Debito pubblico e BCE: i nuovi Sovereign bond-backed Securities

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Political and social notes

La BCE ha commissionato un progetto relativo all’emissione di bond comunitari – Sovereign bond-backed Securities – non collettivamente garantiti che saranno suddivisi per categorie di rischio. La proposta può essere collegata agli interventi effettuati dalla BCE e, più in generale, al suo potenziale ruolo di prestatore di ultima istanza.

Nonostante si parli ormai da anni della possibilità o della necessità di mettere in comune i debiti pubblici dei Paesi dell’area Euro emettendo strumenti finanziari come gli Eurobond la cui responsabilità sia condivisa tra gli Stati membri,[1] fino ad ora nessuna delle tante proposte formulate è stata portata a compimento, anche per il timore dei Paesi “più forti” di essere chiamati prima o poi a pagare i debiti di Paesi considerati fiscalmente “più instabili”. Su richiesta del presidente della BCE Mario Draghi il governatore della banca centrale irlandese Philip Lane ha guidato una task force per la progettazione di un nuovo prodotto finanziario simile ai già proposti Eurobond: si tratterebbe degli Sbbs, acronimo di  Sovereign bond-backed securities, i quali potrebbero essere collocati in via sperimentale da una Società Veicolo (o Special Purpose Vehicle – SPV) sotto l’egida della BCE. Il progetto finale è stato presentato il 22 gennaio in un convegno a Helsinki sui “safe assets, sovereign debt and financial stability,” ma solo il 29 gennaio sono stati resi pubblici ulteriori dettagli.[2]

L’idea di emettere bond comuni ai Paesi dell’area Euro non è nuova e si è dovuta scontrare nel tempo con l’opposizione dei Paesi centrali, in particolar modo della Germania, la quale ha trovato sostegno nella filosofia dei trattati, in cui si esprime chiaramente la volontà di stabilire una netta separazione tra le politiche fiscali dei vari Stati mediante la delineazione dell’assenza di responsabilità condivise sui vari debiti pubblici nazionali (no-bailout clause).[3] Tramite l’emissione dei Sbbs, però, le istituzioni europee potrebbero aver trovato una soluzione che consentirebbe di emettere debito europeo nel rispetto dei trattati.

Alcuni elementi della proposta si possono attribuire a un articolo di Brunnermeier et al. (2017) che ipotizza una cartolarizzazione di titoli pubblici in due tranche, una senior (con minore rendimento e maggiori tutele in caso di inadempienze da parte dei debitori) e una junior (i primi titoli a non essere rimborsati in caso di insolvenze).

La proposta della task force voluta dalla BCE ipotizza invece che la società veicolo, appositamente costituita, acquisti titoli emessi dai singoli Stati in proporzione alla quota del capitale della BCE posseduta dalle rispettive banche centrali nazionali operandone una cartolarizzazione che prevede la formazione di tre tranche – senior (il 70% delle emissioni), mezzanine (il 20%) e junior (il 10%) – con  rating che vanno dalla tripla A dei senior alla doppia B- dei junior (il cui rendimento potrebbe assestarsi intorno al 5-6%).[4] Ogni tranche conterrebbe un pool di titoli governativi dell’Eurozona e il maggior rendimento attribuito alla tranche junior deriverebbe dalla posizione subordinata in caso di insolvenza di uno degli Stati, in cui le eventuali perdite verrebbero subìte dai possessori di tale categoria di debito.

Le emissioni Sbbs ottenute tramite cartolarizzazione avrebbero pertanto il vantaggio di diversificare il rischio sovrano. In particolare, la graduale sostituzione dei titoli di Stato “tradizionali” con tali strumenti consentirebbe al settore bancario dell’Eurozona di ridurre le esposizioni in titoli domestici, considerata “diabolica” da Brunnermeier (2017), in favore di una maggiore diversificazione del rischio di credito. L’obiettivo dichiarato della proposta è, infatti, anche la riduzione dell’interdipendenza tra gli Stati e le banche commerciali operanti sullo stesso territorio, così da diminuire il rischio che una crisi del debito pubblico possa determinare una crisi bancaria. A tal proposito, oltre all’emissione degli Sbbs le istituzioni europee stanno valutando l’opportunità di prevedere requisiti patrimoniali aggiuntivi per gli operatori bancari con esposizioni verso controparti sovrane particolarmente concentrate.[5]

La maggiore protezione offerta dagli Sbbs in termini di rischio di credito sarebbe quindi un effetto della diversificazione e della gerarchia delle tranche e non di una condivisione delle responsabilità fiscali all’interno dell’Eurozona, come invece era stato immaginato per gli Eurobond. Il principale elemento di novità sarebbe dunque l’assenza della responsabilità in solido (conosciuta come no-bailout clause), la temuta implicazione secondo cui l’insolvenza di uno Stato sarebbe stata coperta da tutti gli altri Stati dell’Unione Monetaria.

