Manovra 2019: problema di spread o di qualità?

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Political and social notes

Manovra 2019 | Spread e reazione dei mercati possono compromettere l’efficacia della manovra economica italiana? Felice Roberto Pizzuti contesta questa nuova tesi di Blanchard e Zettelmeyer e spiega che quello che conta non è lo spread ma la qualità delle misure previste.

1.Nel dibattito sulla Nota aggiuntiva al documento di economia e finanza (Nadef) 2018 si evidenziano contributi anche autorevoli che, tuttavia, rischiano di aumentare gli elementi di confusione che lo caratterizzano. La manovra, anche per come viene presentata dal Governo nelle trattative con l’Unione europea (UE), presenta delle criticità che ne pregiudicano l’efficacia e, nel suo insieme, mostra di non avere la visione di lungo respiro necessaria ad affrontare i problemi organici della nostra economia, approccio che sarebbe particolarmente congruo all’inizio di una legislatura “di cambiamento”. Tuttavia, le critiche che la manovra merita non dovrebbero distogliere l’attenzione dalla maggiore pericolosità insita in altri ingiustificati rilievi che le sono rivolti con i quali si cerca di riproporre la stessa concezione economica della “austerità espansiva” già rivelatasi molto dannosa non solo per il nostro paese, ma per la stessa costruzione europea la quale, peraltro, è resa sempre più necessaria dall’evoluzione degli equilibri economici e politici globali.

2. In un articolo tradotto sulla Voce.Info del 27 ottobre[1], O. Blanchard (tra l’altro, ex capo economista del FMI) e J. Zettelmeyer (tra l’altro, ex direttore generale per le politiche economiche del Ministero tedesco degli Affari economici e l’energia), attualmente entrambi membri del Peterson Institute for International Economics, sostengono che l’obiettivo della crescita del Pil perseguito dal governo italiano con l’aumento del deficit di bilancio al 2,4% non sarà raggiunto poiché l’intento espansivo sarà più che compensato dall’effetto contrario derivante dall’aumento dei tassi d’interesse provocato dalla stessa manovra.

I due autori (B&Z) concordano che “Nonostante ”strette fiscali espansive” e “espansioni fiscali restrittive” siano teoricamente possibili, una politica fiscale espansiva generalmente aumenta la produzione e una restrittiva la rallenta – anche in paesi con un alto debito pubblico”. L’affermazione (almeno la parte successiva alla virgola) può sembrare scontata, ma va considerato che, nei due decenni a cavallo tra il vecchio e il nuovo secolo, molti economisti appartenenti al mainstram del pensiero economico e istituzioni economiche internazionali come il Fondo Monetario Internazionale (FMI), hanno sostenuto e applicato la tesi che le politiche di consolidamento fiscale (cioè di riduzione del debito) favorirebbero la crescita. Secondo questa posizione, che si riassume nell’ossimoro della “contrazione o austerità espansiva”, l’effetto restrittivo esercitato dalla riduzione della spesa pubblica e dall’aumento del saldo dei bilanci pubblici sarebbe più che compensato dal loro stimolo espansivo sulla spesa privata, con il risultato complessivo di favorire la crescita[2]. L’effetto espansivo delle politiche di “austerità” era considerato tanto più efficace quanto maggiore era elevato il debito pubblico.[3] Successivamente, una consistente serie di studi analitici ed empirici ha dimostrato l’inconsistenza di queste posizioni. Molti autori (incluso Blanchard) e lo stesso FMI che le avevano accreditate hanno dovuto ricredersi e prendere atto: che ridurre la spesa pubblica implica un effetto negativo sulla crescita – specialmente in condizioni di recessione – e genera finanche l’effetto perverso di aumentare il rapporto debito/Pil (perché la riduzione in valore assoluto del debito genera un riduzione del Pil di entità maggiore); che l’esito delle politiche di risanamento dei bilanci pubblici è tanto più controproducente se vengono applicate in paesi con un rapporto debito pubblico/Pil elevato, cioè proprio quelli cui si raccomandavano con maggior forza le politiche di “austerità”[4].

