupazione. In caso di crisi le banche centrali sono chiamate a provvedere di rifornire di liquidità le banche private di deposito per salvaguardare così i risparmi dei depositanti e, insieme, la stabilità del sistema bancario e dell’economia.

Il problema è che le banche centrali sul piano formale dovrebbero limitarsi a “salvare” solo le banche di deposito, quelle in cui i risparmiatori conservano i loro soldi: tuttavia recentemente sono diventate il “Pronto Soccorso” di tutti gli enti finanziari sistemici e dei mercati finanziari. Nel corso della Grande Crisi Finanziaria la FED per esempio è intervenuta per salvare tutte le maggiori banche d’affari – eccetto la Lehman Brothers, come noto – anche se queste erano chiaramente fuori dalla sua “giurisdizione”. La FED recentemente ha addirittura aperto una nuova struttura permanente, la Standing Repo Facility, per intervenire nel mercato monetario all’ingrosso pronti contro termine (Repurchase Agreement, Repo) dove operano le maggiori società finanziarie di tutti i tipi. Analoghe operazioni di salvataggio ha condotto la BCE sul mercato Repo europeo dove operano tutti i soggetti finanziari, anche i fondi speculativi. In tale modo, per salvare i mercati dalla strutturali, frequenti e sempre più gravi crisi, la banca centrale è portata a esorbitare dai suoi poteri e dai suoi limiti aiutando e salvando anche la “parte cattiva” della finanza, ovvero la speculazione (e non più, e non solo, i risparmiatori).

La doppia natura pubblica-privata delle banche centrali si riflette anche nell’assetto proprietario: le banche centrali possono avere come azionista lo Stato, come per esempio la Banca di Francia e la Banca di Inghilterra, o fare capo invece alle banche, cioè agli azionisti privati, come per esempio la Federal Reserve, la Banca d’Italia e la stessa BCE.

Occorre dunque chiedersi se l’indipendenza delle banche centrali è democratica e da dove nasce. Essa è in realtà un fenomeno relativamente recente: dopo la seconda guerra mondiale, molte banche centrali europee sono infatti diventate pubbliche e, in base alle politiche keynesiane allora dominanti, hanno assunto dei compiti di interesse nazionale in subordinazione più o meno stretta con le direttive di politica economica fissate dai governi e dal ministero del Tesoro. Almeno fino agli anni Ottanta, la spesa pubblica era spesso “monetizzata” dalle banche centrali in base alle direttive del Tesoro. Più in generale la regolazione del sistema bancario da parte delle banche centrali era prevalentemente di tipo amministrativo; e il comparto bancario era separato da quello finanziario. Come è noto nei Trenta Gloriosi del secondo dopoguerra (1945-1975), grazie a questo regime di forte regolazione, si è verificato il maggiore sviluppo economico dell’Occidente con forti aumenti della produttività, del comune benessere e dell’occupazione.

Solo recentemente, ovvero solamente a partire dagli anni Ottanta, si è verificata una svolta di 180 gradi per la quale le banche centrali nel mondo occidentale sono diventate “indipendenti” dai governi e dalla politica, secondo il modello della Bundesbank tedesca. L’indipendenza della banca centrale dal controllo politico, dai governi e dal ministero del Tesoro nasce con la fine degli accordi di Bretton Woods (1971) quando vengono fatti cadere i controlli sui movimenti dei capitali e la finanza inizia a diventare deregolamentata e globale.

