Reddito di cittadinanza, quali effetti in Italia e in Europa?

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In this article a survey is made of the various minimum income/citizen’s wage schemes existing in the EU in order to try to understand whether this kind of social protection has a positive, negative or neutral impact on the unemployment rate. The econometric model adopted in this study seems to disprove the tesi that a citizen’s wage/minimum income discourages employment. A model of minimum income is then proposed for Italy.

1. INTRODUZIONE[1]

Recentemente, il dibattito sugli schemi di reddito minimo o di cittadinanza è tornato alla ribalta in Italia, soprattutto perché la recente crisi iniziata nel 2007-08 ha esacerbato notevolmente le condizioni di vita delle persone, ha contribuito in modo determinate a far aumentare i livelli di povertà, ha impoverito gli esclusi dal mercato del lavoro e i disoccupati che, esauriti i limitati strumenti di sussidi alla disoccupazione, e non avendo trovato ancora occupazione, sono sprofondati in situazioni di indigenza e povertà.

L’argomento è tornato alla ribalta anche perché, attraverso un semplice confronto con quello che succede nel resto dell’Unione Europea (UE) dove esiste quasi dappertutto uno schema di reddito minimo fuorché in Grecia e Croazia oltre che in Italia, la situazione appare ancora più grave e insostenibile.

Il presente saggio offre innanzitutto una rassegna sui diversi schemi di reddito minimo/cittadinanza esistenti in UE, evidenziandone le definizioni e le diverse categorie, i limiti, la generosità, i criteri di eleggibilità, e le condizionalità. In secondo luogo propone l’attivazione di un reddito minimo anche in Italia e ne valuta l’impatto oltre che in termini di spesa e di bilancio, anche e soprattutto in termini di efficienza, sui livelli di occupazione e disoccupazione.

In effetti, l’impatto degli schemi di reddito minimo o di cittadinanza sulla ricerca attiva del lavoro e quindi sui livelli di occupazione e disoccupazione, sembrano essere le principali preoccupazioni, per i policy maker in generale, e in Italia in particolare, come deterrente per l’attivazione di uno strumento sociale di questo tipo. Invece, dimostreremo, attraverso un modello econometrico calibrato su 34 paesi OCSE nel periodo che va dal 1990 ai 2013, che non ci sono ostacoli di efficienza (impatto su occupazione) che impedirebbero l’attivazione di un reddito minimo in Italia, nel senso che quest’ultimo non è una variabile che agisce a ridurre il tasso di occupazione. Anzi, i nostri risultati dimostrano che uno schema di reddito minimo aiuta, insieme ad altre variabili, a incrementare i livelli di occupazione.

2. SCHEMI DI REDDITO MINIMO IN EUROPA: UNA RASSEGNA

Il modello sociale europeo, in tutte le sue varianti, garantisce una considerevole protezione sociale per i suoi cittadini (Esping-Andersen, 1990; Hay e Wincott, 2012).  In particolare, i sussidi di disoccupazione, il sostegno al reddito oltre il periodo di disoccupazione, le politiche passive e le politiche attive hanno visto una notevole crescita in termini di spesa negli ultimi anni, soprattutto in seguito alla recente crisi economica (Tridico, 2013).

In questa rassegna, metteremo a confronto i diversi schemi di protezione a reddito volti a garantire un sostegno a chi non ha lavoro, oppure a chi, pur avendolo vive in condizioni di indigenza, o ancora a chi, avendo esaurito i sussidi di disoccupazione, si trova in condizioni di bisogno. Tali strumenti sono noti come schemi di reddito minimo, o come reddito minimo garantito, oppure come reddito di cittadinanza. E’ necessaria una definizione per distinguere le diverse fattispecie, che proponiamo di seguito.

1. Il Reddito Minimo Garantito (RMG): prevede che ogni individuo (occupato e non) riceva una somma pari alla differenza tra il RMG, che si fissa ad una soglia X, ad esempio la soglia di povertà relativa, e il suo reddito, se il suo reddito è inferiore a X.