A riprova di questo ravvedimento, nel recentissimo articolo sopra menzionato, B&Z ricordano che la politica fiscale restrittiva attuata dal governo Monti nel 2012 (che includeva la riforma Fornero in materia previdenziale), di entità pari al 3% del Pil – inversamente alla pretesa che essa avrebbe avuto effetti positivi sulla crescita del reddito stimolati da un miglioramento della fiducia nella nostra economia (la paradossale “austerità espansiva”) – rallentò la produzione in Italia di quasi il 2%. In effetti, sottolineano B&Z, nel 2012, il miglioramento della fiducia fu generato essenzialmente dalla ferma dichiarazione di Mario Draghi in difesa dell’euro contro la speculazione (il famoso discorso del “whatever it takes”[5]), mentre la politica fiscale restrittiva del governo Monti generò solo effetti negativi sul Pil.

Tuttavia, secondo B&Z, la politica fiscale espansiva del governo attuale avrebbe conseguenze complessivamente negative essenzialmente perché genererebbe un aumento dei tassi d’interesse, una conseguente riduzione degli investimenti e dei consumi privati e una successiva contrazione del Pil più che compensativa dell’effetto espansivo derivante dal disavanzo di bilancio.

Peraltro, a questo esito finale negativo della politica governativa contribuirebbero altri due suoi aspetti: lo “sprezzo” delle regole europee, che provocherebbe reazioni negative anche da parte dei mercati; la composizione qualitativa delle sue misure specifiche che avrebbero una scarsa capacità espansiva. Ma l’effetto complessivamente restrittivo della manovra dipenderebbe dall’aver essa indotto il rialzo dello spread; nel ragionamento di B&Z, l’aumento da metà aprile di 160 punti base dei rendimenti dei titoli pubblici italiani: a) discenderebbe interamente dalla manovra governativa; b) si trasferirebbe in pari misura sul costo di finanziamento del sistema bancario e della sua clientela a detrimento degli investimenti.

Queste due ultime assunzioni sono importanti nel ragionamento di B&Z, ma è significativo che essi stessi ne attenuino la validità rilevando la presenza anche di altri nessi causali: “a essere onesti, la crescita dei rendimenti [dei titoli pubblici] riflette un insieme più vasto di preoccupazioni, tra cui i dubbi sulla volontà del governo di restare nell’interno dell’Eurozona” (dunque, si può chiosare, l’aumento dello spread non sarebbe imputabile interamente alla Nadef). Oppure: “Anche gli indicatori d’incertezza basati sulle notizie sono cresciuti e ciò può scoraggiare gli investimenti anche più dell’aumento del costo del capitale”(dunque, lo scoraggiamento dell’attività economica avrebbe anche altre cause oltre l’aumento del tasso d’interesse). Dunque, se il calo della crescita ipotizzato da B&Z non dipende solo dall’aumento dello spread e se quest’ultimo non dipende solo dalla manovra governativa, le responsabilità che B&Z attribuiscono a quest’ultima da vanno meglio qualificate.

Nella valutazione quantitativa degli effetti della manovra, B&Z adottano un moltiplicatore pari a 1,5 per determinare l’effetto espansivo del maggior disavanzo deciso dal governo sul Pil (pari a 0,8%) che, quindi, sarebbe pari a 1,5 x 0,8 = 1,20. D’altro lato, ritengono pari a 0,8 il moltiplicatore degli effetti negativi imputabili ai 160 punti base di aumento del rendimento dei titoli pubblici cosicché il loro impatto contrario sulla crescita del Pil sarebbe pari a 0,8 x 1,6 = 1,28. Nell’insieme, l’effetto della manovra espansiva sarebbe negativo per un valore pari a quasi lo 0,1% del Pil.

I due economisti nell’articolo – data anche la sua brevità – non entrano nel dettaglio del modello econometrico, della stima delle conseguenze attribuite alla manovra governativa e, in particolare, dei suoi effetti complessivamente negativi sulla crescita. Tuttavia, i risultati della loro quantificazione si prestano ad alcune considerazioni.