Dagli anni Ottanta in poi l’indipendenza della banca centrale è stata promossa dai governi Reagan e Thatcher con l’obiettivo di combattere l’inflazione e gli aumenti dei deficit pubblici e, sul piano politico, di togliere potere di condizionamento alle sinistre, ai sindacati e ai movimenti progressisti e di contestazione molto forti negli anni Settanta. Fu fatta passare l’idea che l’inflazione fosse causata da eccessi di spesa pubblica e dai forti incrementi salariali ottenuti dai movimenti dei lavoratori. In effetti sia negli USA che in Europa negli anni Settanta il sistema politico, grazie alla spesa pubblica finanziata con emissione di nuova moneta dalle banche centrali, era stato in grado di affrontare i conflitti sindacali e sociali e, contemporaneamente, di sostenere i profitti e l’accumulazione del capitale, causando però livelli elevati di inflazione[3]. In realtà tuttavia l’aumento dei prezzi fu dovuto soprattutto alle spese militari sostenute per la guerra nel Vietnam, al forte aumento del costo del petrolio legato alle guerre in Medio Oriente (crescita dalle sei alle dieci volte rispetto al prezzo iniziale) e alla forte svalutazione del dollaro.

La controrivoluzione reaganiana e thatcheriana negli anni Ottanta mirò a “riformare” il ruolo delle banche centrali in modo da togliere alla politica, ai governi e ai partiti la possibilità di finanziare in deficit servizi pubblici “troppo costosi” (per es. pensioni, sanità, istruzione).  Fu abbandonata la politica del compromesso sociale. Lo strumento ritenuto più idoneo per tenere a bada il deficit pubblico e l’inflazione fu l’”indipendenza” della banca centrale, ovvero la proibizione assoluta da parte delle banche centrali di “monetizzare” i deficit pubblici sul mercato primario – cioè di assorbire i titoli di stato emessi dai governi ampliando la base monetaria -.

Nel nome della lotta all’inflazione si attuò una sorta di “colpo di stato” sulla moneta: gli Stati persero di fatto, in misura minore o maggiore, la loro sovranità monetaria. Per contrastare l’inflazione le banche centrali “indipendenti” attuarono politiche di forte aumento dei tassi di interesse e di stretta monetaria sotto la guida della FED e del governatore Paul Volcker: in tale modo stroncarono effettivamente l’inflazione ma aumentarono in maniera decisa la disoccupazione, togliendo potere di contrattazione ai sindacati. La politica neoliberale dominante pose le banche centrali al “riparo dalla politica”, ovvero al di fuori del controllo democratico.

Da allora la liberalizzazione e la globalizzazione si sviluppano di pari passo con il nuovo statuto di “indipendenza” delle banche centrali e si accompagnano alla diminuzione globale della crescita del PIL e degli incrementi di produttività, alla forte concentrazione di ricchezza e alla crescente diseguaglianza sociale. L’indipendenza delle banche centrali è ormai diventata l’emblema del potere dominante del capitale finanziario sulla politica e sul capitale produttivo.

Questa (presunta) indipendenza è tuttavia sempre più messa in discussione. Le banche centrali hanno infatti perso buona parte della loro reputazione di “neutralità” di fronte all’opinione pubblica e al mondo politico dopo la Grande Crisi Finanziaria. La crisi di legittimazione deriva dal fatto che non solo le banche centrali non hanno previsto il crack finanziario ma lo hanno anche provocato provvedendo “denaro facile” per il sistema bancario e finanziario, favorendo la deregolamentazione del settore bancario, consentendo (se non per molti aspetti favorendo) la nascita del sistema bancario-ombra e del mercato dei derivati. Inoltre hanno assunto un ruolo indubbiamente “politico” appoggiando esplicitamente le politiche di austerità. Dopo lo scoppio della GCF le banche centrali con le politiche di Quantitative Easing, di espansione monetaria, hanno stampato migliaia di miliardi di nuova moneta a favore delle banche e della finanza (ma non dell’economia reale) aumentando la ricchezza finanziaria di elite ristrette. Hanno ignorato i gravissimi problemi della gente comune che ha più sofferto la crisi.