2. Il Reddito di Cittadinanza Condizionato (RCC): secondo il quale, ogni cittadino riceve una somma maggiore o uguale ad una certa soglia critica (di nuovo ad esempio la povertà relativa o assoluta), se ha un reddito inferiore a quanto stabilito, fino a raggiungere il RCC. Il RCC è “means tested” cioè testato sui mezzi (patrimoniali e reddituali) del richiedente.

3. Il Reddito di Cittadinanza Incondizionato (RCI): prevede che ogni individuo riceva una somma pari a RCI indipendentemente dal suo reddito. Il RCI quindi non è “means tested”. Esso trova un riscontro empirico solo in pochissimi casi: è attivo (in forma modesta) in Alaska. Si discute circa una sua possibile attivazione in Brasile, e si trovano esperimenti in alcuni paesi dell’Africa e in alcuni stati dell’India.

Esistono infine forme di sostegno al reddito non propriamente classificabili come reddito minimo, che hanno come principale riferimento il salario: e quindi, ogni individuo riceve un sussidio ad esempio del 20% sul salario (anche come riduzione fiscale) se il suo reddito non supera una certa soglia. In questo caso evidentemente il sussidio è legato alla posizione lavorativa dell’individuo, mentre gli schemi di reddito minimo esulano da questa, ed anzi la non occupazione in certi casi è la principale condizione di eleggibilità.

Il RMG e il RCC sono invece largamente diffusi in quasi tutti i paesi dell’Unione Europea. Gli unici stati membri in cui non si trovano schemi di reddito minimo sono Grecia, Croazia e Italia.

Bisogna osservare che Il Reddito di Cittadinanza Condizionato e il Reddito Minimo Garantito si troveranno a coincidere se legati entrambi al criterio della cittadinanza (o ad un altro criterio di eleggibilità generale, quale ad esempio la residenza da un certo numero di anni come succede in molti paesi dell’UE) e ad una soglia di reddito in modo complementare, cioè: il RCC e il RMG sono la differenza tra la soglia critica X (ad esempio la soglia di povertà) e il reddito del richiedente, cosicché il RCC/RMG diventa massimo e uguale a X solo se il reddito del richiedente è zero. Per questo motivo nel presente saggio da adesso in poi faremo indistintamente riferimento al RCC/RMG (reddito minimo/cittadinanza), intendendo lo stesso concetto.

La soglia che di solito individua il RMG o il RCC, nella maggior parte dei paesi europei dove il reddito minimo/cittadinanza è attivo, è la linea di povertà relativa oppure una soglia di povertà assoluta; mentre i beneficiari sono i cittadini (o individui residenti da qualche anno nel paese) che si trovino in stato di bisogno e indigenza. L’aver avuto un lavoro nel periodo precedente alla richiesta non è un criterio di eleggibilità; mentre spesso è un criterio di eleggibilità, e quindi una condizione al reddito minimo, la disponibilità a lavorare, la partecipazione attiva a programmi di inserimento nel mercato del lavoro e la partecipazione a progetti di interesse sociale e comunitario.

La tabella di seguito sintetizza le varie forme di reddito minimo esistenti in Europa e li raggruppa in diverse categorie, soglie, copertura, durata, base legale e livello di governance.

Tabella 1 – Sintesi degli schemi di reddito minimo in Europa

Tab 2 Tri

Fonte: Frazer e Marlier (2009), propria rielaborazione e adattamento

1. In base a questa classificazione si può identificare un gruppo di paesi che hanno un sistema di reddito minimo/cittadinanza molto avanzato ed esteso, formato da: Danimarca, Olanda, Belgio, Germania, Finlandia, Svezia, Austria, Francia e Lussemburgo, a cui possiamo attribuire un coefficiente sintetico di copertura ed efficacia pari a 3, il più alto.

2. Un gruppo medio costituito da Regno Unito, Malta, Cipro, Spagna, Repubblica Ceca, Ungheria, Irlanda, Romania, Slovacchia, Polonia, Portogallo e Slovenia, a cui possiamo attribuire un coefficiente sintetico di copertura ed efficacia pari a 2.

