Lavoro povero nella Città Metropolitana di Napoli – 2021

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Queste pagine intendono fornire un quadro del fenomeno del lavoro povero nella Città Metropolitana di Napoli nell’anno 2021. Il principale contributo consiste nel comparare – incrociando microdati aziendali con dati settoriali – i livelli retributivi con elementi della struttura del mercato del lavoro e dei vari settori produttivi. Da questa prima analisi il fenomeno del lavoro povero risulta inversamente correlato con tutte le variabili che rafforzano il potere contrattuale dei lavoratori. Si registra una correlazione negativa con dimensione d’impresa, produttività, quota salari sul valore aggiunto e retribuzioni tabellari contrattuali. Emerge invece una correlazione positiva con la diffusione di tipologie contrattuali atipiche e di lavoro irregolare. Secondo questa impostazione – che annovera fra lavoratori poveri coloro che percepiscono un reddito annuale lordo inferiore al 60% di quello medio nazionale, quindi inferiore a 12.978 Euro – risulta povero Il 34% dei circa 400 mila lavoratori regolari del settore privato. Emergono numeri allarmanti, con natura di emergenza sociale e che si amplificano se si tiene conto anche del lavoro irregolare.

1. Introduzione

Quest’analisi intende fornire un quadro della dimensione del fenomeno del lavoro povero nella Città Metropolitana di Napoli nell’anno 2021.  Il lavoro tratta la questione sia nel suo complesso sia articolandola in relazione alle caratteristiche dimensionali delle imprese e dei vari settori produttivi. Si tratta solo di una fotografia relativa ad un anno, peraltro molto particolare a causa del persistere della pandemia, ma che tuttavia è in grado di fornire una prima evidenza sulla sua estensione e sulle sue caratteristiche.

L’indagine è condotta mettendo insieme dati di tipo aziendale, estratti dal database AIDA e relativi ai singoli bilanci di esercizio, con dati di ciascun settore produttivo – secondo il primo livello della classificazione ATECO 2007 – estrapolati dai database di istituti nazionali. Della prima categoria di dati fanno parte quelli relativi a: retribuzione media, numero di lavoratori poveri, produttività, dimensione d’impresa e quota salario sul valore aggiunto. Della seconda categoria quelli relativi a: quota di lavoratori a tempo determinato, quota di lavoratori part-time, minimo tabellare da contratto collettivo nazionale e livello di lavoro irregolare.

Il database AIDA contiene le informazioni relative alle aziende che hanno presentato il proprio bilancio d’esercizio alle camere di commercio, da cui sono stati estratti i dati di circa 40 mila imprese che nel 2021 hanno registrato almeno un dipendente per un campione totale di circa 400 mila dipendenti. I dati relativi alla struttura del mercato del lavoro e dei settori produttivi sono estratti da istituti nazionali quali: Istat, CNEL ed Ispettorato del Lavoro.

Questo lavoro non indaga sulle cause del fenomeno, ma semplicemente prova a misurarne la dimensione, anche se solo in un singolo anno, con l’intento di sottolinearne la natura emergenziale e generare riflessioni sulla questione del lavoro povero. Il contributo principale risiede nel comparare i dati relativi alle retribuzioni del lavoro dipendente nelle singole aziende ed il conseguente livello di lavoro povero con elementi caratteristici della struttura del mercato del lavoro e dei vari settori produttivi, determinando, inoltre, per ciascun settore produttivo, la quota di lavoratori poveri. Da questa prima analisi, si registra una correlazione positiva del fenomeno con tutte le variabili che indeboliscono il potere contrattuale dei lavoratori.

Il lavoro è articolato come segue: nel secondo paragrafo sono presentati la metodologia di calcolo dei vari indicatori e i database utilizzati. Nel terzo si ricostruisce la dimensione del lavoro dipendente nella città metropolitana di Napoli. Il quarto – il cuore del lavoro – contiene la ricostruzione della dimensione del fenomeno per dimensione d’impresa (4.1), per settore produttivo (4.2) e in relazione alle condizioni contrattuali, (4.3) offrendo anche una prima analisi di correlazione fra le retribuzioni e le variabili che identificano la natura di ciascuna impresa e di ciascun settore. Infine, l’ultimo paragrafo offre delle riflessioni conclusive e prova ad estendere la stima del lavoro povero oltre la dimensione del campione analizzato.

2. Indicatori e database e utilizzati

Il fenomeno del lavoro povero è spesso trattato in letteratura tramite il concetto dell’In-Work Poverty (IWP) ovvero lo stato di ristrettezza economica in cui ricadono i soggetti che, nonostante lavorino, fanno parte di un nucleo familiare in condizione di indigenza. Tale categoria è tradotta in termini statistici dalle principali istituzioni internazionali, come l’Eurostat, nella percentuale di lavoratori che dichiarano di essere stati occupati almeno sette mesi nell’anno di riferimento e che vivono in un nucleo familiare con un reddito complessivo equivalente inferiore al 60% del reddito mediano nazionale.

Il concetto di IWP è strettamente correlato a quello dei lavoratori a basso salario, più spesso richiamati come low-wage workers. Secondo la letteratura consolidata ed i principali istituti statistici, come Eurostat o l’International Labour Organization (ILO), rientrano in questa definizione i lavoratori che percepiscono un salario orario lordo inferiore ai 2/3 di quello mediano del proprio paese. Chiaramente l’indicatore IWP è più complesso ed articolato dell’tasso di low-wage workers. Mentre quest’ultimo si riferisce esclusivamente alla questione salariale oraria, il primo abbraccia anche il livello di intensità lavorativa e le dinamiche familiari nel loro complesso che, a loro volta, sono condizionate da fattori estranei a quelli strettamente salariali, come l’ampiezza familiare, il ruolo della donna in casa o le politiche sociali.

