Estendere la protezione sociale nella pandemia: l’approccio integrato dell’esperienza spagnola.

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Political and social notes

In riferimento ai persistenti effetti della caduta occupazionale nel nostro paese provocati dalla crisi pandemica globale, i dati evidenziati, nella comunicazione ISTAT sul livello occupazionale del paese del dicembre 2020, indicano un persistente calo tendenziale degli occupati di 444.000 unità rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. La caduta del livello degli occupati conferma, ancora una volta, una tendenza nota, riguarda infatti unicamente i lavoratori non standard, contingenti e autonomi. Il calo, infatti, registrato nei dodici mesi non riguarda i lavoratori standard che invece crescono dell’1% per diverse ragioni collegabili al sistema di protezione sociale e agli interventi pubblici di difesa della occupazione standard, ma soltanto i dipendenti a termine (-13,2%) e gli indipendenti (-4%). Figura.1

Fig.1 Occupati per posizione professionale e carattere dell’occupazione dicembre 2020, dati destagionalizzati. Valori assoluti in migliaia di unità.

Elaborazione Fonte ISTAT

Un dato non dissimile a quanto inizialmente si era registrato anche nella crisi globale del 2008[1] . Giustificabile evidentemente con la maggiore copertura, ed efficacia dello storico sistema di ammortizzatori sociali previsti per il lavoro dipendente permanente (short work times schemes). A più di dieci anni di distanza, quindi, malgrado stagioni differenziate di riforme dei sistemi di protezione sociale il contesto degli ammortizzatori sociali in Italia, sembra rimanere invariato. I modelli di protezione sociale fondati su presupposti regolativi del mercato del lavoro fordisti-keynesiani reggono le tempeste delle crisi mentre i nuovi sistemi assicurativi – contributivi orientati a preservare i livelli reddituali del lavoro flessibile, ne vengono travolti. Necessitando di imponenti, in termini finanziari, interventi emergenziali con un uso abnorme della cassa in deroga nella prima crisi (2008), e le indennità e bonus per sottogruppi specifici di lavoratori autonomi e non standard nella seconda (2020)[2].  In tale sistematica difficoltà reddituale del lavoro non standard, a subire gli effetti più acuti in termini quantitativi, sono le componenti femminile e giovanile. Composte da soggetti maggiormente sottoposti a condizioni contrattuali flessibili e in maggior misura occupati nei settori economici più esposti agli effetti della crisi pandemica: turismo, cura, ristorazione. Il contesto descritto ha riproposto ancora una volta, un intenso dibattito su come riformulare nuovamente il sistema degli ammortizzatori sociali e come definire nuove articolati status professionali per le ultime evoluzioni del lavoro contingente post-fordista soggetto a dimensioni lavorative definibili nella loro radicale frammentarietà come una forma uberizzata di lavoro (rider, crowdworkers, freelance, collaboratori occasionali, lavoro a chiamata…), dove la intensa scalabilità nell’uso della forza lavoro appare superiore a quella dei mezzi di produzione. Spostando la centralità della questione sociale dal lavoro alla povertà. Un dibattito teorico e istituzionale antico, costantemente presente nel discorso politico e culturale italiano, che ha determinato però effetti strutturali materialmente visibili deboli. Ricordiamo nelle fasi primordiali della introduzione del lavoro flessibile gli interessanti risultati della commissione Onofri[3], a cui non seguì nessun concreto intervento legislativo in tema di riassetto immediato del sistema della protezione sociale. In tale contesto sembra importante analizzare alcune centrali riforme della protezione sociale del lavoro che hanno riguardato altri paesi europei nella fase pandemica. Riforme che presentano impostazioni culturalmente differenziate nel garantire un pavimento condiviso di protezione reddituale per tutti i lavoratori dipendenti e autonomi sottoposti per la contrazione del reddito o per l’occasionalità delle prestazioni lavorative a forme di estrema carenza reddituale