Quale Moneta fiscale? Un confronto tra alcune proposte.

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Political and social notes

Dopo aver pubblicato l’articolo sulla moneta fiscale di Bossone, Cattaneo, Costa e Sylos Labini, anche Enrico Grazzini interviene sull’argomento e commenta alcune delle diverse proposte sul campo. 

 

In questo articolo mi propongo di chiarire perché l’architettura della moneta unica europea è strutturalmente squilibrata e genera crisi. E perché la moneta fiscale, nella versione pubblicata da Micromega e promossa dal compianto Luciano Gallino, possa rappresentare la soluzione ai problemi dell’euro. Mentre altre versioni di moneta fiscale possono invece essere impraticabili.

Le cause genetiche e strutturali della fragilità dell’euro sono queste:

  1. La moneta europea è diventata la leva principale per imporre l’egemonia tedesca sulle economie periferiche, ovvero lo strumento per imporre una forma di colonialismo commerciale, monetario e finanziario. E’ noto che l’euro è stato creato a Maastricht con criteri dettati dalle classi dirigenti tedesche, cioè a immagine e somiglianza del marco, una delle monete più forti e stabili al mondo insieme al franco svizzero e allo yen giapponese. L’euro, in quanto moneta creata per essere forte e stabile, come il marco, non solo contrasta l’inflazione ma è intrinsecamente deflattivo e comprime lo sviluppo della maggior parte dei paesi dell’eurozona. Tuttavia per l’industria tedesca, molto competitiva, l’euro è una moneta debole, svalutata rispetto al vecchio marco, e favorisce perciò il surplus commerciale con l’estero. Grazie all’euro, la Germania può praticare senza eccessivi vincoli la sua politica mercantilistica: e con i suoi surplus esporta disoccupazione e deflazione.
  2. L’euro impone il pareggio strutturale di bilancio e restrizioni draconiane sui deficit (il famoso 3%) e sui debiti pubblici, e queste limitazioni impediscono di attuare politiche fiscali anticicliche. In tempo di crisi i governi non possono fare gli investimenti pubblici indispensabili per rilanciare l’economia, e anzi devono tagliare la spesa pubblica e i salari. Così la politica dell’eurozona distrugge attivamente l’industria, il lavoro delle nazioni più deboli, e il modello sociale europeo che nei decenni passati ha caratterizzato la nostra civiltà.
  3. L’euro è la moneta preferita dalla speculazione internazionale perché permette alla grande finanza di accumulare enormi profitti dai debiti pubblici dei Paesi più deboli e di guadagnare dagli squilibri interni all’eurosistema. Infatti la moneta unica europea è fondata sul principio cardine del liberismo: la libera e incontrollata circolazione dei capitali. Ma, caso unico al mondo, la BCE per statuto non può acquistare i titoli pubblici dei singoli paesi e garantirne così i debiti. Così i Paesi periferici sono lasciati indifesi e alla mercé della speculazione finanziaria internazionale. Gli stati nazionali devono subire il ricatto della grande finanza. Infatti i loro debiti sono denominati in una moneta straniera, ovvero in una moneta (l’euro) che gli stati e le singole banche centrali nazionali non controllano più.
  4. I Paesi più deboli non possono svalutare i prezzi dei loro prodotti. La moneta unica ha eliminato l’uso del tasso di cambio per il riallineamento della competitività dei paesi membri dell’eurozona. In questo modo si approfondiscono i divari competitivi tra i Paesi dell’eurozona. L’euro allarga la forbice tra i Paesi di serie A e paesi di serie B e C.
  5. Infine, da ultimo ma non per ultimo, la politica monetaria (gestione dei tassi di interesse, dell’offerta di moneta e del tasso di cambio) è identica per le 19 economie dell’eurozona, che però sono molto diverse fra loro per livelli di inflazione, competitività, intensità tecnologica, ecc. La moneta unica è quindi strutturalmente rigida e impone politiche intrinsecamente non adatte alle necessità specifiche di ogni paese dell’eurozona.

Queste sono le cause strutturali per le quali la moneta unica è alla lunga insostenibile. L’euro genera per sua natura diseguaglianza, depressione e disoccupazione nei Paesi più deboli. L’euro è una moneta in crisi permanente: ma il problema dell’euro è l’euro stesso. Da queste considerazioni si può dedurre che l’austerità non è una condizione contingente che si può superare “picchiando i pugni sul tavolo”. Molti vorrebbero una strategia più ambiziosa, e auspicano che l’unione monetaria sia completata dall’unione fiscale e politica: gli Stati Uniti d’Europa. Ma questa soluzione è politicamente irrealizzabile semplicemente perché Germania e Francia perseguono i loro interessi nazionalistici e non cederanno mai la loro sovranità a un organismo statale sovranazionale di cui non detengano il controllo pressoché totale.