Meno univoca è invece la definizione di working poor che, se per una parte della letteratura è semplicemente utilizzata come sinonimo di low-wage workers o come vago richiamo a tutti i lavoratori in stato di difficoltà economica, per le istituzioni internazionali (ILO, OECD etc.) identifica i lavoratori che in termini assoluti guadagnano meno di 1,25 dollari al giorno. Tale soglia è talmente bassa da non poter essere di riferimento per misurare il fenomeno del lavoro povero nelle economie più avanzate.

Il presente lavoro, come molte analisi su questo fenomeno, considera lavoratori poveri i soggetti che nonostante lavorino abbiano un reddito annuale inferiore al 60% del reddito mediano lordo nazionale. Questo approccio differisce da quello dell’IWP perché il livello reddituale è considerato dal punto di vista individuale e non familiare, quindi legato unicamente alla sfera salariale. Ciò nonostante, a differenza del livello di low-wage workers che tiene conto della retribuzione oraria senza considerare il numero di ore lavorate, questa modalità di analisi riesce a contemplare il fenomeno della bassa intensità lavorativa.

Indipendentemente dall’indicatore utilizzato, tutta la letteratura sul tema concorda univocamente nell’affermare che ci sono alcune categorie di soggetti per cui questo fenomeno risulta più drammatico: donne, giovani, lavoratori a tempo determinato, lavoratori part-time e, nel caso dell’Italia, meridionali.

In questo lavoro i valori salariali saranno considerati sempre lordi. La retribuzione annuale lorda dei lavoratori è calcolata come retribuzione media aziendale annuale, ottenuta semplicemente dividendo l’ammontare complessivo lordo di salari e stipendi erogato da ciascuna azienda nel corso dell’anno[1] per il numero di dipendenti dichiarati dalla stessa in fase di bilancio. Ovvero, per ognuna delle n aziende dell’i esimo settore produttivo k, la retribuzione verrà determinata con la seguente relazione:

Mentre per ciascun settore vale la seguente relazione:

Questa impostazione non coglie la possibilità che all’interno dell’impresa ci sia variabilità degli stipendi né differenze fra lavoratori full-time e part-time o lavoratori che abbiano lavorato per tutto l’anno o solo per una frazione di esso.

Per la stima del lavoro povero, i lavoratori di un’azienda, o di un settore, vengono considerati tutti poveri quando la retribuzione media così determinata è inferiore ad 12.978 Euro, ovvero il 60% del reddito lordo mediano nazionale dei lavoratori dipendenti nel 2021 secondo i dati INPS[2]. Si è preferito utilizzare questo dato in quanto né il sito dell’Istat né quello dell’Eurostat riportano il reddito mediano annuale lordo individuale per l’anno 2021 e le dichiarazioni dei redditi riportate sul data-base del MEF sono a lordo dell’imposizione fiscale ma non di quella previdenziale. Per ragioni di semplicità legate alle dichiarazioni contributive si è preferito utilizzare solo il reddito da lavoro dipendente[3].

Quindi la determinazione dei lavoratori poveri per ogni azienda i esima del settore k avverrà secondo la seguente relazioni:

La letteratura economica ha identificato diverse variabili che possono influenzare e determinare i livelli salariali, fra queste le più trattate e considerate sono sicuramente i livelli di disoccupazione e di produttività. Purtroppo, in questo lavoro non è contemplato il livello di disoccupazione poiché l’analisi si concentra in una singola unità territoriale, ne consegue che il tasso di disoccupazione è unico per tutta la popolazione in oggetto e quindi non può spiegare differenze salariali intersettoriali o fra imprese di diverse dimensioni. Si specifica comunque, che il tasso ammonta, secondo i dati Istat 2021relativi alla Città Metropolitana di Napoli, al 24%, ben oltre il doppio di quello nazionale che nello stesso periodo era al 9.7%.[4]

Per quanto riguarda la produttività, la letteratura economica concorda nell’individuare un suo effetto positivo sui livelli salariali: più questa è elevata, maggiore è la possibilità e la disposizione da parte degli imprenditori ad aumentare i salari. Un’elevata produttività, inoltre, è elemento di forza contrattuale da parte dei lavoratori che possono permettersi di chiedere aumenti salariali più elevati. In questo lavoro la produttività aziendale del fattore lavoro è determinata come valore aggiunto medio prodotto per lavoratore[5]. Il valore di questo fattore, per ognuna delle n aziende i esime e per ciascun settore k, verrà quindi determinato secondo le  seguenti relazioni:

Si prende in considerazione poi la quota del valore aggiunto destinato alla remunerazione dei dipendenti (QLVA)[6]. Esso può rappresentare un indice del potere contrattuale dei lavoratori, poiché rappresenta la quota della ricchezza prodotta che remunera il fattore lavoro e in modo complementare la quota della ricchezza prodotta che remunera il fattore capitale. Su questo aspetto però bisogna tenere conto che la quota che va a remunerare il capitale è anche la principale fonte degli investimenti che a loro volta sono l’elemento portante dell’aumento della produttività con ricadute positive sugli stipendi. Questa variabile, per ognuna delle n aziende i-esime e per ciascun settore k, è determinata come segue:

Un’ulteriore variabile d’interesse è la dimensione aziendale, in termini di numerosità di dipendenti, dal momento che può incidere sugli stipendi e segnala sia una maggiore forza dell’impresa sul mercato legata ad economie di scala, che un maggior potere contrattuale dei lavoratori.