prossime a condizioni di povertà (working poor). Negli ultimi mesi, attraversata dalla crisi pandemica, una esperienza estremamente interessante è quella offerta dal contesto istituzionale spagnolo, con una strategia di intervento integrata visibilmente ispirata ad un sistema di universalismo differenziato. Qui, analogamente alla situazione presente in Italia, durante la crisi economica pandemica i lavoratori più colpiti sono stati quelli contingenti, che hanno visto una riduzione del tasso di occupazione di oltre l’11%, mentre per i lavoratori a tempo indeterminato la riduzione è stata appena del 2%. Una contrazione come in Italia concentrata su gruppi di lavoratori caratterizzati da giovani, donne e da lavoratori con bassi livelli di qualifiche (Anghel et alt. 2020). Come in Italia la situazione conferma una condizione di caduta occupazionale che ripercorre quella visibile nella crisi economica e finanziaria del 2008.  Per arginare tale situazione il governo spagnolo in un tempo estremamente breve ha definito, tra gli altri, due interventi fortemente differenziati, che insieme costituiscono una base importante per la garanzia reddituale e il riconoscimento del lavoro marginale, contingente e povero. Nel giugno 2020 la Spagna ha annunciato, infatti, la determinazione di un reddito minimo vitale nazionale, mentre alcuni mesi dopo marzo 2021 ha sciolto, in maniera radicale e  inaspettata, i dubbi ancestrali sulla classificazione dei digital-workers delle platform work del settore della distribuzione di merci e beni di consumo, riconoscendoli come lavoratori dipendenti, estendendo per la prima volta da diversi anni, nel contesto europeo, uno Statuto dei lavoratori tradizionalmente inteso in senso fordista-keynesiano anche alle nuove tipologie di lavoro digitalizzate radicalmente contingenti alla singola domanda di beni e servizi, il rider delle platform work.  Il primo intervento prodotto dal governo spagnolo nel pieno della fase di crisi pandemica è stato, dunque, quello di agire sul reddito dei lavoratori in crisi determinando una prima disposizione di assistenza reddituale generalizzata, realizzando un intervento di reddito minimo vitale per tutti i soggetti attivi nel mercato del lavoro. Con la convinzione che il sistema pubblico, al di là della fase emergenziale, debba incorporare un criterio di giustizia ed equità in cui prevalga il diritto alla sicurezza economica, garantendo per tutti l’accesso a una vita dignitosa[4]. La definizione di una prestazione minima garantita come un diritto universale del cittadino è stata così definita dal governo spagnolo attraverso il Real decreto-legge 20/2020 del 29 maggio, costituendo un nuovo strumento di previdenza sociale non contributiva generalizzato. L’obiettivo è stato quello di garantire una rete di sicurezza finale per tutti i cittadini trasversale al mercato del lavoro. In altre parole, il suo principale obiettivo non è solo quello di riparare in termini congiunturali la situazione di povertà derivata dalla crisi economica sanitaria, ma di combattere l’elevata povertà della società spagnola in maniera strutturale. Sostanzialmente il reddito vitale minimo è costituito come beneficio di Previdenza sociale non contributiva applicabile su tutto il territorio nazionale, per tutti i soggetti il cui reddito non supera un determinato importo, definibile come reddito di garanzia. Un sistema di sostegno reddituale comprovato sui mezzi di sussistenza e riservato ai soggetti attivi nel mercato del lavoro costituenti o meno nuclei famigliari.

I fondamentali requisiti di accesso stabiliti dal reddito minimo spagnolo[5] sono:

a) essere maggiorenni;

b) essere registrato come persona in cerca di lavoro;

c) per i single, l’età minima è di 23 anni, avendo vissuto in modo indipendente almeno tre anni fino all’età di 30 anni. Dai 30 anni vale un anno di indipendenza

d) mancanza di reddito sufficiente per superare la soglia di povertà definita, il reddito minimo che deve essere garantito dallo Stato;

e) per gli stranieri che risiedono legalmente viene richiesta la residenza da almeno un anno nel territorio spagnolo.