 

Il progetto di Moneta Fiscale promosso da Micromega

In Italia e nell’eurozona permane la deflazione e, dopo la crisi del 2007-2008, lo sviluppo resta frenato o congelato. Se, nonostante il Quantitative Easing – mirato soprattutto alle banche (e, indirettamente, a diminuire i deficit pubblici degli stati dell’eurozona) –, la BCE non riesce a fornire sufficiente liquidità e moneta all’economia reale, allora è lo stato che può e deve intervenire. Per reflazionare e fare ripartire l’economia è necessario che i governi introducano a livello nazionale monete complementari all’euro. E’ opportuno introdurre in particolare la Moneta Fiscale dal momento che questa può essere accettata universalmente a livello nazionale perché tutti i cittadini e ogni azienda sono tenuti a contribuire al fisco: quindi una moneta utile per “pagare le tasse” è potenzialmente appetibile e può facilmente complementare la moneta legale. Occorre però distinguere tra le diverse proposte di moneta fiscale: alcune infatti potrebbero essere difficilmente realizzabili, e altre possono essere erronee, ovvero potrebbero cioè ottenere risultati opposti a quelli che si sono proposti.

La moneta fiscale – la quale peraltro non è una moneta vera e propria, ma è un titolo pubblico molto liquido che, in sostanza, anticipa e rende subito spendibile il valore attualizzato delle future entrate fiscali – è un progetto efficace per uscire dalla crisi e rilanciare l’economia e l’occupazione. Infatti non genera deficit, e quindi non prevede l’uscita dall’euro: questa infatti provocherebbe quasi certamente una nuova grave crisi sociale, economica e istituzionale.

Micromega da tempo ha proposto, con il supporto del compianto Luciano Gallino, che il governo emetta decine di miliardi di Titoli di Sconto Fiscale che diano diritto ai loro possessori di ridurre i pagamenti dovuti alla pubblica amministrazione (fisco, contributi, tariffe, multe, ecc) dopo due/tre anni dalla loro emissione[1]. Il governo attribuirà i TSF gratuitamente (ripeto:gratuitamente, senza alcun corrispettivo) a famiglie e aziende e utilizzerà i TSF anche per i pagamenti della Pubblica Amministrazione. I TSF, esattamente come tutti gli altri titoli di stato, come i BOT e i BTP, possono essere ceduti immediatamente sul mercato finanziario – rivolgendosi facilmente a uno sportello bancario (fisico o virtuale, o presso le Poste – in cambio di euro.

Il meccanismo di mercato è questo: chi ha bisogno subito di soldi vende immediatamente sul mercato finanziario i TSF ricevuti gratuitamente dallo stato (supponiamo: 90 euro al mese in media per ogni famiglia); i compratori di TSF saranno quei soggetti (individui e aziende) che dispongono di liquidità in eccesso e che sono disposti ad acquistare questi titoli per pagare a scadenza meno tasse. I TSF verranno acquistati a sconto, e questo varrà presumibilmente al massimo pochi punti percentuali. Lo sconto sarà assai contenuto in considerazione del fatto che i TSF sono titoli a breve termine ultra-garantiti grazie alla loro utilizzabilità per conseguire sconti fiscali: tutti infatti sono tenuti a pagare le tasse, anche se lo stato fallisse sui suoi debiti. Grazie alla possibilità di convertire semplicemente i TSF in moneta legale, sul mercato reale dei prodotti e  servizi circoleranno gli euro, e non monete parallele di secondo o di terzo rango (ovvero poco accettate dal pubblico). Da anni l’ISTAT certifica che la propensione media al consumo delle famiglie italiane è intorno al 90% mentre la propensione al risparmio è intorno al 10%. Il trend è storico. L’effetto dell’emissione dei TSF sulla domanda sarà quindi immediato, e permetterà di uscire dalla “trappola della liquidità”. Se riparte la domanda, ripartono anche la produzione e gli investimenti, e quindi l’economia e l’occupazione.