E’ noto che una politica fiscale espansiva può stimolare un aumento dei tassi d’interesse e, dunque, “spiazzare” – cioè contenere – le attività economiche private, riducendo così l’effetto positivo iniziale della manovra sul reddito; tuttavia, è difficile immaginare che l’entità dello “spiazzamento” possa arrivare al punto di superare l’effetto espansivo; se così fosse, ci troveremmo di fronte ad un nuovo paradosso, la “espansione recessiva”, che avrebbe implicazioni sul piano analitico e su quello empirico non meno imbarazzanti[6] del suo reciproco cioè della “austerità espansiva” che, come si è visto, ha trovato molte smentite nella letteratura economica e oggi viene ritenuto anomalo anche da B&Z. Peraltro, le stesse notazioni dei due autori poco sopra citate – quando ammettono che il calo degli investimenti da loro immaginato non dipende solo dall’aumento dello spread che, a sua volta, non dipende solo dalla manovra governativa, – affievoliscono lo specifico effetto di spiazzamento attribuibile al disavanzo di bilancio previsto nella Nadef. Inoltre, è parimenti noto che l’entità di un possibile “spiazzamento” (comunque di entità normalmente inferiore all’effetto positivo della manovra fiscale) dipende dalla modalità più o meno “accomodante” della politica monetaria (cioè dalla maggiore o minore offerta di moneta). Ma in presenza di elevatissima offerta di moneta – come quella effettivamente praticata dalle politiche pluriennali di quantitative easing seguite anche della Banca centrale europea[7]– i tassi d’interesse non dovrebbero aumentare significativamente (infatti sono stati addirittura negativi), e meno che mai fino a ridurre le attività private in misura tale da più che compensare lo stimolo positivo sul Pil della politica fiscale espansiva. Se ciò accadesse, come B&Z indicano, occorrerebbe trovare spiegazioni diverse da quelle riconducibili alle relazioni normalmente esistenti tra politiche fiscali espansive e crescita e al possibile spiazzamento esercitato dalle prime sulla seconda.

3.Con riguardo a tali diverse spiegazioni, si è visto che tra le cause d’inefficacia della manovra, B&Z indicano anche lo “sprezzo” per le regole europee da parte del governo e la scarsa capacità espansiva delle misure specifiche.

Quanto al primo aspetto, da un lato, le modalità plateali della trasgressione dei vincoli europei manifestate da esponenti del governo italiano non rafforzano il successo delle pur fondate critiche verso quei vincoli, ma alimentano reazioni piccate da parte di coloro che li difendono e che tendono a spostare il confronto dal merito delle regole al principio che vanno rispettate. Si aggiunga che nelle trattative con Bruxelles, gli esponenti del governo italiano spesso tradiscono motivazioni di consenso elettorale che li portano a cavalcare in modo sbrigativo il crescente fastidio popolare suscitato, non solo in Italia, dalle dannose politiche dettate dall’UE. Ma nel confronto con la Commissione europea e – alla lunga – anche nell’opinione pubblica, l’opportunismo e il semplicismo ravvisabili nelle critiche alle regole europee, in primo luogo tendono a diventare controproducenti, poi peggiorano il contesto nel quale la manovra governativa dovrebbe esercitare i suoi effetti espansivi e – non da ultimo – alimentano pericolosamente i nazionalismi e il loro intrinseco antieuropeismo.

D’altro lato, il pervicace attaccamento da parte della classe dirigente dell’UE a politiche che hanno penalizzato la dinamica e la distribuzione delle performance economico-sociali nei paesi membri, generando crescente disaffezione nei loro cittadini verso il progetto unitario, rimane la causa prima del peggioramento del contesto e delle prospettive di operatività dei mercati; non è strano che essi possano reagire negativamente anche verso manovre espansive se queste risultano isolate e messe all’indice.

Nell’insieme, la trasgressione ostentata da parte del Governo italiano ai vincoli posti dalla Commissione europea contribuisce ad alimentare un contesto meno favorevole all’azione espansiva del disavanzo di bilancio proposto nella Nadef; ciò non di meno, quei vincoli restrittivi e la visione che li ispira rimangono la causa originaria di tale esito e, prima ancora, del rallentamento della crescita non solo in Italia, ma nella media dell’UE.

4.L’impatto della manovra sulla crescita dipende poi dalla sua composizione qualitativa cioè dalla capacità espansiva dei suoi progetti che, in effetti, suscita dei dubbi e andrà verificata in base alle loro concrete modalità attuative e ai tempi di realizzazione. Ma già adesso si può notare che la carenza di investimenti pubblici e di stimoli a quelli privati non aiuta l’effetto espansivo della manovra, costituendo un limite serio della manovra.

Le principali voci di spesa messe in bilancio sono la sterilizzazione degli aumenti delle imposte indirette previsti dalle clausole di salvaguardia (12,4 mld), l’introduzione del reddito di cittadinanza (9 mld) e la cosiddetta “Quota 100” cioè la possibilità di anticipare l’età di pensione a 62 anni, ma con 38 annualità contributive (6,7 mld).