Una misura che, analizzando i criteri di accesso, sembra maggiormente accostabile al reddito di emergenza definito in Italia come misura contingente alla fase pandemica che al reddito di cittadinanza che presenta requisiti di accesso più rigidi. Il reddito può essere mantenuto in una prima fase, anche dopo aver trovato lavoro, o finché la soglia salariale non supera quella definita dal reddito di garanzia.

In Spagna si stima che la misura possa raggiungere circa 2,3 milioni di persone, tra queste 1,6 milioni sarebbero in condizioni di estrema povertà (circa l’80% della povertà estrema del contesto spagnolo), soggetti spesso a condizioni di lavoro caratterizzate da marginalità e occasionalità (working poor). La misura presenta una gestione centralizzata affidata all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale.

 Il reddito minimo vitale spagnolo mantiene sufficienti incentivi per l’occupazione con tre modalità differenziate: a) la compatibilità dell’RMV con l’occupazione b) la definizione di percorsi di inserimento lavorativo per i beneficiari c) la presenza di sanzioni per i beneficiari che commettono frodi o che non rispettano i requisiti stabiliti.

Per quanto riguarda l’effetto sull’economia sommersa, l’attuazione della misura può comportare maggior controllo e una sua riduzione, comportando una emersione di una parte dell’irregolarità attualmente esistente nell’economia. Il reddito minimo vitale non sostituisce altri strumenti per la lotta alla povertà più direttamente legati a specifiche condizioni lavorative o sociali, ma agisce con questi in modo complementare. Il secondo intervento introdotto dal governo spagnolo durante la fase pandemica estende il sistema di protezione sociale ad una specifica categoria del lavoro estremamente marginalizzata e contingente, utilizzando una modalità fortemente differenziata rispetto a quella evidenziata precedentemente. La crisi pandemica ha posto in risalto, infatti, il ruolo sempre più centrale svolto nella distribuzione di beni di consumo dalle Platform work, evidenziando le problematiche relative alla corretta classificazione dei lavoratori coinvolti, spesso soggetti a infortuni o ai rischi sanitari della pandemia. La Spagna ha sciolto tale problematica. Attuando una misura che, durante la fase pandemica, estende un tradizionale sistema previdenziale assicurativo-contributivo, concentrato in uno status professionale fordista-keynesiano[6] per il lavoro dipendente standard ai rider delle piattaforme di lavoro digitalizzate. In tal senso per la prima volta dopo decenni e moltissime elaborazioni culturali e istituzionali che andavano in senso contrario a livello europeo, uno status professionale generato a protezione del lavoro dipendente permanente non viene alterato o limitato per regolamentare nuove tipologie di lavoro nate dalla produzione contingente e digitalizzata, ma integralmente esteso.  

Così l’11 marzo il Ministero del lavoro spagnolo ha annunciato come sia stato raggiunto un accordo tra il Ministero del lavoro e dell’Economia Sociale, le organizzazioni sindacali CCOO e UGT e le organizzazioni imprenditoriali CEOE e CEPYME che stabilisce come devono essere classificati i lavoratori delle platform work del settore delivery. L’accordo si sostanzia a livello normativo in un decreto-legge costituito da un solo articolo diviso in due sezioni (classificazione, diritto all’informazione), che dovrà affrontare l’iter normativo di approvazione. Nella prima sezione il testo legislativo modifica lo Statuto dei lavoratori inserendo anche i rider nell’ambito di applicazione di tale disciplina (Tabella 1).

 Tab.1 Inserimento nello statuto dei lavoratori spagnolo dei rider delle platform work – cosa cambia

La norma predisposta dal Ministero del lavoro recepisce una sentenza della Corte Suprema spagnola, che aveva riconosciuto come il rapporto di lavoro tra un rider e una specifica piattaforma del settore del food delivery (Glovo) fosse di natura dipendente. Sinteticamente le motivazioni della Corte si riferivano   alla presenza di specifiche condizioni nell’esecuzione e nella valutazione della prestazione analoghe a quelle previste per il lavoro dipendente: costante controllo (algoritmo, geolocalizzazione), valutazione del risultato determinante effetti nelle modalità di accesso alla distribuzione, facoltà  di penalizzare o sanzionare i rider se inadempienti alle regole definite dal piano organizzativo, definizione di determinate cause di risoluzione del contratto, modalità di gestione dei pagamenti e di definizione delle tariffe esclusivamente controllate dalla piattaforma, univoca centralità del macchinario algoritmico nella  realizzazione del processo produttivo, considerato fondamentale infrastruttura della produzione.