3. Un altro gruppo medio-basso composto da Romania, Polonia, Slovenia, Malta e Cipro, con un coefficiente sintetico di copertura ed efficacia pari 1.5.

4. Un terzo gruppo costituito dalle tre Repubbliche baltiche Estonia, Lituania, Lettonia e la Bulgaria con uno scarso coefficiente sintetico di copertura ed efficacia, pari a 1.

5. Infine, pro-forma, un ultimo gruppo formato da Croazia, Grecia e Italia con un coefficiente pari a zero non essendo presente ivi un sistema di reddito minimo/cittadinanza.

Questi coefficienti in una scala da 3 a 1 li utilizziamo nel grafico che proponiamo di seguito che sintetizza e descrive da una parte l’efficacia e la copertura dei sistemi di reddito minimo, e dall’altra i livelli di povertà.

La linea di tendenza inserita, suggerisce chiaramente un rapporto inverso tra il Coefficiente di Reddito Minimo/Cittadinanza (che ne rappresenta la sua efficacia e la sua copertura), e la povertà.

Figura 2 –  Povertà e Reddito Minimo (2014)

Fig. 1 Tri

Italia, Grecia e Croazia, avendo zero come coefficiente, sono esclusi dal grafico. Tuttavia è facile verificare che in questi tre paesi i livelli di povertà, calcolati dall’Eurostat, sono molto elevati, tra il 15% e il 20%, e quindi si collocherebbero intorno alla Lituania, mantenendo pertanto la linea di tendenza identificata dal grafico.

Fonte: Propria elaborazione dati Eurostat 2015

3. IL MODELLO

In questo paragrafo abbiamo cercato di valutare, attraverso un modello econometrico di tipo panel (GLS, random effect, testato attraverso il test di Hausmann) calibrato su 34 paesi OCSE per un periodo che va dal 1990 al 2013, l’impatto di diverse variabili sul tasso di occupazione. La questione che abbiamo cercato di investigare è: da cosa è determinato il livello di occupazione? In questo modo abbiamo anche cercato di capire se il reddito minimo/di cittadinanza potesse avere un impatto positivo, negativo o neutrale, nei paesi in cui è attivo.

I risultati di questa analisi sono molto interessanti, e sono riportati nella seguente tavola che riporta due modelli: il primo dove le variabili dipendenti sono solo le prime tre descritte nell’equazione, il secondo più esteso e che include anche le altre quattro variabili elencate sopra:

Tabella 1 – Risultati della regressione

Tab. 2 Tri

Fonte: propria elaborazione su dati OCSE

Quelle che compaiono nel primo modello non saranno certamente le uniche variabili a determinare l’occupazione (il modello è spiegato per circa un quarto con un R-square intorno al 20%), ma fra queste il reddito minimo/di cittadinanza appare svolgere un ruolo positivo: nel senso che i paesi dove è presente, hanno un più altro livello di occupazione. Nella stessa direzione appare essere la variabile Welfare (livello di spesa sociale), quanto più alto, tanto più alto è il livello di occupazione.

Nel secondo modello, più esteso e con più variabili, proprio ad aumentare il livello di esplicazione del modello (questa volta R-square è superiore al 40%), oltre alle tre variabili (investimenti, reddito di cittadinanza e welfare), abbiamo inserito anche il tasso di educazione terziario, che è significativo e con un impatto positivo, il livello di salari, che non appare significativo, e due variabili di globalizzazione: il grado di apertura commerciale (che appare significativo e positivo) e la percentuale di IDE (cioè i movimenti di capitale) che sono significativi e negativi.

L’indicazione che proviene da questo modello è chiara: i livelli di occupazione sono trainati da un alto livello di investimenti, da uno stato sociale forte, il reddito di cittadinanza appare ancora significativo e positivo, e da una “globalizzazione controllata”, dove l’apertura commerciale appare essere positiva, mentre i movimenti di capitale hanno un impatto negativo.