La prima voce non è una novità di questo governo, ma si trascina da diversi anni a discapito delle possibilità di manovra della politica economica. Ragionando in un’ottica più strutturale e di lungo periodo, considerando il persistere di tendenze deflazionistiche che non favoriscono né la crescita né i conti pubblici, andrebbe valutata la possibilità (pur nella consapevolezza delle difficoltà attuative) di riconsiderare selettivamente le aliquote IVA, distinguendo tra le tipologie di beni imponibili anche in base a criteri equitativi e prevedendo misure di compensazione fiscale per i redditi più bassi.

L’introduzione del reddito di cittadinanza – per la cui assenza siamo stati a lungo richiamati dalla Commissione europea, essendo con la Grecia i soli paesi dell’Unione a non avere un istituto assistenziale di questo tipo – sembra incontrare difficoltà più per le ipotizzate modalità d’attuazione (rilevanti per la selezione dei fruitori delle prestazioni ) che per la spesa; infatti, molti dei suoi critici sarebbero disposti ad aumentare, in alternativa, il finanziamento del Reddito d’inclusione istituito l’anno scorso. In ogni caso, al pari di “Quota 100”, il concretizzarsi – e in che misura – di questa voce di spesa è affidata a provvedimenti legislativi futuri poiché la Legge di Bilancio si limita a istituire due fondi cui si potrà attingere, comunque ad anno nuovo inoltrato e con onere corrispondentemente ridotto.

“Quota 100” è un provvedimento che ha il pregio di ampliare i margini di scelta in un delicato passaggio di vita e nella misura in cui verrà utilizzato potrà anche favorire un ringiovanimento della forza lavoro. Tuttavia – come conferma l’esperienza degli 80 euro concessi nella passata legislatura, che pure essendo stati concessi a fruitori di redditi medio-bassi sono stati più risparmiati che spesi, – la possibilità di anticipare il pensionamento potrà essere praticata da una parte limitata dei potenziali fruitori. Infatti, lasciare prima il lavoro implica non solo anticipare il normale calo di reddito dovuto al pensionamento, ma di accentuarlo riducendo l’assegno pensionistico per l’anticipo del collocamento a riposo. Un lavoratore con una retribuzione di 2000 euro netti e una storia contributiva che gli consentisse di raggiungere a 67 anni un tasso di sostituzione del 75%, a quell’età vedrebbe già calare il suo reddito a 1500 euro; ritirandosi a 62 anni, non solo anticiperebbe di 5 anni questo calo di reddito, ma lo accentuerebbe di circa un ulteriore 15%, riducendo la pensione per il resto della sua vita a 1275 euro. E’ ragionevole pensare che le adesioni a “Quota 100” potranno non interessare a una parte consistente della platea potenziale. Da un punto di vista macroeconomico, ciò significa anche che questo provvedimento, da un lato, comporta il paradosso di sovradimensionare il disavanzo per il quale ci si sta confrontando aspramente con l’EU; d’altro lato, avrà un effetto espansivo corrispondentemente inferiore. Per rimanere nel settore previdenziale, va invece rilevato che la Nadef non si occupa affatto di un grave problema economico-sociale che sta crescendo nel nostro paese; quasi la metà dei lavoratori dipendenti entrati nel mercato del lavoro dopo il 1995, avendo finora avuto retribuzioni saltuarie e basse, matureranno una pensione del tutto inadeguata[8]. Iniziare a disinnescare questa “bomba sociale” in formazione, iniettando nei giovani ed ex giovani di oggi qualche rassicurazione per il loro futuro, riconoscendo contributi figurativi per i periodi di disoccupazione provatamente involontaria, sarebbe un contributo non solo alla loro stabilità di vita, ma anche alla generale propensione sia a consumare sia ad investire; un provvedimento di questo tipo non avrebbe alcun effetto negativo sul bilancio pubblico di breve e medio periodo, ma ne avrebbe di positivi sulle tendenze macroeconomiche e sulla stessa possibilità di finanziare in futuro pensioni più adeguate.