Nello specifico, quindi, mediante l’integrazione legislativa proposta dal governo spagnolo, si presume ricompresa nell’ambito applicativo dello statuto dei lavoratori, l’attività di soggetti che prestano servizi retribuiti consistenti nella consegna o distribuzione di qualsiasi prodotto o merce di consumo, per conto di datori di lavoro che esercitano le facoltà imprenditoriali di organizzazione, direzione e controllo in maniera diretta, indiretta o implicita, mediante la gestione algoritmica del servizio o delle condizioni di lavoro, attraverso una piattaforma digitale. La scelta non è stata, quindi, quella di disciplinare il lavoro dei rider costituendo una specifica fattispecie giuridica, un nuovo tipo legale di contratto intermedio tra la dipendenza e l’autonomia, una sorta di condizione di etero-organizzazione cristallizzata in termini legislativi nel contesto spagnolo[7], come avevano proposto all’inizio dei lavori del tavolo negoziale le piattaforme, proponendo una forma contrattuale specifica definita del commercio digitale, ma di sussumere la fattispecie considerata (rider) nella forma contrattuale generale del lavoro dipendente, rinviando ai titolari delle piattaforme la dimostrazione caso per caso della non sussistenza di tale condizione. In tale elaborazione normativa, così come già evidenziato dalla Corte Suprema, nell’algoritmo viene espressamente individuata una capacità di controllo, organizzazione, valutazione e profilazione nell’esecuzione e nel risultato della prestazione lavorativa, capace di far corrispondere attività lavorative svolte in luoghi e tempi differenziati al piano imprenditoriale stabilito, riproponendo tipici riferimenti dell’organizzazione del lavoro taylorista, come il controllo di ogni fase della prestazione lavorativa e del risultato finale in ogni tempo e  luogo in cui questa si realizza[8]. I mesi previsti per l’approvazione dell’iter normativo dovranno essere utilizzati per adattare i sistemi organizzativi algoritmici delle piattaforme al nuovo contesto (un tavolo tecnico monitorerà e condividerà tale armonizzazione). Importante anche la seconda sezione dell’articolo che prevede, modificando l’art. 64 dello statuto dei lavoratori riferibile al diritto all’informazione, l’obbligatorietà per le piattaforme di informare i lavoratori e le organizzazioni sindacali sulla formula algoritmica che incide sulla relazione lavorativa, non solo per i rider ma per tutti i soggetti che effettuano prestazioni lavorative tramite platform work. Questa rivisitazione dell’art 64 permetterà, secondo il ministero, di evitare penalizzazioni nella valutazione delle prestazioni lavorative, i cui criteri sono attualmente interpretati unicamente dai gestori della piattaforma, o penalizzazioni derivanti dalla partecipazione ad una mobilitazione o ad uno sciopero. Inizialmente il diritto all’informazione prevedeva la registrazione e completa trasparenza della formula matematica o algoritmica, la formula segreta della Coca Cola (per indicare il congegno produttivo capace di definire la specificità valoriale di ogni organizzazione imprenditoriale) ma vista la contrarietà di tutto il fronte imprenditoriale questo è stato limitato unicamente ai casi in cui l’algoritmo incide sulle condizioni e sui diritti dei lavoratori. Le principali platform work mediante la loro associazione (APS) hanno evidenziato una contrarietà complessiva