L’opinione pubblica a destra come a sinistra – dal Tea Party e Donald Trump a Occupy Wall Street – ha cominciato a criticare aspramente le politiche bancarie e a diffidare delle banche in generale. E’ risultato chiaro che la politica monetaria delle banche centrali ha forti effetti distributivi e che la tradizionale netta distinzione tra politica monetaria e fiscale è da riconsiderare alla radice. Un numero sempre maggiore di economisti considera l’indipendenza assoluta della Banca Centrale un tabù dannoso e da superare[4].

E’ un fatto che, grazie al falso mito dell’indipendenza della banca centrale, il banchiere centrale abbia acquisito un potere quasi monarchico senza che ci sia nessun vero contropotere di riequilibrio e di controllo. E’ un potere enorme che non quadra per nulla con il sistema liberale di check and balances che caratterizza, o dovrebbe caratterizzare, le moderne democrazie.

Tra l’altro, le politiche delle banche centrali risultano essere sempre più inefficaci, se non fallimentari: infatti dopo la Grande Crisi Finanziaria non sono riuscite a combattere le tendenze deflazionistiche e a raggiungere il 2% di inflazione, nonostante i QE; e poi, da quando l’inflazione è nuovamente scoppiata, dopo la crisi del Covid e l’invasione russa dell’Ucraina, non sono riuscite neppure a frenare l’aumento dei prezzi, arrivato al 10% e oltre. 

Occorre riformare il sistema delle banche centrali attribuendo potere alla società civile

Appare evidente che in linea di principio le Costituzioni dei paesi democratici dovrebbero codificare attentamente il ruolo, i compiti e i limiti degli organi preposti al governo della moneta: questa materia è infatti troppo importante per essere ignorata o affidata alla “indipendenza” della banca centrali. Al di fuori di chiare regole costituzionali è inevitabile che il sistema bancario “catturi” le banche centrali e/o che i governi – che in generale nominano i capi delle autorità monetarie – condizionino surrettiziamente le politiche monetarie e bancarie. Per esempio è nota l’influenza preponderante che hanno Francia e Germania sulla Banca Centrale Europea.  Donald Trump esplicitamente “dava ordini” alla FED.

La questione cruciale è: quale nuovo rapporto tra le banche centrali, la società e la politica? Come bilanciare il potere delle banche centrali? Come introdurre la democrazia e il controllo pubblico nel settore bancario e nelle banche centrali?

Di fronte alla sfrenata privatizzazione della moneta (che attualmente è in prevalenza moneta bancaria, ovvero moneta privata) e di fronte al predominio dei mercati potrebbe essere facile proporre una soluzione apparentemente opposta, ma anch’essa assolutamente sbagliata e squilibrata: la statalizzazione della moneta. E’ una soluzione sbagliata perché non è auspicabile che lo Stato, tramite il potere esecutivo, ottenga il controllo centralizzato sulla moneta e sul credito: in tale modo si produrrebbe uno squilibrio di poteri, un’estensione indebita del potere statale sull’economia e sulla società. Lo Stato gestisce già le entrate fiscali e la spesa pubblica. Se i governi gestissero la moneta, e quindi anche le banche centrali e a cascata il sistema bancario, si formerebbe un sistema centralizzato, autoritario, burocratico, clientelare, inefficiente e prevedibilmente corrotto: si produrrebbero allora nuove distorsioni allocative e nuove crisi.

La nostra proposta è che siano la Società Civile e le sue organizzazioni a gestire il sistema monetario. Il problema centrale è infatti che finora storicamente la società civile e le parti economiche sono state completamente tagliati fuori dal processo di creazione della moneta, e che il sistema monetario è rimasto un “affare privato” tra le banche centrali “indipendenti” e il sistema bancario. Bisognerebbe invece considerare il sistema monetario come un bene pubblico, quale esso è a tutti gli effetti dal momento che è un bene “non esclusivo e non rivale”[5]. Il sistema monetario infatti riguarda tutti i cittadini senza esclusione e può, e deve, essere utilizzato da tutti senza “consumarsi”, anzi diventando ancora più utile.