I dati relativi alle variabili fin ora menzionate sono di tipo aziendali e sono estrapolati dal database AIDA (Analisi Informatizzata delle Aziende Italiane https://www.bvdinfo.com/it-it/le-nostre-soluzioni/dati/nazionali/aida ), che contiene i dati di bilancio di tutte le aziende che hanno presentato il proprio bilancio d’esercizio alle camere di commercio. Per quanto riguarda la Città Metropolitana di Napoli, il database dispone dei dati di bilancio delle circa 82 mila imprese private attive con sede legale nella Città Metropolitana che hanno depositato il bilancio presso la Camera di Commercio nell’anno 2021. Queste imprese sono quasi esclusivamente società di capitali, poiché le imprese individuali non hanno l’obbligo di deposito. Le analisi del presente lavoro si riferiscono alle sole imprese, circa 40 mila, che per l’anno 2021 hanno dichiarato la presenza di almeno un lavoratore dipendente per un totale di circa 400 mila lavoratori.

Si precisa che, secondo i dati Istat, nella Città metropolitana le imprese nel complesso sono circa 185 mila. La differenza fra la popolazione presente nel database e l’effettivo numero di imprese è quindi composta da circa centomila microimprese individuali che non hanno depositato il bilancio presso la Camera di Commercio. Inoltre, va specificato che l’assenza di obblighi dichiarativi per le attività economiche che trattano affitti di breve periodo legati al turismo rende praticamente impossibile fare qualsiasi considerazione quantitativa su questo importante fenomeno che sta stravolgendo il centro storico della città.

Passando ai dati di tipo settoriale e la classificazione ATECO, la fonte è l’ISTAT (https://www.istat.it/it/archivio/17888). Il presente lavoro considera anche le retribuzioni tabellari dei contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL), che ovviamente influenzano i livelli salariali per via diretta e prescrittiva. In particolare, saranno considerati i salari orari minimi tabellari lordi dei contratti maggiormente rappresentativi per ogni settore nell’anno 2021[7]. La suddivisione settoriale dei contratti non corrisponde a quella di un settore produttivo Ateco, pertanto ognuno di questi è ricondotto ad uno specifico settore Ateco tramite una tabella di raccordo sperimentale elaborata dal CNEL. Si specifica che non esiste un database che riporta i valori tabellari di ogni contratto, quindi per i valori in questione si è dovuto provvedere singolarmente andando a ricercare e calcolare gli importi orari sui vari contratti in base ai salari lordi mensili ed i coefficienti orari prescritti.

Nella presente analisi è riportata la quota di lavoratori che prestano la propria attività in modalità atipiche e flessibili come il lavoro a tempo determinato o part-time in relazione al totale dei lavoratori settoriali. Tali quote sono rilevate dall’Istat e si riferiscono all’anno 2017 (gli ultimi dati disponibili per l’area metropolitana di Napoli). Ciò nonostante, si può immaginare che tali valori rimangano comunque una sufficiente approssimazione dei valori dell’anno 2021. È piuttosto condiviso che il ricorso a modalità atipiche e flessibili di lavoro come il lavoro a tempo determinato o part-time influenzi negativamente i livelli salariali. I lavoratori a tempo determinato sono generalmente meno tutelati ed hanno meno potere contrattuale in quanto rischiano costantemente di perdere il lavoro; i lavoratori part-time, lavorando di meno, registrano livelli salariali più bassi. Bisogna specificare, però, che questa modalità di lavoro nella Città Metropolitana di Napoli è largamente utilizzata per nascondere un rapporto di lavoro a tempo pieno ed eludere la normativa fiscale e contributiva. Questo fenomeno è noto come “lavoro grigio”[8].

Infine, anche il tasso di lavoro irregolare ha ricadute negative sui livelli salariali poiché la possibilità di ricorrere a questo tipo di modalità di lavoro riduce il potere contrattuale dei lavoratori che in alcuni casi non possono pretendere un salario pieno in quanto c’è il rischio di essere sostituiti da soggetti disposti ad accettare un salario irregolare di importo inferiore. Il ricorso al lavoro irregolare, inoltre, riduce i livelli salariali in termini prettamente contabili poiché una parte dei salari non è rilevata.

A causa di assenza di dati articolati a livello settoriale, il grado di lavoro irregolare è determinato in base alle 6255 ispezioni effettuate dall’Ispettorato del Lavoro in Campania (ITL – ispettorato territoriale del lavoro) nell’anno 2021[9]. I vari tassi regionali indicano la quantità di lavoratori irregolari o che hanno subito una qualsiasi tipo di violazione normativa, ogni 100 aziende ispezionate[10]. Il dato così raccolto non ci permette di avere una rappresentazione precisa del fenomeno; ciò nonostante, restituisce una buona approssimazione delle differenze settoriali

È necessario specificare che per i lavoratori che compongono il campione non sappiamo in che modalità è svolta la prestazione lavorativa (part-time/full-time) né il tipo di contratto[11]. La mancanza di questa informazione, insieme al fenomeno del lavoro nero, delle false partite IVA[12], dei gig-workers[13], alla possibilità che i lavoratori abbiano più di un impiego ed alla dimensione dell’economia sommersa può essere una fonte di distorsione dei valori reali.