Del resto, una semplice analisi ai dati per paese, classificati secondo il loro modello sociale di appartenenza (Scandinavo, Continentale, Mediterraneo, Liberista, e Peco – Paesi dell’Europa Centro Orientale) ci rivela che l’efficienza del mercato del lavoro, valutata in termini di maggiore tasso di occupazione, e minore disoccupazione, è propria di quei paesi in cui il welfare è più sviluppato ed è presente uno strumento di reddito minimo/cittadinanza (modello Scandinavo e Continentale). Questa evidenza dovrebbe dissipare i molti dubbi che esistono sia a livello teorico sia a livello di policy circa l’assunzione, infondata come ci dimostra la figura di sotto, di un possibile effetto disincentivante del reddito minimo/cittadinanza sull’occupazione.

Figura 2 – Efficienza del mercato del lavoro per modello sociale

Fig. 2 Tri

Nota: Modello Scandinavo: Danimarca, Finlandia, Svezia, Norvegia, Islanda; Modello Continentale: Olanda, Belgio, Germania, Austria, Francia, Lussemburgo, Svizzera; Modello Mediterraneo: Spagna, Portogallo, Malta, Cipro, Grecia e Italia; Modello Liberista: Irlanda, Regno Unito, Australia, Canada, Nuova Zelanda, e USA; Modello PECO: Lituania, Lettonia Bulgaria, Romania, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia, Polonia, Slovenia.

Fonte: propria elaborazione su dati OCSE 2015

4. UNA PROPOSTA PER L’ITALIA

L’Italia, come abbiamo avuto modo di vedere nella sezione 2, circa la protezione di ultima istanza, attraverso un reddito di cittadinanza o un reddito minimo garantito, è in grave ritardo rispetto alla maggior parte dei paesi dell’UE. Inoltre, il modello della sezione precedente ci da un’indicazione di efficienza dello strumento di reddito minimo/cittadinanza, molto importate: ci indica che laddove questo strumento è utilizzato, i tassi di occupazione non subiscono una riduzione, anzi, i paesi che hanno tale strumento hanno anche i tassi di occupazione più alti dell’UE, e non si fa riferimento solo ai “soliti sospetti” quali i paesi scandinavi, ma anche a paesi noti per non essere molto orientati verso il sociale, quali Regno Unito, Irlanda, e anche Spagna e Portogallo.

Inoltre, uno strumento di reddito minimo/cittadinanza ha un’efficacia sociale molto importante: riduce i livelli di povertà estrema. L’Italia è il 9° paese per livelli di povertà prima dei trasferimenti nell’UE (il che indica un grave squilibrio in partenza del nostro sistema economico in termini sociali), e peggiora la sua posizione dopo i trasferimenti (e ciò indica anche una bassa efficienza del nostro sistema sociale), raggiungendo il 7° posto, probabilmente proprio a causa dell’assenza di uno strumento di ultima istanza sociale quale il reddito minimo/cittadinanza. Fanno peggio dell’Italia solo alcuni dei paesi PECO, con livelli di reddito pro-capite molto bassi quali Romania, Bulgaria Lituania, Croazia o che hanno subito gravi conseguenze durante la crisi come Grecia e Spagna.

Figura 3 – Povertà in UE28

Fig. 3 Tri

Fonte: propria elaborazione su dati Eurostat 2015

E’ in questo contesto facciamo riferimento alla possibilità di calibrare un reddito minimo o di cittadinanza sulla soglia di povertà dopo i trasferimenti sociali generali. Gli unici paesi in cui questo strumento non esiste, l’Italia e la Grecia, hanno visto esplodere i tassi di povertà, soprattutto durante la crisi, come indica il grafico di sotto, figura 6, a livelli di molto superiori alla media dell’UE a 28, anche dopo i trasferimenti sociali.

Da un punto di vista strettamente economico, un reddito minimo/di cittadinanza avrebbe un impatto decisamente positivo sulla domanda aggregata soprattutto in periodi di crisi o di stagnazione come quello che stiamo vivendo in Europa e in particolare in Italia dal 2007-08 in poi. L’effetto di tale strumento sui consumi sarebbe notevole, poiché permetterebbe a chi non ha un lavoro comunque di mantenere più o meno stabile il proprio livello di consumo.