Dopo due/tre anni dall’emissione, quando i TSF potranno essere utilizzati per pagare le tasse, il PIL sarà cresciuto in misura tale da compensare il valore dei TSF grazie all’aumento dei ricavi fiscali. L’idea è innovativa ed è apparentemente semplice ma efficace. Un report di Mediobanca Securities stima che l’introduzione della moneta fiscale farebbe raddoppiare l’incremento del PIL[2].

Tutto facile dunque? No, tutt’altro. Occorre sottolineare che la storia economica dimostra che molte monete parallele sono fallite (come i patacones argentini, che sono stati rigettati dal pubblico quando le banche hanno smesso di accettarli come monete convertibili in moneta legale, pesos e dollari). Alcune proposte, come quella di Yanis Varoufakis in Grecia, non sono mai effettivamente partite. Occorre quindi progettare con attenzione le caratteristiche di una moneta fiscale perché sia praticabile ed efficace, e possa rappresentare davvero una svolta decisiva per l’economia nazionale, e poi per quella degli altri paesi dell’eurozona.

 

Le altre diverse proposte di moneta fiscale.

Oltre al progetto di Moneta Fiscale pubblicato su Micromega, più recentemente in Italia sono stati avanzati altri progetti che si richiamano alla Moneta Fiscale. Uno è stato proposto dal prof. Gennaro Zezza sul blog di Grillo (tuttavia questo progetto non è stato poi accettato nel programma dei 5 Stelle)[3]. Un altro è stato avanzato da Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa, Stefano Sylos Labini su questa testata[4]. Su queste proposte – come del resto su quella originaria di Micromega – occorre aprire un dibattito critico serio, razionale e aperto.

A mio parere il progetto del prof. Gennaro Zezza avrebbe dei risultati diversi, se non opposti, da quello che si prefigge. Infatti Zezza propone:

  1. a) una moneta parallela all’euro, denominata in euro ma NON convertibile in moneta legale sui mercati finanziari. Ma una moneta non convertibile in euro sarebbe una moneta di secondo o terzo rango: difficilmente sarebbe accettata dal pubblico come mezzo di pagamento. Non essendo subito convertibile in euro presso un normale sportello bancario, subirebbe un forte sconto al momento dell’accettazione. Le banche inoltre contrasterebbero pesantemente l’iniziativa.
  2. b) La moneta di Zezza è utilizzabile subito per pagare in parte le tasse – per esempio il 20% dell’IVA o dell’IRPEF -. In questo modo provocherebbe però immediatamente un deficit fiscale di pari importo, ovvero un mancato incasso dello stato e metterebbe in allarme i mercati. Lo spread salirebbe subito alle stelle.

Risultato: aumento dello spread e del costo del debito. Considerate queste caratteristiche, a mio modesto parere la moneta fiscale proposta da Zezza non sarebbe praticabile. E se venisse lanciata potrebbe segnare l’immediata uscita dell’Italia dall’euro, cioè proprio l’effetto che si propone di evitare.

Considerazioni diverse, a mio parere, si possono e si devono fare per il progetto avanzato dai quattro autori dell’articolo “Uscire dalla crisi con la Moneta Fiscale”[5]. Essi propongono una moneta fiscale – i Certificati di Credito Fiscale con utilizzo differito – esplicitamente analoga a quella da loro stessi (insieme al sottoscritto) proposta a suo tempo su Micromega e sopra illustrata[6]. Tuttavia il progetto dei quattro autori avanza alcune modifiche sostanziali rispetto al progetto originario. Queste modifiche rendono purtroppo, almeno a mio parere, la nuova proposta per alcuni decisivi aspetti non concretamente realizzabile.

Infatti i proponenti affermano (l’evidenza in corsivo è dello scrivente): “Come si scambia la Moneta Fiscale? Il CCF (Certificato di Credito Fiscale) si scambia su un’unica piattaforma elettronica nazionale dove risiedono i conti di tutti gli operatori economici residenti nel Paese …. . Quando lo Stato assegna CCF a individui o imprese, ne accredita i rispettivi conti. I pagamenti e i trasferimenti di CCF hanno luogo attraverso l’addebito dei conti dei soggetti paganti e il contestuale accredito dei conti dei soggetti beneficiari, e il CCF diventa la moneta di regolamento delle transazioni eseguite sulla piattaforma. …. Sulla base di accordi volontariamente sottoscritti fra Stato, imprese, lavoratori, categorie di esercenti, agenti della distribuzione e aziende di pubblica utilità, o di prassi operative che si ritiene opportuno e conveniente adottare, gli operatori economici accettano pagamenti in CCF. . …..Nulla vieta, peraltro, che il CCF sia trattato non soltanto come strumento di pagamento, ma anche come asset finanziario. ….Tuttavia, ciò che la piattaforma unica rende possibile è il superamento della necessità (da noi stessi ipotizzata nelle prime versioni del progetto) di scambiare il CCF in euro prima di poterlo spendere. Tale previsione comportava un significativo ruolo degli intermediari finanziari, che avrebbe reso operativamente complessa e più incerta l’utilizzabilità dello strumento”.