Per comprendere le ragioni alla base della clausola di non salvataggio, ci si potrebbe chiedere da dove derivi il timore che uno Stato debba pagare per un altro o, in altre parole, quale sia il rischio che un Paese appartenente all’Unione Monetaria Europea possa incorrere in un default. Per rispondere a questa domanda si può partire dall’osservazione del particolare assetto politico-istituzionale dell’Unione Monetaria e verificare se esista un effettivo rischio default per i Paesi appartenenti all’Unione ricercando le cause che potrebbero condurre uno Stato all’insolvenza. A tal fine non si può non tener conto di quanto osservato nel corso della recente crisi dei debiti sovrani, valutando se essa si sia verificata in corrispondenza di debiti pubblici che possano ritenersi effettivamente eccessivi e di un deterioramento delle variabili macroeconomiche o, invece, se sia dipesa dall’assetto politico-istituzionale che i Paesi membri dell’Unione Monetaria Europea hanno costituito.

Alla Banca Centrale Europea  spetta l’onere di attuare la politica monetaria, formalmente indipendente dai governi dei Paesi membri, ai quali è lasciato il compito di attuare la politica fiscale. L’attuazione della politica monetaria è, però, soggetta ad alcuni vincoli dettati dai Trattati dell’Unione, in particolare alla BCE è fatto divieto di finanziare direttamente i governi,[6] in sostanza vietando l’acquisto di titoli pubblici in asta e qualsiasi altra forma di finanziamento. Tale articolo, se letto insieme alla clausola del no-bailout, impone una netta separazione tra l’operato della Banca Centrale e le politiche fiscali dei vari Stati delineando, come già osservato, l’assenza di responsabilità condivise sui vari debiti pubblici nazionali. La proposta degli Sbbs, se da un lato conferma la volontà dell’Unione di non attribuire a ciascuno Stato la responsabilità in solido dei debiti pubblici degli altri Stati membri, dall’altro costituisce un elemento di discontinuità rispetto al passato in merito all’intenzione della BCE di acquistare titoli pubblici non solo in un contesto di emergenza.

La BCE, infatti, negli anni della crisi dei debiti sovrani ha attuato politiche monetarie “non convenzionali” avviando vari programmi con i quali ha esercitato, di fatto, la possibilità (temporanea) di acquistare titoli di debito pubblico sul mercato secondario.[7] Il primo programma, avviato nel 2010 «alla luce delle attuali circostanze eccezionali prevalenti sui mercati finanziari», è stato denominato Securities Market Programme (SMP),[8] seguito da altre politiche monetarie considerate straordinarie e limitate nel tempo quali l’Outright Monetary Transactions[9] e il Quantitative Easing,[10] di cui si è già discusso su Economia e Politica.

L’adozione di tali politiche monetarie ha inviato un forte segnale di tenuta del sistema euro e di impegno da parte delle istituzioni europee a mantenere in piedi il progetto della moneta comune. Tali politiche sono state in grado di migliorare notevolmente la situazione di crisi e di difficoltà dei debiti sovrani di alcuni Paesi dell’Unione Monetaria. Se si considera, infatti, l’andamento dei differenziali di rendimento tra i titoli decennali di alcuni Paesi membri in relazione ai titoli tedeschi come un’approssimazione dello stato di salute della sostenibilità dei debiti pubblici dei Paesi dell’Euro Area, si può notare dalla Figura 1 che l’attuazione delle politiche monetarie (e a volte il solo annuncio della prossima futura attuazione di tali politiche)[11] ha determinato una riduzione di tali differenziali.

