Rapporto debito-Pil e moltiplicatori fiscali: il caso della manovra italiana

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The estimations of the value of fiscal multipliers are an issue strongly debated by macroeconomic literature. Given the goal to reduce the debt/GDP ratio, this article shows the linkage between this ratio and the value of fiscal multipliers, emphasising that the composition of the recent Italian fiscal measures also matters.

Debito pubblico italiano 2019 | Realfonzo e Viscione hanno mostrato su questa rivista come la manovra economica varata dal governo sia destinata ad avere un impatto molto modesto sulla crescita perchè trascura investimenti pubblici e politiche industriali in favore soprattutto di trasferimenti ed, inoltre, hanno dimostrato che una diversa composizione avrebbe sortito un effetto espansivo maggiore. In questo articolo si stimano gli effetti della manovra sul debito pubblico e si giunge alla conclusione che l’attuale composizione della manovra non farà che aumentare il rapporto debito – Pil. Al contrario, grazie alla maggiore entità dei moltiplicatori degli investimenti, una manovra orientata alla crescita come quella proposta da Realfonzo e Viscione avrebbe avuto l’effetto di ridurre il rapporto tra debito pubblico e Pil.

 Uno degli indicatori più utilizzati per studiare lo stato di salute di una economia è il valore del rapporto debito pubblico/Pil. Alla luce dei recenti studi teorici ed empirici sul tema e dato l’obiettivo di riduzione di tale rapporto, proponiamo un’analisi della relazione tra rapporto debito/Pil ed entità del moltiplicatore fiscale. Prendendo come riferimento la recente manovra di politica fiscale varata dall’attuale governo italiano, si cercherà di mostrare come la composizione di quest’ultima sia rilevante ai fini del raggiungimento dell’obiettivo prefissato.

1.Rapporto debito/Pil e valore del moltiplicatore fiscale

Partiamo da una domanda puramente teorica: come varia nel breve periodo il rapporto debito/Pil in seguito a interventi di politica fiscale? Un contributo di Nuti (2013) ha recentemente mostrato come, partendo da una situazione in cui non è prevista alcuna misura di aggiustamento fiscale, tale rapporto cresca ogniqualvolta si effettui una misura di taglio della spesa pubblica e/o aumento delle tasse in presenza di un moltiplicatore fiscale di entità superiore a quella dell’inverso del rapporto stesso [1]. Apportando una leggera modifica alla prova analitica appena menzionata [2], possiamo vedere come una diminuzione del rapporto debito/Pil si ottenga per due possibili casi partendo dall’equazione (1)

∆(D/Y)=d%def ((1/d)-m)                                        (1)

dove ∆  è la variazione del termine in parentesi, D il debito pubblico, Y il Pil, d il rapporto debito/Pil, %def il deficit pubblico (al lordo degli interessi sul debito pregresso) in percentuale del Pil, e m il valore del moltiplicatore fiscale. Poiché d è un valore sempre positivo, il rapporto debito/Pil si riduce se

  1. { %def>0 ; m>1/d       oppure       2. { %def<0 ; m<1/d

Il caso 1 indica come una diminuzione del rapporto debito/Pil sia ottenibile mediante il conseguimento di un deficit complessivo positivo quando il moltiplicatore fiscale è superiore all’inverso del rapporto debito/Pil. Il caso 2 segnala la possibilità di far diminuire il rapporto mediante il conseguimento di un surplus complessivo, a patto che il moltiplicatore sia minore dell’inverso del rapporto debito/Pil.

È importante notare come il valore del moltiplicatore fiscale sia, in questo esempio stilizzato, un valore dato indipendentemente dalla composizione della spesa. Tuttavia, per dato rapporto debito/Pil iniziale e ammontare complessivo di spesa pianificato, è possibile ottenere un moltiplicatore finale più o meno elevato a seconda di come tale spesa venga ripartita per tipologie di impiego caratterizzate da moltiplicatori differenti. Si nota, infatti, che una volta conosciuta la ripartizione tra le varie categorie di impieghi del deficit complessivo realizzabile, non è necessario conoscere l’ammontare complessivo del deficit finale e degli importi specifici destinati alle singole voci di spesa. Come mostrato dall’equazione (2) il moltiplicatore finale m è una media ponderata dei singoli moltiplicatori con pesi pari alla quota del deficit destinata al particolare impiego (a, b, …,n <1):

m=(m1*a*%def+m2*b*%def)/(%def)=m1*a+m2*b      (2)        

Ecco che, a fronte di un identico ammontare complessivo del deficit, manovre con differente composizione possono avere un impatto molto diverso sia sulla crescita del Pil che del rapporto debito/Pil.