5. Per riassumere, Blanchard e Zettelmeyer – richiamando la stessa esperienza italiana delle politiche del “rigore” attuate dal governo Monti – riconoscono che, “generalmente”, anche in un paese con elevato debito pubblico, le politiche fiscali espansive fanno aumentare la crescita e quelle restrittive la deprimono; ciò nonostante, con riferimento alla situazione italiana attuale, ripropongono la logica della “austerità espansiva”, sostenendo che oggi nel nostro paese si verificherebbe il suo reciproco, cioè la “espansione fiscale restrittiva”. Secondo i due autori, la Nadef 2018 avrebbe conseguenze complessivamente restrittive poiché l’effetto espansivo generato dal disavanzo di bilancio per l’anno prossimo, pari al 2,4%, sarebbe più che compensato dallo spiazzamento delle attività private esercitato dall’aumento dei tassi d’interesse generato dalla stessa manovra. Tuttavia, la difformità tra l’esito positivo sulla crescita “generalmente” atteso da una politica fiscale espansiva e quello negativo attribuito specificamente alla Nadef da B&Z non è adeguatamente spiegata. La giustificazione data dai due autori si basa sulle assunzioni che l’aumento del differenziale di rendimento tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi intervenuto negli ultimi mesi sarebbe attribuibile interamente alla manovra e che il calo stimato per la crescita dipenderebbe interamente dall’aumento dello spread. Ma, come si è notato, si tratta di ipotesi cui gli stessi autori attribuiscono una valenza parziale. In ogni caso, rimane indeterminata la giustificazione dell’uso di moltiplicatori tali da invertire l’effetto “generalmente” atteso da una manovra espansiva. B&Z ripropongono assunzioni analitiche e valutazioni empiriche del tipo di quelle che nel recente passato hanno indotto erroneamente ad accreditare effetti espansivi alle politiche di consolidamento fiscale, giustificando in tal modo politiche che là dove sono state seguite con maggior “rigore”, come nell’UE, hanno anche generato performance economiche particolarmente insoddisfacenti e conseguenze socio-politiche preoccupanti. C’è il rischio – favorito dalla instabilità degli equilibri politici nei paesi dell’UE e dall’avvicinarsi delle elezioni europee – che un rinnovato accreditamento della visione della “austerità espansiva” – questa volta nella versione della “espansione restrittiva” – stimoli nuovamente posizioni e contrapposizioni come quelle che si manifestarono in occasione della “questione greca” che già allora non si limitavano a come affrontare i problemi di quel paese.

C’è da sperare (ma, purtroppo, solo di speranza si tratta) che neanche i più fondamentalisti assertori della costruzione europea fondata sulla “austerità espansiva” e sul suo valore “etico-educativo” possano pensare a cuor leggero di replicare il comportamento avuto con la Grecia, applicandolo oggi all’Italia, le cui dimensioni economiche e i cui intrecci produttivi e finanziari con l’Europa sono di gran lunga più complessi e strutturali. Questa volta sarebbe molto più forte il rischio di porre fine all’Unione Europea, e ciò avverrebbe con modalità ed esiti imprevedibili.

Purtroppo, prospettive di questo tipo non possono essere escluse, ma sarebbe del tutto sproporzionato considerarle strettamente legate al disavanzo del bilancio pubblico del 2,4% programmato dal governo italiano per il 2019. Invece, queste prospettive devono far riflettere sullo stato di deterioramento del processo di costruzione europea e sulle sue contraddizioni; tra le quali c’è anche l’incapacità di emanciparsi dal deleterio connubio tra fondamentalismo di mercato e idiosincrasie nazionali elevate a principi etici che ha partorito anche ossimori concettuali come la “austerità espansiva” e la “espansione restrittiva”.

In conclusione, nella politica del governo che si sostanzia nella proposta della Nadef 2018 si evidenziano elementi di criticità ravvisabili: nella limitata capacità espansiva dei progetti che specificamente la compongono; in una carenza nella visione di lungo periodo dei problemi del nostro sistema economico; nelle modalità seguite nelle trattative con l’UE che non aiutano a superare i problemi posti dalle sue regole controproducenti. Ma se si criticasse la manovra economica del governo non tanto e non solo per i suoi limiti effettivi – alcuni dei quali sono stati richiamati – ma si accettasse di cavalcare strumentalmente o anche solo di sottovalutare la riproposizione della visione della “austerità espansiva”/”espansione restrittiva”, che ha già mostrato i suoi effetti perversi, si indurrebbero risultati strutturalmente peggiori. Si pregiudicherebbero ulteriormente la dinamica degli equilibri economico-sociali del nostro paese e le possibilità già incrinate di portare a compimento la costruzione europea che è resa sempre più necessaria dalla rapida evoluzione degli equilibri geopolitici mondiali successivi alla globalizzazione dei mercati.