Figura 1. Spread sui rendimenti dei titoli pubblici decennali e politiche monetarie

bond comunitari bce

Fonte: Bloomberg, nostra elaborazione

Gli operatori sui mercati finanziari sembrano propensi ad interpretare l’avvenuta riduzione degli spread come il segno di una risoluzione, seppur parziale, delle problematiche relative ai debiti pubblici, tuttavia si ritiene che l’attenzione dovrebbe essere rivolta non solo alla variazione degli spread quanto piuttosto alla loro natura. La presenza di differenziali di rendimento nel mercato secondario dei titoli dell’Eurozona potrebbe dipendere non da concreti rischi di insolvenza, quanto piuttosto dall’assetto politico-istituzionale che i Paesi dell’Unione hanno delineato. All’interno di tale assetto, l’Euro può essere definito come una valuta ibrida, né totalmente nazionale né totalmente estera per l’impossibilità, per gli Stati dell’Unione, di controllare direttamente la sua creazione e, per la Banca Centrale, di intervenire direttamente nel salvataggio di uno Stato in difficoltà finanziarie.

Il debito pubblico dei Paesi dell’area Euro potrebbe essere considerato alla stregua di un debito estero per l’assenza di un pieno controllo dell’offerta di moneta in cui il debito è emesso e tale assenza è dovuta non tanto all’aver preso parte al progetto dell’Unione Monetaria, quanto alla regolamentazione che i Paesi stessi hanno previsto per il suo funzionamento. Tale mancanza potrebbe aver contribuito a una maggiore vulnerabilità delle economie dei Paesi membri che in caso di difficoltà a onorare il proprio debito non  possono emettere moneta per rimborsarlo. Date le premesse, la dinamica del debito e del suo costo può facilmente divenire oggetto di speculazione da parte dei mercati finanziari, che in ragione dei propri appetiti e aspettative potrebbero forzare tali Paesi al default.

Differentemente, per quei Paesi (non Euro) in cui la Banca Centrale opera in sintonia con il governo, in caso di difficoltà a rimborsare titoli emessi in valuta nazionale risulterebbe più facile eliminare le tensioni sul debito in scadenza, tramite un intervento della Banca Centrale. Tale meccanismo non è valido per un Paese membro dell’Unione Monetaria Europea, così come non sarebbe disponibile per un Paese il cui debito pubblico fosse denominato in valuta estera.

Il problema, pertanto, nasce dal fatto che gli Stati dell’area Euro hanno rinunciato a quella che in linea di principio è una loro prerogativa, ossia il controllo della moneta, e stanno sottoponendo i titoli pubblici a un rischio fino a prima inesistente.[12] Come conseguenza, si verifica una riduzione dei prezzi dei titoli di debito pubblico sul mercato secondario ovvero si rileva uno spread di credito sui rendimenti. Proprio per questo, nonché sulla base delle considerazioni fatte, risulta evidente che la tempestività, l’efficacia e la continuità degli interventi della BCE, e più in generale delle istituzioni europee, possono essere viste come un elemento chiave nella risoluzione di tensioni finanziarie sugli spread governativi. In quest’ottica l’emissione dei safe bond  potrebbe essere interpretata come un passo delle istituzioni europee verso una gestione del debito degli Stati europei indipendente dalle emergenze contingenti e verso una sistematizzazione degli interventi della BCE, rispetto al loro attuale carattere “non convenzionale”.

*Università degli Studi di Roma Tre

Riferimenti Bibliografici

  • Brunnermeier, Markus K., et al. “Sbbs: Safety in the tranches.” Economic Policy90 (2017): 175-219.
  • Lanotte, Michele, et al. “Easier said than done? Reforming the prudential treatment of banks’ sovereign exposures.” (2016). QEF 326/2016 Banca d‘Italia.
  • De Grauwe, Paul. “The governance of a fragile Eurozone.” Revista de Economía Institucional25 (2011): 33-41.
  • De Leo, M. “La stretta monetaria.” Rivista Economia e Politica 9.3.2015
  • Delpla, Jacques, and Jakob von Weizsacker. “The Blue Bond Proposal. Bruegel Policy Brief 2010/03, May 2010.” (2010): 8.
  • Véron, N. per la Commissione Affari Economici e Monetari del Parlamento Europeo – IPOL e EGOV “Sovereign Concentration Charges: A New Regime for Banks’ Sovereign Exposures” novembre, 2017
  • Visco, V. “Eurobond utili anche ai virtuosi.” Il Sole24Ore16 (2012).