3. Il lavoro dipendente nella città metropolitana di Napoli

Prima di addentrarci nell’analisi sul lavoro povero e sulle retribuzioni è necessaria una panoramica d’insieme sul lavoro dipendente nella Città Metropolitana di Napoli. La presente analisi tratta i circa 406 mila lavoratori dipendenti del settore privato che lavorano presso società di capitali iscritte alla Camera di Commercio di Napoli nel 2021. Nello stesso anno, l’Istat registra circa 583 mila lavoratori dipendenti in questo territorio. La differenza fra questo valore ed il campione oggetto dello studio è costituita sostanzialmente dai lavoratori pubblici, circa 150 mila unità di differenza nei settori di Pubblica Amministrazione, Difesa, Sanità ed Istruzione. La parte residuale di circa 30 mila dipendenti è attribuibile alle microimprese individuali che non hanno obbligo di deposito del bilancio presso la Camera di Commercio o alle famiglie, come nel caso del lavoro domestico.

La Figura 1 riporta le percentuali dei lavoratori dipendenti per dimensione d’impresa. Si precisa che, seguendo la classificazione Istat, le imprese sono indicate come grandi se hanno più di 250 addetti, medie se hanno un numero di dipendenti compreso fra 50 e 249, piccole imprese se hanno alle loro dipendenze un numero di lavoratori compreso fra 10 e 49, e infine microimprese quelle che hanno un numero di dipendenti inferiore a 10. Le micro e piccole imprese – seppure rappresentino circa il 96% delle imprese private con almeno un dipendente – coprono insieme quasi il 61% del totale dei lavoratori dipendenti, lasciando il residuale meno di 40% alle altre categorie di impresa.

Figura 1. Lavoratori dipendenti del settore privato e dimensione di impresa, valori percentuali. Città Metropolitana di Napoli 2021.

Fonte: elaborazioni proprie su dati AIDA

Interessante è anche osservare come i lavoratori dipendenti delle imprese considerate si ripartiscono fra i diversi settori. La Figura 2 riporta la suddivisione dei lavoratori dipendenti per settore produttivo corrispondente al primo livello della codifica Ateco 2007.

Nell’anno 2021 nella città metropolitana di Napoli, i settori più rilevanti sono quelli del commercio e quello manifatturiero per un totale complessivo di poco meno del 40%. Si attestano intorno a circa il 10%, quattro settori: edilizia, logistica, alloggio e ristorazione e servizi di supporto alle imprese per un totale di poco più del 40%. Il rimanente 20% è distribuito fra tutti gli altri settori.

Fig.2 Lavoratori dipendenti del settore privato per settore produttivo, valori percentuali. Città Metropolitana di Napoli 2021

Fonte: elaborazioni proprie su dati AIDA

La divisione settoriale non è omogenea all’interno della Città Metropolitana: l’hinterland registra valori maggiori nel settore secondario, sia per quanto riguarda il manifatturiero che l’edilizia, mentre le aree costiere registrano valori maggiori per quanto riguarda le attività di alloggio e ristorazione. Il comune di Napoli invece registra valori più elevati per quanto riguarda le attività professionali, logistica e comunicazioni.

Questa prima rappresentazione, oltre a non tener conto delle imprese che non hanno l’obbligo di presentazione del bilancio, non considera neanche il fenomeno del lavoro sommerso. La rilevazione più recente dell’ISTAT per la Regione Campania riguardo al lavoro irregolare risale al 2019 ed ammonta al 18.7% sul totale dei lavoratori. Supponendo che dal 2019 al 2021 il tasso di lavoro irregolare sia rimasto costante e che il tasso campano corrisponda a quello napoletano, allora i lavoratori irregolari nella Città Metropolitana ammonterebbero a circa 134 mila unità, per un totale di lavoratori dipendenti, regolari e irregolari, di circa 720 mila unità.  Per completezza si riporta che nello stesso anno, l’Istat registra nella Città Metropolitana un tasso di disoccupazione del 24%.

4. Il lavoro povero
4.1 Lavoro povero per dimensione di impresa

Questa sezione prova ad offrire una prima immagine dei livelli salariali e della quota di lavoratori poveri in relazione alla dimensione di impresa. La tabella 1, ripartendo i valori per classe dimensionale, consente di osservare la produttività (valore aggiunto per dipendente, colonna 2), la retribuzione annuale lorda media (colonna 3), la quota di lavoratori poveri sul totale dei lavoratori della classe dimensionale (colonne 4) e la quota delle retribuzioni sul valore aggiunto (colonna 5).

Tabella 1 valore aggiunto, retribuzioni e lavoratori poveri per dimensioni di impresa

Fonte: elaborazione propria su dati AIDA

All’aumentare della dimensione di impresa corrisponde una retribuzione media ed una produttività più elevate (Figura.3), così come una minore percentuale di lavoratori poveri (Figura.4). Allarmante è la percentuale di lavoratori poveri nelle microimprese dove oltre 1 lavoratore su 2 risulta in questo stato, sebbene anche per le grandi imprese la questione non è trascurabile (la percentuale è di quasi il 15% dei lavoratori). Questa rilevazione sottolinea, quindi, che non è un fenomeno circoscritto alle imprese di piccole dimensioni che hanno difficoltà di sopravvivenza nel mercato, ma coinvolge pure imprese più strutturate e consolidate.