all’accordo, con una spaccatura nel fronte imprenditoriale. La contrarietà viene evidenziata sia in riferimento al diritto di informazione, sia sulla classificazione dei rider. In particolare, la richiesta delle piattaforme è quella di considerare come elemento irrinunciabile, quasi in termini ideologici, la classificazione del rider come lavoratore autonomo, anche trovando forme intermedie che riportino alcune caratteristiche del lavoro dipendente ad una reale condizione indipendente del lavoratore. Tale aspetto irrinunciabile è interpretabile solo considerando la natura e la genesi del ciclo produttivo del lavoro su piattaforma[9], che trae la sua originalità nei modelli di sviluppo del capitalismo contemporaneo nel rendere cottimale e scalabile la prestazione lavorativa, scomposta, poi, in fasi altamente regolate. Inaspettatamente, invece, ad offrire una sponda al governo e alle associazioni sindacali sono intervenute altre organizzazioni imprenditoriali, minacciate dalla concorrenza, a loro parere sleale, esercitata dalle piattaforme per il basso costo del lavoro derivante dall’errata classificazione dei rider utilizzati.  Paradossalmente, quindi, in Spagna, per la determinazione di una classificazione del lavoro digitale da molti inaspettato,  non si è dovuto attendere soltanto la definizione di una riforma complessiva in grado di elaborare idee e riforme basate su una estensione di storici diritti del lavoro keynesiani – fordisti, frutto delle grandi mobilitazioni del lavoro novecentesche, ma si è utilizzato anche un nuovo protagonismo della piccola e media impresa che vede nella non classificazione in termini di dipendenza del lavoro digitale una minaccia alla sua stessa esistenza. Appare evidente come il quadro complessivamente delineato presenta alcune similitudini ma anche notevoli differenze con il contesto italiano. Da un lato il reddito minimo vitale si avvicina ai redditi minimi definiti in Italia, (RDC, REM), mentre in riferimento alla classificazione dei rider il percorso appare ancora molto contrastato, con la giurisprudenza che dopo varie sentenze sembra sempre più orientarsi da una classificazione terza ( tribunale di Torino), una eterorganizzazione autonoma, intermedia tra una pura indipendenza e una reale dipendenza, verso una completa considerazione del lavoratore delle piattaforme di food delivery come  dipendente ( tribunale di Palermo) soggetto a effetti discriminatori (tribunale di Bologna). Allo stato attuale però, dopo l’approvazione di una prima regolamentazione legislativa e contrastati accordi collettivi, tale categoria di lavoratori rimane contrattualizzata in forma autonoma, con alcuni diritti riferibili al lavoro indipendente e con una retribuzione cottimale, ancora più stringente, perché caratterizzata in senso orario. Un cottimo orario, quindi, che si realizza nei tempi e nei modi stabiliti dalle piattaforme, coniugando la forma storicamente meno soddisfacente, in termini di sostanza salariale per il reddito dei lavoratori, il cottimo, con una rigida organizzazione del tempo (accesso alla piattaforma nei tempi prestabiliti[10]) e del luogo (geolocalizzazione) della prestazione tipicamente tayloriste. Annullando, così, l’unico elemento di residuale vantaggio nell’effettuazione di prestazioni lavorative cottimali presenti nella natura del lavoro autonomo, lavorare dove, come e quando si desidera.