A questo punto, una volta data una intuizione di matrice teorica, è opportuno cercare di capire in primo luogo quali siano in letteratura i valori del moltiplicatore fiscale stimati negli ultimi anni, e in secondo luogo se e come sia possibile realizzare mediante decisioni di politica fiscale la condizione più favorevole, ossia quella nella quale il moltiplicatore è caratterizzato da un valore sufficientemente elevato e tale da far cadere il rapporto debito/Pil.

2. Il valore del moltiplicatore fiscale nella recente letteratura empirica

Quello relativo all’efficacia della politica fiscale e quindi al valore del moltiplicatore è stato, ed è tutt’ora, un argomento molto discusso, che oltre a riguardare la letteratura teorica è anche al centro di un ampio dibattito sul fronte empirico.

Sotto un profilo teorico la maggior parte delle stime realizzate nell’ultimo decennio derivano da simulazioni dei più recenti modelli economici, ossia i modelli New-Keynesian dynamic stochastic general equilibruim (NK-DSGE). Si tratta di simulazioni che tendono a fornire una gamma molto ampia di valori per il moltiplicatore fiscale, i quali tendono a variare a seconda delle ipotesi introdotte nel modello. In generale, tale approccio presenta una tendenza a stimare un moltiplicatore fiscale minore dell’unità data la presenza di alcune assunzioni, come per esempio la validità dell’ipotesi di equivalenza ricardiana, le quali descrivono un comportamento degli agenti economici tale da compensare, seppur solo parzialmente, l’impulso di politica fiscale. Per esempio, Hall (2009), utilizzando un modello ‘small scale NK-DSGE’, afferma che l’aumento della spesa pubblica di una unità determina un incremento del Pil pari a 0.9 unità. Solo con l’introduzione di ipotesi aggiuntive circa il comportamento degli agenti economici e circa l’interazione tra politica monetaria e politica fiscale, ossia ipotesi che permettono di ottenere un minor effetto di spiazzamento sulle componenti della spesa privata (consumi e investimenti) a fronte di un’espansione di politica fiscale, si ottengono valori del moltiplicatore fiscale maggiori dell’unità. A tal proposito, descrivendo le preferenze del consumatore con una funzione di utilità non separabile nel consumo e nel tempo libero, Christiano et al. (2011) stimano un moltiplicatore fiscale pari a 1.2; la presenza di consumatori non razionali detti non-ricardian consumers permette a Furceri e Mourogane (2012) e a Forni et al. (2007) di definire un moltiplicatore fiscale approssimativamente pari a 1.3. Infine, assumendo che l’autorità di politica monetaria fissi i tassi di interesse prossimi allo zero (zero lower bound) e, quindi, non reagisca a shocks di politica fiscale il valore del moltiplicatore fiscale proposto da Hall (2009) aumenta di una unità rispetto a quello sopra riportato e Christiano et al. (2011) affermano che politiche fiscali espansive sono caratterizzate da un effetto moltiplicativo che oscilla tra 3.7 e 4.