[1] Ci sono state negli anni, soprattutto successivamente alla crisi dei debiti sovrani delle proposte di emissione di Eurobond o di cartolarizzazione dei debiti pubblici dei Paesi Europei che si ponevano vari obiettivi tra cui quello di ridurre l’interdipendenza tra Stati e banche nazionali per ridurre il rischio di crisi sistemiche. Si vedano le proposte di Delpla and von Weizsacker (2010), Visco (2012) e Hild (2014) tra le altre.

[2] Che possono essere consultati al seguente indirizzo: https://www.esrb.europa.eu/pub/task_force_safe_assets/html/index.en.html

[3] L’articolo numero 125 par.1 della versione consolidata (ex art.104 B del TUE del 1992), conosciuto come clausola di non salvataggio (no-bailout clause), prevede che gli Stati membri non siano responsabili dei debiti contratti dagli altri Stati dell’Unione.

[4] Si veda Bloomberg che riporta alcune informazioni sui safe bond: https://www.bloomberg.com/news/articles/2018-01-19/draghi-task-force-plan-for-euro-safe-assets-is-said-to-be-ready

[5] Si veda a titolo esemplificativo l’ultima proposta Parlamento Europeo del novembre 2017: http://bruegel.org/wp-content/uploads/2017/11/IPOL_STU2017602111_EN.pdf. L’inserimento di penalizzazioni in termini patrimoniali per gli istituti bancari con esposizioni verso controparti sovrane concentrate non è riconosciuto da tutti come una riforma dagli effetti strettamente positivi, si veda ad esempio il “QEF n.326/2016 – La riforma del trattamento prudenziale del rischio sovrano”della Banca d‘Italia..

[6] L’art. 123 par.1 della versione consolidata del TUE e del TFUE del 2012 (ex art.104 par.1 del TUE del 1992)recita: «Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea [..], così come l’acquisto diretto [..] di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle Banche Centrali nazionali.»

[7] Tali acquisti sono stati possibili grazie all’utilizzo dell’articolo 18 dello Statuto del SEBC nel quale si legge che «al fine di perseguire gli obiettivi del SEBC e di assolvere i propri compiti, la BCE e le Banche Centrali nazionali hanno la facoltà di operare sui mercati finanziari comprando e vendendo a titolo definitivo.»

[8] Decisione BCE/2010/5 (art.1 e considerazioni iniziali).

[9] L’Outright Monetary Transactions (OMTs), avviato nel settembre del 2012 dalla BCE, consentiva l’acquisto illimitato di titoli pubblici con scadenza da uno a tre anni emessi da Paesi rispettosi delle regole fiscali comunitarie o del programma di aggiustamento macroeconomico. I titoli acquistati mediante tale operazione sarebbero stati detenuti fino a scadenza e la liquidità immessa sarebbe stata sterilizzata. La BCE dispone di piena discrezionalità riguardo l’avvio, la continuazione e la sospensione dell’intervento. Il programma OMTs ha sostituito il SMP (Si veda https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2012/html/pr120906_1.en.html.)

[10] Con il Programma di Acquisto di Titoli Pubblici (PSPP), più comunemente indicato con il nome di Quantitative Easing (QE), avviato nel marzo2015, la BCE ha di fatto adottato misure di acquisto di titoli pubblici in proporzione alle quote del capitale della BCE possedute dalle singole Banche Centrali. Il QE europeo prevede che la BCE, congiuntamente con le Banche Centrali Nazionali (BCN), acquisti sul mercato secondario titoli di vario genere.

[11] Che la diffusione di statement da parte delle banche centrali sia uno strumento di politica monetaria a tutti gli effetti è ormai risaputo, si veda Bernanke (2004).

[12] La condizione di sovranità monetaria e/o dell’operare in sintonia della Banca Centrale con il governo, sarebbe necessaria ma non sufficiente alla riduzione del rischio default. Nulla assicura, infatti, che qualora ci fosse una collaborazione tra il governo e la Banca Centrale, le condizioni nel mercato internazionale siano tali da non imporre tassi di interesse così alti da diventare insostenibili (ma questa è un’altra situazione che diverge dall’argomento trattato nel presente testo).

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