Ovviamente la gestione di un bene pubblico dovrebbe essere completamente diversa da quella di un sistema privato. Per amministrare la moneta come bene comune occorre che il lavoro, le imprese che producono ricchezza, le associazioni dei consumatori e le altre organizzazioni civili interessate diventino protagoniste nella sua gestione. La democrazia economica dovrebbe entrare pienamente nel sistema delle banche centrali e penetrare tutto il sistema bancario, sia sul piano nazionale che locale. La democrazia è una riforma semplice da attuare, molto efficace e senza costi: ma è duramente osteggiata da ristrette elite finanziarie che vogliono conservare i loro privilegi.

Le banche centrali dovrebbero aprirsi e essere partecipate dalla società, prima di tutto dalle organizzazioni dei lavoratori, degli imprenditori e dei consumatori; e dovrebbero coordinarsi strettamente con le politiche dei governi democraticamente eletti. Solo la democrazia e la partecipazione diretta delle organizzazioni della società civile alla politica monetaria possono farci uscire dalla crisi economica e difendere e arricchire le istituzioni democratiche.

L’occasione propizia per democratizzare la moneta potrebbe essere l’introduzione delle monete digitali di banca centrale, le Central Bank Digital Currencies. L’introduzione delle CBDCs potrebbe finalmente concedere ai cittadini, alle imprese e agli enti pubblici il diritto – che attualmente hanno solo le banche commerciali – di aprire dei conti correnti presso la banca centrale e di ottenere così moneta legale digitale di prima emissione, saltando l’intermediazione delle banche commerciali private. L’attuale assetto basato sulla moneta bancaria privata si trasformerebbe radicalmente e la moneta diventerebbe finalmente pubblica e trasparente, ovvero uno strumento gestito della Società Civile per il benessere comune. La banca centrale governata dalla Società Civile, dalle parti economiche e sociali direttamente interessate, gestirebbe in monopolio l’emissione monetaria mentre le banche, private e pubbliche gestirebbero l’attività creditizia e di intermediazione. L’amministrazione della moneta diventerebbe, come è giusto, un “affare pubblico” trasparente e partecipato.


[1]   Investopedia    “Why Do Some People Claim the Federal Reserve Is Unconstitutional?”  By JUSTIN WALTON Updated October 30, 2021   Reviewed by ROBERT C. KELLY

[2]   Omar Chessa “La Costituzione della Moneta” Jovene Editore 2003

[3]   Wolfgang Streeck “Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico”     Feltrinelli, 2013

[4]   Il premio Nobel Joseph Stiglitz per esempio ha affermato che: “[La crisi dei subprime] ha dimostrato che uno dei principi di base propugnati dai banchieri centrali occidentali, cioè l’indipendenza della banca centrale, è, per usare un eufemismo, quanto meno discutibile… Nella crisi, i paesi con banche centrali meno indipendenti, come Cina, India e Brasile, hanno fatto molto, molto meglio dei paesi con le banche centrali più indipendenti, come l’Europa e gli Stati Uniti. Del resto non esistono istituzioni veramente indipendenti. Tutte le istituzioni pubbliche hanno delle responsabilità, e l’unica questione è: verso chi”. India Times    Stiglitz against central bank independence  Jan 4, 2013 .  Per Stiglitz le BC sono più molto più propense a essere responsabili verso Wall Street che verso chi deve sopportare il peso della crisi. Ma Stiglitz va oltre: “I prestiti concessi dalla FED e dalla BCE alle grandi banche a bassi tassi di interesse sono stati in realtà un grande regalo di decine di miliardi di dollari, un regalo da parte di un organo pubblico senza che però questo dono gratuito sia stato deliberato in base ai comuni criteri seguiti nei procedimenti pubblici. E’ inconcepibile che un tale potere sui soldi pubblici venga concesso a un organo non eletto”.      

[5]   ELINOR OSTROM , Governare i beni collettivi, Venezia, Marsilio, 2006.

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