Da un punto di vista empirico, tecnica econometrica più utilizzata dalla letteratura contemporanea è rappresentata dai modelli structural VAR, che si basano sull’identificazione di shocks esogeni di politica fiscale. Applicando tale metodologia, sebbene in generale si riscontri che shocks positivi di politica fiscale determinano un incremento dell’output che segue un andamento hump-shaped, i valori delle stime che ne derivano divergono tra loro. Per esempio, Bilbiie et al. (2008) stimano un fiscal multiplier pari a 0.94; Burriel et al. (2010), invece, riconoscono l’esistenza di un moltiplicatore d’impatto pari a 0.75 per l’Unione Monetaria Europea e a 0.76 per gli USA; infine Ramey (2011) ammette l’esistenza di un moltiplicatore fiscale prossimo all’unità per gli Stati Uniti. Inoltre, distinguendo gli effetti moltiplicativi associati alle due principali componenti di spesa pubblica (consumi e investimenti), Pappa (2009) afferma che i consumi pubblici sembrano essere più efficaci nello stimolare il Pil, il che è in contrasto con le conclusioni tratte da Perotti (2004), il quale propone 1.47 e 1.00 come moltiplicatori dell’investimento pubblico e del consumo rispettivamente. Infine, Blanchard e Perotti (2002), stimando moltiplicatori pari a 0.84 e a 0.7 per politiche fiscali dal lato la spesa pubblica e delle imposte rispettivamente, concludono che le prime sono caratterizzate da una maggiore efficienza rispetto alle seconde. Un risultato simile è confermato anche da Caldara e Kamps (2017), mentre tale visione sembra non essere condivisa da Romer e Romer (2010) e da Mertenz e Ravn (2011; 2013), i quali riconoscono che un taglio delle imposte genera un maggior effetto moltiplicativo rispetto ad un aumento della spesa pubblica.

Sulla base di quanto appena esposto si può notare come sia per i modelli di stampo teorico che nel caso della letteratura empirica sembra non esistere un consenso su quelli che dovrebbero essere gli effetti sul Pil derivanti dalla realizzazione di una politica fiscale discrezionale. Poiché per il raggiungimento dell’obiettivo primario di questo lavoro, ossia il confronto tra il valore del moltiplicatore fiscale e del rapporto debito pubblico/Pil, è necessario avere un valore del moltiplicatore fiscale di riferimento. Si è, quindi, deciso di considerare i risultati derivanti dalla meta-analisi proposta da Gechert (2015), la quale, sebbene non fornisca il reale valore del moltiplicatore fiscale, ne individua un valore di riferimento tenendo conto delle diversità che caratterizzano i vari modelli di stima considerati. Ciò permette di evitare che i nostri risultati dipendano dalla scelta di specifici studi che presentano risultati divergenti a seconda del tipo di ipotesi, modelli, obiettivi caratterizzanti il processo di stima. L’enciclopedico lavoro di Gechert (2015), realizzato considerando 104 studi empirici sul valore del moltiplicatore fiscale per un totale di 1069 osservazioni disponibili, presenta una notevole quantità di risultati per i valori di riferimento dei moltiplicatori disaggregati. I valori qui considerati sono quelli riferiti al valore base del moltiplicatore riportati dall’autore nella prima colonna della tabella 4 (Gechert, 2015 p. 566). In particolare, non distinguendo tra le varie componenti di spesa e considerando la letteratura SVAR, emerge un valore medio per il moltiplicatore pari a 0.7274. Inoltre, si evidenzia che l’effetto sul Pil varia al variare della tipologia di spesa pubblica effettuata: agli investimenti pubblici e alle politiche di pubblico impiego è associato un moltiplicatore fiscale maggiore e pari a 1.3443 e di 0.9622; mentre nel caso di imposte e trasferimenti si ottiene un valore inferiore pari a 0.4066 e a 0.3422, rispettivamente.

3. Il caso italiano

Per quanto concerne il caso empirico rappresentato dalla economia italiana, la recente analisi ad opera di Paternesi Meloni e Stirati ha accuratamente dimostrato come, in retrospettiva, un Paese ad alto rapporto debito/Pil quale l’Italia avesse la quasi certezza di vedere un aumento del rapporto stesso a seguito delle misure di austerità sperimentate dalla nostra economia negli ultimi anni. Inoltre, Realfonzo e Viscione hanno mostrato come allo stato attuale la recente manovra economica varata dal governo abbia un impatto molto modesto sulla crescita in quanto predilige voci di spesa quali i trasferimenti. Una diversa ripartizione delle risorse a favore di voci di spesa diverse quali gli investimenti pubblici determinerebbe, infatti, un maggior effetto espansivo.