*Le opinioni espresse non rappresentano necessariamente quelle dell’Istituto di appartenenza

Bibliografia.

Anghel F. et alt., (2020), The economic consequences of Covid in Spain and how to deal with them, Fundacion de Estudios de Economía Aplicada, Madrid

Bergamante F., De Minicis M (2019), Dalla sperimentazione del partial basic income in Finlandia alla valutazione del reddito di cittadinanza in Italia, workink paper series, IRVAPP, https://irvapp.fbk.eu/it/publications/detail/dalla-sperimentazione-del-partial-basic-income-in-finlandia-alla-valutazione-del-reddito-di-cittadinanza-in-italia/

Claramunt C. Et alt., (2020), El ingreso mínimo vital: la renta garantizada de un Estado del bienestar incompleto, LABOS Journal of Labor Law and Social Protection

De Minicis M., Marucci M., (2020), Crisi e sostegno reddituale dei lavoratori: due scenari a confronto, economia e politica, https://www.economiaepolitica.it/crisi-economica-coronavirus-italia-unione-europea-mondiale/crisi-e-sostegno-reddituale-dei-lavoratori-due-scenari-a-confronto/

De Minicis M., (2019), Povertà, lavoro, reddito nella produzione post-Fordista digitalizzata, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli in collaborazione con il Comune di Milano e con il supporto di The Adecco Group, collana quaderni serie Porte Girevoli, Contributi di ricerca e buone pratiche sul lavoro marginale e le nuove marginalità sociali, a cura di Caterina Croce, Andrea Zucca, Rosanna Prevete, introduzione Enzo Mingione, Feltrinelli, Milano

De Minicis M., (2018), Precari e capitale, socializzazione e contingenza della forza lavoro, Economia e lavoro, Rivista di politica sindacale, sociologia e relazioni industriali, 1/2018, pp. 121-130, doi: 10.7384/90364, Carocci Editore

De Minicis M. (2018a), Amazon e i nuovi crowd-workers, https://www.economiaepolitica.it/lavoro-e-diritti/lavoro-e-sindacato/amazon-ed-i-crowdworkers/

De Minicis M., Donà S., Marocco M. (2020), Il lavoro online in Italia: Gig o Sha-ring economy? Prime evidenze empiriche da un’indagine Inapp, Sinappsi, X, n. 3, pp.112-13,  https://oa.inapp.org/handle/123456789/820

De Minicis M. (2019a), Lo scambio di plus valore nel capitalismo delle piattaforme, https://www.economiaepolitica.it/2019-anno-11-n-18-sem-2/pluslavoro/

Ferrando GarcíaF., Reflexiones sobre la regulación del trabajo a través de plataformas, digitales, https://www.net21.org/wp-content/uploads/2021/03/ALGUNAS-REFLEXIONES-SOBRE-LA-REGULACION-DEL-TRABAJO-A-TRAVES-DE-PLATAFORMAS-DIGITALES.pdf

ILO, World Employment and Social Outlook (2021), The role of digital labour platforms in transforming the world of work, https://www.ilo.org/global/research/global-reports/weso/2021/WCMS_771749/lang–de/index.htm

ISTAT, aprile 2020 – Occupati e disoccupati – Dati provvisori dicembre 2020

La ministra de Trabajo y Economía Social, Yolanda Díaz,, El último Acuerdo social sitúa a España en cabeza de la UE en el reconocimiento de los derechos laborales de las personas que trabajan en reparto de plataformas digitales, 11 Marzo, 2021 https://www.mites.gob.es/

TODOLÍ SIGNES A., Comentario a la Sentencia del Tribunal Supremoespañolque considera a los Ridersempleadoslaborales, https://labourlaw.unibo.it/article/view/12034/11885


[1] De Minicis, Marucci 2020

[2] De Minicis, Marucci 2020

[3] La commissione aveva previsto un sistema di protezione sociale nuovo, in grado di integrare e rendere complementari modelli di protezione sociale differenziati assicurativi (in costanza e meno del rapporto di lavoro), assistenziali, di reddito minimo. http://www.fondazionepromozionesociale.it/PA_Indice/118/118_la_relazione_conclusiva.htm

[4] Bergamante, De Minicis 2020

[5] Claramunt et alt., 2020

[6] De Minicis, 2019

[7] De Minicis, Donà, Marocco 2020

[8] Taylorismo che assume tale potenziale relatività della corrispondenza della prestazione lavorativa al piano datoriale mediante l’introduzione delle forme di esternalizzazione di alcune fasi della produzione mediante la tecnologia digitale cibernetica prima (metà anni ’70) algoritmica poi (metà degli anni duemila). De Minicis, 2019

[9] Per una comprensione del ciclo produttivo delle piattaforme e dell’autonomia del lavoratore coinvolto come aspetto intrinsecamente connesso alla natura di alcune piattaforme si rimanda a De Minicis, 2018

[10] Se non vengono confermati gli orari proposti si producono conseguenze in termini di orari e numero di accessi per i log in futuri dei rider. De Minicis, 2018a

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