*Sapienza Università di Roma

Riferimenti bibliografici

Beqiraj e M. Tancioni, 2015, Il consolidamento fiscale può stimolare la crescita riducendo il rischio di default e i tassi d’interesse? Il caso della periferia dell’Eurozona, in F. R. Pizzuti (a cura di), 2015

Blanchard e J. Zettelmeyer, 2018, La manovra italiana, un caso di espansione fiscale restrittiva?, Voce.Info del 27 ottobre. La versione originale The Italian Budget: A case of Contractionary fiscal Expansion? è stata pubblicata sul sito Piie-Peterson Institute for International Economics, October 25, 2018

M. Nuti, 2015, L’inconsistenza del del “consolidamento fiscale espansivo: la revisione dei moltiplicatori fiscali, in F.R.Pizzuti (a cura di) 2015

R. Pizzuti (a cura di), 2015, Il Rapporto sullo stato sociale 2015, Simone editore, Napoli

R. Pizzuti, 2018, Le riforme del mercato del lavoro e della previdenza introdotte dagli Anni ’90 stanno generando una “bomba sociale”, in Economia e Politica, Rivista online di critica della politica economica, 31 gennaio, www.economiaepolitica.it/

C.M. Reinhart e K.S- Rogoff, 2010, Growth in a Time of Debt, NBER Working Papaers, n. 15639, January

[1] “La manovra italiana, un caso di espansione fiscale restrittiva?”. La versione originale “The Italian Budget: A case of Contractionary fiscal Expansion?” è stata pubblicata sul sito Piie-Peterson Institute for International Economics, October 25, 2018

[2] Con riferimento a quanto si dirà successivamente, si potrebbe dire che, secondo quella tesi, la politica fiscale restrittiva, dopo l’iniziale effetto negativo sul Pil, provocherebbe uno “spiazzamento” al contrario – cioè con effetto positivo sul Pil – di entità superiore, generando un’azione complessivamente positiva sulla crescita.

[3] In particolare, Reinhart, C. M. e Rogoff, K. S. in uno studio del 2010 ( Growth in a Time of Debt, «NBER Working Papers», n. 15639, gennaio), non solo ribadivano gli effetti negativi sulla crescita esercitati dal debito pubblico, ma arrivavano a stabilire che quando quest’ultimo supera il 90% del Pil, i tassi di crescita si riducono considerevolmente. Il superamento della soglia del 90% da parte del rapporto debito/Pil diventava dunque la giustificazione “oggettiva” delle politiche di “austerità”.

[4] Per un approfondimento di questo dibattito si rimanda al capitolo 1 di F. R. Pizzuti (a cura di), Il Rapporto sullo stato sociale 2015, Simone editore, in particolare ai contributi di D. M. Nuti (sezione 1.2) e di E. Beqiraj e M. Tancioni (sezione 1.3)

[5] Il discorso fu tenuto dal Presidente della BCE Mario Draghi a Londra il 26 luglio 2012. La frase cruciale fu “Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it twill be enough “ (Nell’ambito del nostro mandato, la BCE è pronta a fare tutto il necessario per sostenere l’euro. E credetemi, sarà sufficiente”).

[6] Nei termini analitici descrivibili con il modello IS-LM, a seguito dello spostamento in alto della IS determinato da una politica fiscale espansiva (attuata, ad esempio, con un disavanzo del bilancio pubblico), perché il nuovo equilibrio si verifichi in corrispondenza di un valore inferiore del reddito (come ipotizzato da B&Z), si dovrebbe immaginare una LM inclinata non positivamente (il caso generale), e nemmeno in verticale (il caso “classico” che descrive l’inefficacia della politica fiscale sostenuta dalle posizioni liberiste estreme), ma addirittura negativamente, il che sarebbe analiticamente imbarazzante (oltre che difforme dalla generalità delle verifiche empiriche disponibili).

[7] L’offerta di moneta da parte delle banche centrali è stata così massiccia e protratta nel tempo da generare anche diffusi timori che, a fronte di una crescita del reddito reale relativamente modesta, abbia favorito la ricostituzione di “bolle finanziarie” e motivi di crisi come quelli esplosi nel 2007-2008 che hanno provocato recessione e tassi d’interesse reali negativi.

[8] Per un’analisi di questo problema si rimanda a F. R. Pizzuti, Le riforme del mercato del lavoro e della previdenza introdotte dagli Anni ’90 stanno generando una “bomba sociale”, in Economia e Politica, Rivista online di critica della politica economica, 31 gennaio 2018, www.economiaepolitica.it/

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