La retribuzione annuale lorda media passa da 26.033 per le grandi imprese a 14.350 per le microimprese con una riduzione di circa il 45%. La stessa percentuale di riduzione non è osservabile nel valore aggiunto per dipendente che invece si riduce di poco meno del 30%. Infatti, dall’ultima colonna si evince che più grande è l’impresa, maggiore è la quota delle retribuzioni sul valore aggiunto, anche se l’oscillazione non è così ampia.  Le Figure 3 e 4 rappresentano in modo più immediato quanto riportato nella tabella 1.

Figura.3: Retribuzioni lorde annuali in Euro e VA per lavoratore per dimensione di impresa

Fonte: elaborazioni proprie su dati AIDA

Non stupisce la relazione positiva fra dimensione di impresa, retribuzioni medie e produttività, generalmente ricondotta alle economie di scala e ad un maggiore potere contrattuale dei lavoratori; meno scontata è la relazione positiva fra la dimensione e la quota di VA destinata ai lavoratori. Le retribuzioni medie nelle imprese più grandi sono quindi maggiori sia in termini assoluti che in termini relativi rispetto al valore aggiunto prodotto.

Figura. 4: Quota di Lavoratori Poveri per dimensione di impresa

Fonte: elaborazioni proprie su dati AIDA

4.2 Il lavoro povero per settori produttivi

Questo paragrafo presenta la relazione fra retribuzione e lavoro povero con le diverse caratteristiche dei settori produttivi. Sono prese in considerazione gli stessi elementi del paragrafo precedente – retribuzione media, quota di lavoratori poveri, produttività e quota di valore aggiunto destinato alle retribuzioni – ma declinati in termini settoriali. La suddivisione in settori produttivi segue il primo livello della codifica ATECO 2007.

Tab. 2: Settori Economici e lavoro povero

Fonte: elaborazione propria su dati AIDA

Piuttosto che dilungarsi in commenti dettagliati si è lasciato che la segnalazione emergesse dalla lettura della tabella 2. In rosso sono indicati i dati particolarmente critici, mentre in verde quelli particolarmente più alti rispetto alla media del campione. In particolare: in rosso sono segnalati: i valori inferiori all’80% di quello complessivo per la retribuzione media ed il valore aggiunto per dipendente; i valori superiori al 120% rispetto al valore medio per quanto riguarda la quota di lavoratori poveri ed i valori inferiori al 40% per quanto riguarda la quota retribuzione sul valore aggiunto. Viceversa, in verde sono segnalati: i valori superiori al 120% di quello medio complessivo per la retribuzione media ed il valore aggiunto per dipendente; i valori inferiori all’ 80% per quanto riguarda la quota di lavoratori poveri ed i valori superiori al 50% per quanto riguarda la quota retribuzione sul valore aggiunto.

Nei settori economici dove la quota di lavoratori poveri è più elevata, si rileva una retribuzione media ed una produttività inferiore. Non si possono dare conclusioni univoche nella relazione fra la quota di lavoratori poveri e la quota di valore aggiunto destinata alla retribuzione dei lavoratori. Le figure 5 e 6 estraggono i dati rispettivamente delle retribuzioni medie lorde e della percentuale del lavoro povero per consentire una più immediata visualizzazione delle informazioni.

Figura. 5: Retribuzioni medie lorde annuali in euro per settore economico

Fonte: elaborazioni proprie su dati AIDA

Emerge con chiarezza che i settori dove le retribuzioni medie sono più basse e il lavoro povero è in percentuale più elevato sono il settore primario, l’alloggio e la ristorazione, l’istruzione, le attività ricreative e la voce che comprende gli altri servizi.

Figura. 6: Quota Lavoratori Poveri per settore produttivo – valori percentuali

Fonte: elaborazioni proprie su dati AIDA

4.3 lavoro povero e condizioni contrattuali

In questa sezione l’analisi procede con un confronto del lavoro povero con caratteristiche contrattuali, declinate in temini settoriali. In particolare: minimi tabellari per CCNL più diffuso nel settore, quota di lavoratori part-time, quota di lavoratori a tempo determinato e livello di lavoro irregolare. Per facilitare la lettura, nelle varie tabelle è riportata la quota di lavoro povero settoriale. Infine, viene proposta una riflessione sui settori in cui il fenomeno risulta più critico ed un’analisi di correlazione fra le variabili prese in esame.

Nella Tabella 3 sono riportati i valori dei minimi salariali tabellari lordi da CCNL più diffuso del settore, in rosso sono contraddistinti i valori particolarmente negativi, ovvero superiori a quelli medi per quanto riguarda la quota settoriale di lavoro povero (colonna 2) ed i valori inferiori ad Euro 1300.00 e ad Euro 7.60 stabiliti forfettariamente per quanto riguarda i minimi tabellari mensili ed orari (Colonne 4 e 5). Si può notare come tendenzialmente, con la sola eccezione del settore L, i settori in cui si rileva un numero più elevato di lavoro povero sono quelli caratterizzati da minimi tabellari più bassi.

