Nerio Nesi – già ingegnere dell’Olivetti, Presidente della BNL e Ministro dei lavori pubblici nel secondo governo Amato – ci ha inviato un toccante ricordo di Luciano Gallino, che volentieri pubblichiamo.
A ottobre mi aveva mandato il suo ultimo libro “Il denaro, il debito e la doppia crisi” con un aggiunta finale “spiegati ai nostri nipoti”, che era la previsione della conclusione di una vita dedicata ad un solo obiettivo: combattere il capitalismo con la forza implacabile dei numeri, delle statistiche, dei bilanci, in sostanza con la forza della ragione. “Il sentiero si traccia camminando. Ma bisogna camminare nella direzione giusta” è il titolo dell’ultimo capitolo, e, a questa affermazione, segue una definizione drastica “Il sistema economico e sociale capitalistico appare profondamente iniquo, paurosamente irrazionale, e del tutto incapace di uscire dalla crisi strutturale iniziata negli anni Settanta”, e dimostra la sua affermazione con alcuni dati: a livello europeo, 25 milioni di individui senza lavoro, altrettanti con una occupazione precaria e malpagata, 125 milioni di persone a rischio di povertà; a livello mondiale, mentre un miliardo di persone soffre la fame e 3 miliardi di persone hanno una ricchezza personale che non arriva a 3000 dollari, 35 milioni di persone detengono un ricchezza equivalente a più di una volta e mezzo il PIL globale, ossia 116 trilioni di dollari, circa 313 milioni di dollari in media a testa.
Su queste drammatiche cifre, Gallino basava la sua certezza che esse compromettono il futuro dell’intero Pianeta.
Non vorrei che queste cifre dessero “ai nipoti” l’idea di un “nonno” che considerava il capitalismo ormai vincente e invincibile. Al contrario. Luciano Gallino è stato un combattente che non si è mai arreso.
Tutte le sue opere lo dimostrano. Quando, nel 1998, uscì uno dei suoi saggi più famosi “Se tre milioni vi sembrano pochi”, egli intitolò la parte finale del suo libro così: “Una politica della occupazione: proposte per l’agenda” e mi mandò il libro con questa dedica: “spero troverai di qualche interesse questo piccolo contributo a una svolta nella politica dell’occupazione” e finì la sua dedica in questo modo: “Ma non a costo di consegnare il Paese alla Destra”.
E quando, nel 2003, egli descrive “La scomparsa dell’Italia Industriale” completa la copertina con questa frase “Per recuperare terreno occorre una politica economica orientata verso una sviluppo ad alta intensità di lavoro e di conoscenza per tutto il Paese”.
Rileggo con riconoscenza le pagine di quel libro nelle quali, trattando della crisi della “Olivetti”, egli scrisse che la vendita della Divisione Elettronica ad un gruppo multinazionale (che la distrusse), avvenne “con la sola opposizione del direttore finanziario Nerio Nesi”.
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E’ vero che i suoi scritti più recenti, ed in particolare il libro del 2013 “Il colpo di Stato di banche e governi” assumono toni esasperati contro la finanziarizzazione del capitalismo, lo strapotere della grandi banche internazionali e l’assoggettamento dei governi ai loro interessi.
Ma quello fu il momento di massima espansione – anche ideologica – del “finanzcapitalismo”, quando anche studiosi non militanti nella Sinistra denunciarono, indignati, i reati delle grandi imprese finanziarie mondiali: penso a Guido Rossi ne “Il Mercato d’Azzardo “ del 2008. Io stesso – che mi ritengo un riformista – scrissi, allora, che i falsi e le truffe delle più grandi istituzioni finanziarie internazionali (giochi d’azzardo, derivati, manipolazioni dei tassi, dei mercati valutari del “rating”) costituivano uno scandalo mondiale, ed erano il simbolo di un sistema che il Presidente degli Stati Uniti ha dichiarato, finalmente, “marcio” e che può essere paragonato ad una associazione per delinquere.
Nessun populismo, quindi, nessun lassismo, nessuna concessione propagandistica, ma numeri, tabelle, confronti, analisi. E tutto questo con una continua ricerca di soluzioni, alternative ma realistiche, ai disegni del capitalismo finanziario.
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Vorrei concludere questo ricordo ripensando agli anni della ”Olivetti” vissuti insieme e descritti in un libro memorabile: “L’impresa responsabile” che egli mi ha dedicato con le parole “nel comune sentire”.
E’, forse, il ritratto più autentico di una impresa e di un uomo (Adriano Olivetti) che hanno lasciato tracce profonde nella cultura politica ed economica italiana ed europea.
Anche Luciano Gallino appartiene a quella età e a quella esperienza civile ed umana. E la sua solitudine è la stessa di quegli economisti che hanno combattuto battaglie memorabili, spesso risultando sconfitti – penso a Paolo Sylos Labini, a Federico Caffè, a Riccardo Lombardi, a Gino Giugni – ma che ci hanno insegnato a credere che, alla fine, le idee sconfiggeranno gli interessi.
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Antonio Giolitti finisce le sue “Lettere alla nipote Marta” con queste parole: “Illusioni perdute, speranze salvate”.
Anche le mie illusioni sono perdute. Cerco però di salvare le mie speranze.
E credo che anche questo sia stato l’impegno – politico e morale – di Luciano Gallino.