I Fondi Strutturali: problema o opportunità per il Mezzogiorno?

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Political and social notes

finanziamenti_comunitariDa più parti è stato sottolineato come la spesa fatta attraverso i Fondi Strutturali rischia di alimentare gli sprechi di un Mezzogiorno che sembrerebbe atavicamente condannato a trasformare in truffa tutte le risorse che gli vengono date.

Sembrerebbe, quasi, che nelle regioni meridionali gli interventi finanziati dai Fondi Strutturali altro non siano che un esempio di malaffare che permette a un sottobosco di migliaia di persone di campare sfruttando queste risorse.  Questa visione che non è assolutamente giustificata. Fenomeni di cattivo utilizzo dei Fondi Strutturali sicuramente non mancano in Italia e nel Mezzogiorno, ma questo è un fatto che non riguarda solo le Regioni del Sud. Basta leggere l’ultimo documento sulle frodi della Commissione Europea per vedere che la truffa comunitaria, non è, come qualcuno può ingenuamente credere, un vizio italico, e per constatare che l’Italia nel 2012, quanto a numero di irregolarità riportate, è solo al 7° posto preceduta nell’ordine da Polonia, Repubblica Ceca, Inghilterra, Romania, Spagna e Slovacchia e in buona compagnia a poca distanza (udite, udite!) con la Germania. Quanto ad irregolarità fraudolente la classifica è la seguente: al primo posto Romania, Repubblica Ceca, Polonia, Germania e Italia. Rispetto a questo parametro la Germania ha addirittura un numero di frodi riportate superiore a quello dell’Italia. La tabella seguente evidenzia questi dati:

Tab. 1. Numero irregolarità  e numero di irregolarità riportate come fraudolente – anno 2012 – Fondi strutturali e fondo di coesione – Fonte Commissione Europea

Un altro punto problematico che spesso viene sollevato riguarda l’efficienza della spesa realizzata attraverso i Fondi Strutturali rispetto agli obiettivi di politica economica.

L’obiettivo dei Fondi Strutturali è quello di correggere i differenziali di sviluppo e i differenziali infrastrutturali fra le regioni, differenziali che in Italia rimangono ancora oggi, dopo più di 25 anni di politiche strutturali, ancora molto forti.

Accanto a questo va, però sottolineato che l’Italia, oggi, è un sovventore netto (il terzo in valore assoluto), ossia versa all’Unione Europea più di quanto riceve. Fino al 1988 però l’Italia è stata un beneficiario netto, ha cioè ricevuto più di quanto ha versato[1]. Analizzando quello che è successo alle regioni italiane  si riscontra immediatamente che alcune regioni che prima erano classificate in ritardo di sviluppo, a seguito degli interventi finanziati con i Fondi Strutturali, hanno migliorato considerevolmente la loro posizione uscendo da questa situazione. E’ il caso dell’Abruzzo, del Molise, della Basilicata e della Sardegna che sono uscite dall’Obiettivo Convergenza, in parte, certo, per un abbassamento complessivo dei livelli degli indicatori di ritardo di sviluppo considerati causato dall’allargamento ad Est dell’Unione, ma anche in parte per un miglioramento complessivo del sistema economico locale. Le regioni meridionali hanno, quindi, avuto benefici differenziati dalle politiche strutturali che hanno agito a macchia di leopardo anche all’interno delle singole regioni.

Ma il dibattito sull’efficienza dei Fondi Strutturali non sarebbe completo se non ci si interrogasse sulla  dinamica dei divari regionali in assenza degli interventi finanziati attraverso i Fondi Strutturali.

E’ ragionevole pensare che senza gli interventi dell’Unione Europea i divari di sviluppo regionale e i divari infrastrutturali si sarebbero ulteriormente acuiti, soprattutto in una fase di recessione profonda come quella che stiamo attraversando, rendendo ancora più pesante quella Questione Meridionale su cui tanto si è scritto negli ultimi decenni e mettendo in forse anche la stessa coesione del Paese.

Dare maggiore efficienza ed efficacia agli investimenti finanziati sui Fondi Strutturali, soprattutto nelle quattro regioni rimaste nell’obiettivo Convergenza (Calabria, Campania, Sicilia e Puglia), è la sfida che sono chiamati ad affrontare il Governo e le Amministrazioni Locali. Su questo versante molto si può e si deve fare.