Tab. 3: Minimi salariali tabellari lordi in Euro da CCNL più diffuso del settore – 2021

Fonte: Elaborazione propria su dati Aida e Cnel

Nella tabella 4 sono riportati valori legati a modalità di lavoro atipiche e flessibili per i vari settori. I valori sono riferiti al 2017 in quanto gli ultimi dati disponibili dell’Istat si riferiscono a quell’anno. La quota è determinata con un semplice rapporto fra i lavoratori che prestano la propria prestazione in tale modalità di lavoro ed il totale dei lavoratori del settore nelle Città Metropolitana. La colonna 3 si riferisce ad i lavoratori con contratto a tempo determinato mentre la colonna 4 si riferisce ad i lavoratori part-time.

In rosso sono contraddistinti i valori superiori a quelli medi.  Si può notare che i settori in cui si rileva un valore più elevato di lavoro povero sono quelli caratterizzati da più flessibilità ed atipicità dei contratti, in special modo per quanto riguarda la modalità part-time. Si precisa che non sono disponibili dati sul settore agricolo, ciò nonostante, è risaputo che questo settore è caratterizzato da forte stagionalità del lavoro e quindi da un’elevata atipicità dei contratti.

Tab. 4: Lavoro atipico per settore – Città Metropolitana di Napoli – Istat 2017

Fonte: Elaborazione propria su dati Aida e Istat

Nella tabella 5 sono riportati i valori riscontrati dall’Ispettorato territoriale del lavoro (ITL)relativamente alle 6255 ispezioni effettuate in Campania nel 2021 (in rosso i valori superiori a quelli medi). Si può notare come tutti i settori produttivi in cui la quota di lavoro povero è più elevata sono contraddistinti da un elevato livello di irregolarità riscontrate dall’ITL.

Si specifica che la colonna 3 si riferisce ai lavoratori completamente a nero, in cui il rapporto di lavoro registra un’assenza totale di dichiarazioni fiscali o contributive. La colonna 4 si riferisce a qualsiasi tipo di violazione sia dal punto di vista fiscale che contributivo – come il fenomeno del cosiddetto lavoro grigio – sia dal punto di vista della sicurezza dei lavoratori.

Come in precedenza, per le tabelle sopra riportate si lascia che il lettore osservi da solo le criticità e le distanze dei diversi settori dalle medie. Ma alcune considerazioni possono essere fatte.

A guardare i dati presentati fino a questo punto, sembrerebbe esserci una relazione positiva fra i livelli salariali, la produttività, la dimensione di impresa, i minimi tabellari settoriali da CCNL e la quota di valore aggiunto assorbita dalle retribuzioni dei lavoratori dipendenti. Si registra, invece, una relazione negativa, in termini settoriali, con il ricorso a modalità atipiche di lavoro quali lavoro a tempo determinato e part-time ed alla diffusione di lavoro irregolare. Per il Lavoro povero si possono fare considerazioni specularmente opposte: i settori in cui si registra un più elevato livello di lavoratori poveri sono quelli caratterizzati da più bassa retribuzione media e produttività: questi settori sono quelli in cui i minimi salariali contrattuali sono più bassi, c’è un più ampio ricorso a modalità di lavoro atipiche e flessibili e c’è una maggiore diffusione di lavoro irregolare. A supporto di tale relazione è stata condotta una semplice analisi di correlazione (Tabella.6), che, se pur riferita ad un anno soltanto riguarda un numero elevato di osservazioni e quindi può fornire almeno l’intuizione di alcune cause di natura istituzionale del fenomeno.

Tab. 5: Irregolarità relative ad ispezioni dell’ITL in Campania nel 2021

Fonte: Elaborazioni proprie su dati Aida, ISTAT e ITL

La tabella 6 riporta i risultati relativi alle circa 40 mila imprese del campione. Si specifica che l’indice varia da un valore di 1, in caso di perfetta correlazione diretta, ad un valore di -1, in caso perfetta correlazione inversa, il valore 0 indica la totale assenza di correlazione; l’asterisco indica un livello di significatività maggiore all’1%; in verde sono segnati i valori positivi, in rosso quelli negativi. Per motivi di natura statistica le variabili: retribuzioni, dipendenti e produttività sono state utilizzate in forma logaritmica. La variabile lavoro povero è dicotomica e registra il valore 1 qualora la retribuzione media aziendale sia inferiore alla soglia di povertà individuata e 0 qualora sia superiore. Infine, le variabili Salario minimo orario CCNL, Tempo determinato, Part-time, Lavoro nero e Violazioni sul lavoro sono riferite al settore produttivo, non sono quindi variabili continue ma a qualsiasi impresa è associato il valore del rispettivo settore ATECO.

Tab 6: correlazione fra le variabili in esame

Fonte: Elaborazione propria su dati AIDA, ISTAT e ITL
5. Riflessioni conclusive

Secondo quanto rilevato, la retribuzione annuale lorda media per i dipendenti del settore privato nella Città Metropolitana di Napoli ammonta a 19.122 Euro, il valore nazionale secondo i dati INPS ammonta a 22.085 Euro e sale a 24.100 Euro considerando pure il settore pubblico.

La quota di lavoratori poveri in Città Metropolitana, ovvero i lavoratori con retribuzione annuale lorda inferiore al 60% di quella mediana nazionale, è del 34,46% e corrisponde a 139.906 lavoratori su 405.961: questi valori si riferiscono ai dipendenti registrati dalla piattaforma AIDA, ovvero dipendenti regolari del settore privato.