Figura 4 – Il calo dei consumi durante la crisi

Fig. 4 Tri

Fonte: propria elaborazione su dati OCSE (2015)

La crisi di investimenti, e quindi l’effetto negativo sulla domanda aggregata, potrebbe essere in parte compensata attraverso il reddito minimo/cittadinanza che si riverserebbe totalmente sui consumi. In effetti, in altri paesi, quali Francia e Germania,  il calo dei consumi negli ultimi ani non c’è stato, non almeno così come in Italia, come si evince dal grafico di sopra.

Nel grafico che riportiamo di seguito, vengono sintetizzate le informazioni relative a questi concetti di povertà, per macro area in Italia. Nel 2013 erano presenti in Italia circa 6 milioni di poveri assoluti e 10 milioni di poveri relativi, rispettivamente l’8% e il 13% della popolazione. Si può notare, non solo un aumento dei valori di povertà assoluta e relativa durante la crisi, ma anche un livello più marcato nel Sud, dove i livelli di occupazione, che condizionano pesantemente i livelli di povertà, sono molto più bassi e sono peggiorati durante la crisi.

f.5

Fonte: ISTAT 2014

Alla luce di questi dati, la nostra proposta è quella di inserire nel sistema di welfare italiano un reddito minimo garantito (che diventa reddito di cittadinanza condizionato, cioè means tested,  se elargito in base alla cittadinanza o a un criterio di residenza) per tutti coloro che abbiamo un reddito inferiore alla soglia nazionale media di povertà assoluta (calcolata a livello individuale) di 663€ (cioè 7956 € annui). Per questo lo potremmo anche chiamare Reddito Minimo Garantito di Cittadinanza (RMGC). Il RMGC è la differenza tra la soglia (663€) e il reddito di ciascuno (da zero a 663€). Quindi può essere anche un complemento di 663€.

Il RMGC non richiede lo stato di disoccupazione ma lo stato di bisogno. Non richiede aver lavorato, ma semmai la necessita di lavorare. E’ quindi condizionato all’iscrizione ai centri per l’impiego, e alla partecipazione alle misure attive di ricerca di lavoro, per coloro che sono senza lavoro. La misura non prevede limiti temporali ma è legata alle necessità, come nella maggior parte dei paesi europei. Inoltre, il RMGC può essere condizionato a programmi di pubblica utilità, servizi per la collettività, e prestazioni gratuite per la comunità, all’interno di progetti selezionati dai centri per l’impiego in collaborazione con il Ministero delle pari opportunità e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Possono accedere al RMGC gli individui maggiorenni se fanno nucleo familiare a parte. Questa misura andrebbe ad alleviare la situazione economica di circa 6 milioni di poveri assoluti, oggi. Se invece si tratta di individui all’interno della famiglia, il calcolo del RMGC sarà effettuato sulla base dei coefficienti familiari preparati dall’Istat. La soglia ad esempio per famiglie di due adulti è di 972€[2] (al di sotto di questa soglia si stimano poco più di 2 milioni famiglie di italiani, ISTAT, 2014).

Il costo totale per le casse dello stato italiano sarebbe di circa 10 miliardi di euro, oggi con livelli di disoccupazione molto alti pari al 13% (si confronti in appendice figura A3 e figura A4). Con livelli di disoccupazione “normali” il costo sarebbe assolutamente sostenibile per un paese con una spesa pubblica di quasi 900 miliardi di euro come l’Italia. Infatti, la sostenibilità della proposta è crucialmente legata ai tassi di occupazione, e alla bassa disoccupazione, obiettivo che dovrebbe essere prioritario per il governo.