Una questione centrale da chiarire è se il meccanismo che lascia alle regioni una grande autonomia nella gestione dei fondi sia fonte di efficienza o sia di converso una delle cause principali dell’inefficienza. A nostro avviso il trade off tra governance locale e controllo centrale va valutato in maniera storicamente contingente, nel senso che il rapporto fra i due livelli deve variare per adattarsi al cambiamento del contesto sociale, economico e territoriale. Inoltre vanno sicuramente ben distinti i ruoli che devono essere più di attuazione per il livello regionale, più di indirizzo, controllo e vigilanza per il livello centrale.

Anche sulla base di queste considerazioni si possono immaginare un set di interventi basato su sei misure per rendere più efficiente la gestione dei Programmi Operativi.

Un primo fondamentale intervento è sicuramente quello di rendere le Autorità di Gestione, che sono le strutture che dovrebbero vigilare sulla corretta attuazione dei programmi, degli organismi veramente indipendenti, togliendo alla politica locale il potere di nomina dei componenti e rafforzandone i poteri di vigilanza. In questo senso la creazione di un’Autorità di Gestione unica nazionale, con sezioni regionali, potrebbe costituire un notevole passo avanti.

Un secondo intervento è legato alla programmazione degli interventi. Oggi i Programmi Operativi e i cosiddetti Documenti Strategici prodotti dalle varie regioni sono sostanzialmente la riproposizione di uno schema generale proposto livello centrale, alcune volte redatto in gran parte utilizzando la funzione “copia e incolla”. Manca, cioè, una contestualizzazione alla singola economia regionale che su cui si deve agire, con risultati che è facile immaginare. Occorrerebbe, invece, che la programmazione partisse dalle specificità delle singole regioni, tentando di valorizzare le risorse endogene.

Un terzo intervento per rendere più efficiente l’utilizzo dei Fondi Strutturali consisterebbe in uno sforzo legislativo delle Regioni, complementare alla programmazione, che generi un meccanismo virtuoso di finanziamento di leggi ordinarie attraverso i Fondi Strutturali. Ciò renderebbe più agile e veloce la spesa e toglierebbe molta discrezionalità alla classe politica.

Un quarto intervento è quello di concentrare almeno il 50%  delle risorse su pochi progetti strategici di grande impatto sul territorio, soggetti ad un più forte controllo centrale, piuttosto che suddividere la spesa in mille rivoli utili più per creare consenso che per creare sviluppo.

Un quinto intervento potrebbe, infine, essere quello di rafforzare la sussidiarietà erogando risorse direttamente ai Comuni, dando una convinta attuazione a quanto previsto dall’art. 7 del Regolamento del FERS che consente di finanziare i comuni per l’attuazione di piani di Rigenerazione Urbana. Ovviamente questa operazione, per evitare inefficienze sprechi, deve essere inserita all’interno di un quadro complessivo che preveda una Governance sovranazionale, una competizione vera fra gli enti locali sulle risorse disponibili che miri a far emergere i migliori progetti ed un controllo diretto e forte sulla qualità e la bontà degli interventi.

Un sesto intervento potrebbe consistere nell’introduzione nel meccanismo di gestione delle erogazioni fatte sui Fondi Strutturali di un serio sistema di premi/punizioni. Il sistema premiale dovrebbe essere realizzato attraverso un meccanismo di accreditamento progressivo delle imprese e delle organizzazioni che acquisiscono il diritto ad accedere a maggiori benefici man mano che dimostrano regolarità della gestione e qualità degli investimenti. Accanto a questo vi dovrebbe essere un sistema di penalità con sanzioni crescenti in relazione alle anomalie riscontrate per quelle imprese che si discostano da un percorso virtuoso, fino ad arrivare all’esclusione dalle sovvenzioni e dalla possibilità di contrattare con la pubblica amministrazione per i casi più gravi.

La sfida è, quindi, quella di affrontare in maniera efficiente, attraverso l’utilizzo dei Fondi Strutturali, il problema del sottoutilizzo di un terzo del Paese nell’interesse della competitività della nostra economia e dell’unità economica della Repubblica.

 

 

* Un. Mediterranea di Reggio Calabria, **Regione Calabria

 

 

[1] Il cambiamento di posizione da beneficiario netto a sovventore netto dell’Italia si verifica con l’adozione del cosiddetto Primo Pacchetto Delors nel 1988. Questo cambiamento è dovuto all’ingresso di Spagna (1986), Portogallo (1986) e Grecia (1981) nell’Unione e alla riduzione della sovvenzione netta dell’Inghilterra (1984). L’allargamento ad Est dell’Unione Europea e la riduzione della sovvenzione netta di Germania, Svezia, Olanda ed Austria (2000)  hanno portato l’Italia al terzo posto dei sovventori netti.

 

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