Per quanto riguarda la dimensione di impresa si registra un rapporto inverso fra la grandezza aziendale e la quota di lavoratori poveri. In particolare, i lavoratori poveri nelle grandi imprese registrano una quota del 14.88% sul totale dei lavoratori in questo tipo di impresa, mentre la quota raggiunge il 53.53% nelle microimprese. Queste rilevazioni ci indicano inoltre che, seppur il fenomeno è drammaticamente più diffuso in aziende di piccole dimensioni, non è trascurabile neanche nelle aziende più solide e strutturate.

Per quanto riguarda le correlazioni fra le variabili in esame è possibile notare una relazione inversa fra livello di lavoratori poveri e le variabili che rafforzano il potere contrattuale dei lavoratori. I livelli salariali, infatti, registrano una relazione positiva con la produttività, la dimensione di impresa, i minimi tabellari settoriali da CCNL e la quota di valore aggiunto assorbita dalle retribuzioni dei lavoratori dipendenti. Si registra, invece, una relazione negativa, con il ricorso a modalità atipiche di lavoro quali lavoro a tempo determinato e part-time ed alla diffusione di lavoro irregolare. Pertanto, i settori in cui si registra un più elevato livello di lavoratori poveri sono quelli caratterizzati da più bassa retribuzione media e produttività. Questi settori sono quelli in cui i minimi salariali contrattuali sono più bassi, c’è un più ampio ricorso a modalità di lavoro atipiche e flessibili e c’è una maggiore diffusione di lavoro irregolare. In particolare i settori dove il fenomeno risulta più endemico – oltre il tasso medio generale – sono quello primario, dove la quota raggiunge il 74%; il settore dell’alloggio e della ristorazione, con una quota del 73%; il settore delle attività immobiliari 46%; il settore di Servizi supporto a imprese 45%; il settore di istruzione private 80%; il settore delle attività ludiche e sportive 73%, ed infine le attività riconducibili ad altri servizi 62%. Il settore primario è notoriamente caratterizzato da stagionalità, ampio ricorso al lavoro irregolare e minimi tabellari di contrattazione nazionale particolarmente bassi. Purtroppo, non si possono fare considerazioni sul ricorso a lavoro atipico poiché è l’unico settore Ateco in cui l’Istat non riporta dati su questo tema. Il settore dell’alloggio e della ristorazione è caratterizzato da ampio ricorso a modalità di lavoro atipico ed irregolare, nonché da minimi tabellari di contrattazione nazionale particolarmente bassi. Per quanto riguarda il settore delle attività immobiliari le uniche particolari criticità riscontrate sono la quota di valore aggiunto spettante le retribuzioni – la più bassa del campione – ed un ampio ricorso a lavoro part-time. Nel settore dei Servizi di supporto alle imprese si registrano minimi tabellari particolarmente bassi, ampio ricorso a lavoro in modalità atipica e, per quanto riguarda le irregolarità sul posto di lavoro, ampio ricorso ad illeciti di tipo interpositorio[14]. Il settore dell’istruzione registra minimi tabellari particolarmente bassi, elevatissimo ricorso a lavoro in modalità atipiche ed un elevato livello di violazione della normativa del lavoro. Il settore delle attività ricreative e sportive presenta minimi tabellari particolarmente bassi ed ampio ricorso a lavoro in modalità atipica. Infine, per il settore degli altri servizi, essendo un settore residuale in cui confluiscono attività di diversa natura, è difficile fare considerazioni generali sulla retribuzione tabellare da contrattazione nazionale; si registra comunque un elevatissimo ricorso al lavoro in modalità part-time. In tutti questi settori, con eccezione del settore delle attività immobiliari, si registrano bassi livelli di produttività.

È possibile anche fare, attraverso qualche estensione, una stima orientativa sul livello dei lavoratori poveri sul totale dei lavoratori nella Città Metropolitana che nell’anno 2021. Secondo l’Istat, sono circa 583 mila, mentre questo lavoro ne tratta circa 400 mila; la differenza fra questo valore ed il campione oggetto dello studio è costituita sostanzialmente dai lavoratori pubblici, circa 150 mila unità di differenza nei settori di Pubblica Amministrazione, Difesa, Sanità ed Istruzione. La parte residuale di circa 30 mila dipendenti è attribuibile alle microimprese individuali non registrate nel database AIDA o alle famiglie come nel caso del lavoro domestico.

Per quanto riguarda il lavoro sommerso, il tasso di irregolarità Istat per la Regione Campania più recente risale al 2019 ed ammonta al 18.7% sul totale dei lavoratori. Supponendo che dal 2019 al 2021 il tasso di lavoro irregolare sia rimasto costante e che il tasso campano corrisponda a quello napoletano, allora i lavoratori irregolari nella Città Metropolitana ammonterebbero a circa 134 mila unità, su un totale di lavoratori dipendenti di circa 720 mila unità.

Ipotizzando che tutti i lavoratori irregolari siano contemporaneamente anche lavoratori poveri, che fra i dipendenti pubblici non ci sia nessun lavoratore povero ed infine supponendo che per i circa 30 mila dipendenti non rilevati da AIDA il tasso di lavoro povero sia pari a quello riscontrato in questo lavoro, nel complesso i lavoratori poveri raggiungerebbero un totale di 284 mila unità, ovvero circa il 39% dei lavoratori dipendenti totali ed il 50% dei dipendenti del settore privato.