Tabella 2 – Tabella riassuntiva proposta reddito minimo/cittadinanza per l’Italia

Tab.3  Tri

Fonte: propria elaborazione

Ad esempio, nel caso di due paesi molto simili al nostro, Francia e Germania, la spesa è molto contenuta, soprattutto in Germania, poiché più bassa la disoccupazione in questi due paesi. In Germania circa 7 milioni di persone ottengono benefici chiamati Hartz IV (indennità di disoccupazione + Sozialhilfe cioè il reddito minimo garantito), di cui circa 2 milioni sono disoccupati. L’ammontare del RMG (Sozialhilfe): è di circa 400 € al mese per individuo.[3] Il bilancio complessivo per Hartz IV è di circa 20 miliardi di euro, mentre quello che oggi necessita Sozialhilfe è solo 1,8 miliardi di € per anno. La copertura avviene attraverso la fiscalità generale.

In Francia: il RMG (Revenu minimum d’insertion)  esiste dal 1988.  Il RMG è individuale e corrisponde ad un valore medio di : 512 € al mese (per meno di 4 milioni di persone). Costa circa 2 miliardi di Euro all’anno ed è finanziato con un’imposta sulle rendite finanziarie.

In Italia, a regime, in situazioni normali di disoccupazione, la spesa potrebbe essere una cifra compresa tra quella francese e quella tedesca, quindi di circa 3 miliardi di euro. Sarebbero sufficienti quindi 2 punti percentuali dell’IVA, o un’imposizione sui rendimenti finanziari simile a quella francese.

Tuttavia, l’Italia avrebbe bisogno di rivedere il suo sistema di ammortizzatori sociali, che attualmente, anche alla luce della recente riforma inclusa nel Jobs Act (facciamo riferimento solo ai due decreti attuativi usciti agli inizi del 2015) appare ancora frammentato e non universale. Non solo non esiste, come abbiamo visto, un sistema di reddito minimo, ma non esiste nemmeno il l’istituto del salario minimo presente nella maggior parte dei paesi dell’Unione europea. Inoltre, la Contrattazione Collettiva Nazionale è in forte calo, poiché viene incentivato e promosso il secondo livello di contrattazione, i rinnovi dei contratti collettivi spesso vengono posticipati, cosicché oggi circa il 15% dei lavoratori non è coperto da un reddito minimo di base (Tridico, 2014b). L’indennità di disoccupazione appena introdotta, la NASPI, sebbene allarghi un po’ la platea degli aventi diritto, rendendo i criteri di accesso meno stringenti rispetto alla precedente ASPI, rimane comunque ancora uno strumento non universale e comunque limitato rispetto agli altri paesi europei sia in termini di durata che di compenso.

Un simile limite si applica anche, anzi in misura maggiore, ai sussidi di disoccupazione in sospensione di rapporto di lavoro (le varie casse integrazione) dove i difetti di universalità e frammentazione sono ancora più marcati. In breve, gli attuali strumenti di ammortizzatori sociali hanno limiti notevoli che riguardano la disomogeneità, la irrazionalità del campo di applicazione, la limitazione al lavoro dipendente, l’abuso di proroghe e deroghe, la sovrapponibilità di diversi strumenti, la iniquità di distribuzione degli oneri (accentuata connotazione mutualistica/assenza di contributi per cassa in deroga), lo scollegamento con le politiche attive, e l’utilizzo improprio di strumenti di emergenza a fronte di crisi strutturali.

*Dipartimento di Economia, Università Roma Tre

 

 

[1] Una versione più estesa dell’articolo è stata pubblicata nella collana di working paper ASTRIL dell’Università Roma Tre, disponibile qui: http://host.uniroma3.it/associazioni/astril/db/693bafa7-1b59-4e03-ae8d-3f4c796b63dd.pdf
[2] L’ISTAT predispone una tabella di calcolo per tipologia, composizione del nucleo, regione, e scale di equivalenza facilmente consultabile a questo sito: http://www.istat.it/it/prodotti/contenuti-interattivi/calcolatori/soglia-di-poverta
[3] Tuttavia bisogna aggiungere che nel caso tedesco, oltre all’assegno, modesto, di 400€, sono attivi diversi sussidi, benefici in “kind” per i trasporti, la casa, e i beni di alimentazione primaria, per i soggetti che ricevono il Soziahilfe. Simili benefici in kind, in misura minore, esistono anche in Francia ed in altri paesi che hanno lo strumento del reddito minimo/cittadinanza

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