Le mie osservazioni critiche sono le seguenti:

  1. La piattaforma extra-bancaria di pagamenti elettronici via CCF rende di fatto i CCF difficilmente convertibili in euro con il forte rischio che essi NON vengano universalmente accettati. Infatti, se – come è nella proposta originaria di Micromega – i CCF possono essere semplicemente convertiti in euro sul mercato finanziario grazie alla normale intermediazione bancaria, e se quindi poi nell’economia reale circolano gli euro, tutto più funzionare semplicemente e al meglio. L’euro è senza discussione alcuna una moneta che tutti accettano subito e più che volentieri. Al contrario, non è per nulla scontato che i CCF scambiati su una piattaforma alternativa extra-bancaria vengano accettati (volontariamente?!) come mezzo di pagamento. E comunque è evidente che il tasso di sconto rispetto all’euro dei CCF trattati sulla piattaforma parallela risulterebbe assai maggiore del tasso di sconto che si produrrebbe sul mercato finanziario, ovviamente assai più liquido. I CCF quindi alla fine risulterebbero svalutati di fronte all’euro.
  2. La piattaforma extrabancaria di pagamenti elettronici – che di fatto diventa un circuito monetario parallelo – genera una moneta di seconda rango (i CCF) rispetto all’euro che dovrebbe essere accettata “volontariamente” dalle aziende e dal pubblico. Realizzare la piattaforma di pagamenti elettronici, e poi attuare le intese “volontarie” per l’accettazione della moneta, comporterebbe però sforzi organizzativi, trattative e tempi lunghi per superare prevedibili incomprensioni e resistenze, e soprattutto avrebbe esiti incerti. Se si introducono circuiti paralleli di pagamento extra-bancari, tutto (nel migliore dei casi) si complica inutilmente.
  3. Non si comprende quale sia il vantaggio di tagliare fuori (o comunque emarginare) le banche dal nuovo circuito di pagamento proposto dagli autori. Sul piano politico e della politica economica progettare una nuova moneta nazionale senza il consenso e il coinvolgimento delle banche è quasi certamente illusorio e velleitario. Nessun governo adotterebbe una nuova moneta fiduciaria come i CCF senza – e anzi contro – le banche nazionali. Ricordiamo che i Patacones (moneta parallela argentina con valenza fiscale) persero immediatamente il loro valore quando le banche smisero di accettarli e vennero bruciati in piazza dalla folla inferocita.

In conclusione: a differenza del progetto esposto dal prof. Zezza, quello proposto dai quattro autori potrebbe essere sulla carta corretto, ma nella realtà sembra inutilmente complicato e alla fine impraticabile. Si può davvero escludere che un qualsiasi governo italiano adotti piattaforme e mezzi di pagamento completamente alternativi rispetto alla moneta ufficiale e al sistema bancario.

Per tutti questi motivi ritengo che la proposta originaria di moneta fiscale pubblicata su Micromega sia tuttora la più concreta e fattibile, e l’unica che abbia reali possibilità di successo. L’unica che potrebbe davvero portare l’Italia fuori dalla crisi: ma occorrerebbe che ci fosse un governo abbastanza intelligente, indipendente e coraggioso da adottarla.                 

 

[1]     Vedi eBook edito nel giugno 2015 da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall’austerità senza spaccare l’euro” a cura di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini, con la prefazione di Luciano Gallino.

[2]     Mediobanca Securities Country Update “Tide turns as recovery starts”, 17 November 2015

[3]     Vedi blog di Gennaro Zezza “Uscire dall’euro?”; e Amato, M., L. Fantacci, D.  B. Papadimitriou, e G. Zezza (2016), Going Forward from B to A? Proposals for the Eurozone Crisis, Levy Economics Institute of Bard College, May.

[4]     Economiaepolitica “Uscire dalla crisi con la Moneta Fiscale” di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa, Stefano Sylos Labini –  20 aprile 2017

[5]     Economiaepolitica “Uscire dalla crisi con la Moneta Fiscale” già citato

[6]     vedi eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita” già citato

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