Tabella 7: Stima complessiva di lavoratori poveri

Fonte: Elaborazione propria su dati AIDA, ISTAT e  ITL

La dimensione del fenomeno raggiunge numeri allarmanti e per quanto questa analisi abbia una validità ristretta contribuisce a rappresentare una realtà che ha natura di emergenza sociale. Futuri lavori di ricerca dovrebbero naturalmente indagare sulle cause, separando quelle di natura istituzionale da quelle di natura economica, ampliando il campione su scala nazionale per costruire una base per le indicazioni di policy.

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[1] Tale importo corrisponde alla voce B9a del Conto Economico del bilancio civilistico: Salari e stipendi. Questa voce contiene tutte le retribuzioni a lordo delle trattenute fiscali e contributive a carico del dipendente. Questa voce comprende anche i compensi per lavoro straordinario, le indennità e tutti gli altri elementi che compongono la retribuzione lorda annuale.

[2] INPS (2022).

[3] In base alle dichiarazioni per fini fiscali, il reddito medio da lavoro dipendente è circa dell’8% maggiore rispetto al reddito medio complessivo.

[4] La letteratura economica, anche se in modalità molto eterogenea, ritiene che i livelli salariali abbiano una connessione con il livello generale di disoccupazione. La teoria più diffusa, quella neoclassica, sostanzialmente sostiene che la disoccupazione involontaria sia causata da distorsioni del mercato che non permettono una naturale riduzione dei salari tale da rendere più conveniente assumere e quindi riassorbire la disoccupazione riportandola al suo equilibrio naturale. Pertanto, a livelli troppo elevati dei salari rispetto a quelli di equilibrio corrispondono tassi elevati di disoccupazione.

La teoria postkeynesiana, riprendendo le assunzioni classiche e marxiane, ritiene invece che elevati livelli di disoccupazione riducono il potere contrattuale dei lavoratori a causa della maggiore sostituibilità dei lavoratori e della maggiore difficoltà a trovare un altro impiego in caso di licenziamento; seguendo questa impostazione, ad elevati livelli di disoccupazione corrispondono bassi livelli salariali.

[5] La produttività del fattore lavoro è generalmente indicata come produzione media o ricavo medio per lavoratore. Determinare la produttività in questo modo è possibile solo qualora si confrontino paesi o territori differenti. Qualora l’analisi si voglia articolare per vari settori produttivi o per dimensioni di azienda, la produttività definita in questo modo sovrastimerebbe quella delle imprese che sono più a valle nel ciclo produttivo, perché il loro fatturato incorporerebbe anche quello di tutte le aziende a monte della catena, gonfiando i valori della produttività, ad esempio, delle aziende dedite al commercio al dettaglio rispetto a quelle manifatturiere, o i valori delle aziende più piccole – in genere a valle della catena produttiva – rispetto a quelle più grandi. Pertanto, è stato necessario calcolare la produttività aziendale come valore aggiunto medio per lavoratore che meglio restituisce il reale valore di ricchezza prodotta per dipendente

[6] Questa variabile rappresenta il cosiddetto wage share della letteratura economica.

[7] In caso di assenza di dati sono stati riportati valori relativi al 2022.

[8] De Gregorio e Giordano (2014) stimano che in Italia circa il 23% dei contratti part-time mascherano in realtà rapporti di lavoro a tempo pieno. Secondo lo stesso studio un lavoratore che lavora in questa modalità guadagna circa il 20% in meno ed ha un imponibile di circa la metà rispetto ad un lavoratore contrattualizzato regolarmente.

[9] L’ISTAT riporta anche delle stime dell’occupazione irregolare disponibili per l’anno 2019. Il tasso di lavoro irregolare metropolitano, come quello regionale, è del 18.7%. Supponendo sia che il tasso dal 2019 al 2021 non sia variato, il totale dei lavoratori dipendenti irregolari e regolari nella Città Metropolitana al 2021 sarebbe circa di 720 mila unità.

[10] Al contrario di come si potrebbe immaginare, proiettando i dati riscontrati dall’Ispettorato sul totale delle aziende locali si determinerebbe un tasso di ricorso al lavoro nero del 10% sul totale degli occupati, ben inferiore al tasso del 18,7% stimato dall’Istat nella Regione Campania.

[11] Secondo l’Istat in Campania al 2021 il tasso di lavoratori a tempo determinato è del 22% mentre per i contratti part-time è del 17%, contro una media italiana rispettivamente del 16% e 18%.

[12] Mandrone E. e Marocco M. (2012) stimano che in Italia nel 2010 la monocommittenza riguarda il 40 % delle partite iva, utilizzando ulteriori elementi, la loro stima sulle false partite iva – a detta loro prudenzialmente – è del 15% del totale dei lavoratori che svolgono la propria prestazione con questa modalità.

[13] Uno studio del 2018 della Fondazione De Benedetti, anche richiamato nel XX Rapporto Annuale Inps (2021) stimava che in Italia fossero attivi circa 700 mila gig-worker tra baby sitter, rider, idraulici, artigiani, addetti alle pulizie, traduttori.

[14] Per illeciti di tipo interpositorio si intendono quelli attinenti all’intermediazione fra domanda e offerta di lavoro. Il caso più tipico è quello del caporalato, ma sono riscontrabili anche in qualsiasi caso in cui il datore di lavoro formale non coincide con quello effettivo per eludere la normativa fiscale o contributiva o per applicare dei contratti di lavoro impropri.

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