Cerchiamo ora di mostrare quali possano essere i suoi effetti sul rapporto debito/Pil. In questo senso, consideriamo che la manovra in questione determina un indebitamento netto di 11.7 miliardi (UPB, 2019). Assumiamo quindi implicitamente due punti. Uno, che la spesa per interessi sul debito pregresso, verosimilmente ad impatto estremamente limitato sulla domanda aggregata, non sia inclusa nello studio. Due, che l’indebitamento netto sia ripartito tra le principali misure proposte dal governo come riportato nella Tabella 1, nonostante sia ovviamente difficile discernere quali voci, tra le varie, siano effettivamente ivi conteggiate. Utilizzando l’equazione 2 si può quindi definire il valore del moltiplicatore totale a partire dai singoli moltiplicatori specifici e dalle quote (che sommano a uno) di spesa sul totale dell’indebitamento netto pianificato.

Tabella 1. Calcolo del moltiplicatore relativo all’indebitamento netto della manovra di bilancio.

MISURA FISCALE TIPOLOGIA IMPORTO

(mln €)

QUOTA MOLTIPLICATORE
Pensionamenti anticipati – Quota 100 Trasferimenti 3963,71 0,3388 0,3422
Reddito di cittadinanza Trasferimenti 4684,38 0,4003 0,3422
Rilancio investimenti Investimenti 1801,69 0,154 1,3443
Flat tax Tasse 360,34 0,0308 0,4066
Pubblico impiego Pubblico impiego 360,34 0,0308 0,9622
Spesa residua Generico 529,54 0,0453 0,7274
11700 1 0,535

Fonti: UPB (2019); Gechert (2015).

Il moltiplicatore, pertanto, è pari a 0,535 . Considerando un rapporto debito/Pil (d) per il 2018 pari al 131,1% (dati AMECO), al quale corrisponde un rapporto Pil/debito pari a 0,763, ed effettuando il confronto tra le due grandezze in questione si ha:

m=0,535 < 0,763=1/d

La manovra così come è stata congeniata non ha pertanto un impatto moltiplicativo sufficiente a far scendere il rapporto debito/Pil, dato che il moltiplicatore ad essa associato è minore del valore soglia individuato. Cerchiamo ora di capire cosa succederebbe se, come proposto da Realfonzo e Viscione, la manovra fosse cambiata, a saldi invariati. Si ipotizzi il dimezzamento delle risorse destinate a flat-tax, reddito di cittadinanza e quota 100, e l’utilizzo dei proventi per aumentare gli importi degli investimenti pubblici, come mostrato in Tabella 2.

Tabella 2. Calcolo del moltiplicatore relativo a una manovra alternativa con saldi invariati.

MISURA FISCALE TIPOLOGIA IMPORTO

(mln €)

QUOTA MOLTIPLICATORE
Pensionamenti anticipati – Quota 100 Trasferimenti 1981,855 0,1694 0,3422
Reddito di cittadinanza Trasferimenti 2342,19 0,20052 0,3422
Rilancio investimenti Investimenti 6305,905 0,539 1,3443
Flat tax Tasse 180,17 0,0154 0,4066
Pubblico impiego Pubblico impiego 360,34 0,0308 0,9622
Spesa residua Generico 529,54 0,0453 0,7274
11700 1 0,920

Fonti: elaborazione su UPB (2019); Gechert (2015).

A questo punto vediamo come la differente ripartizione dell’indebitamento netto previsto, con un consistente aumento delle risorse destinate agli investimenti pubblici, determini l’aumento del moltiplicatore, che ora supera il valore soglia:

m=0,920> 0,763=1/d

Quindi si può concludere che una differente tipologia di manovra avrebbe comportato non solo un effetto maggiormente espansivo per l’economia, ma anche una riduzione del rapporto debito/Pil. Sottolineiamo il fatto che tale risultato non possa che avere solo valore di indicazione generale.

4.Conclusioni

In questo contributo si è mostrato come, partendo da una discussione teorica circa la relazione tra andamento del rapporto debito/Pil valore dei moltiplicatori fiscali, sia possibile suppore che la manovra italiana causi un aumento di tale rapporto. Essendo strutturata con una ripartizione delle voci di spesa a favore di impieghi quali trasferimenti e taglio delle tasse, essa non beneficia degli effetti delle voci di spesa alle quali è associato un maggior moltiplicatore, come gli investimenti pubblici.

 

*Dottoranda Università Roma Tre

**Dottore di ricerca Università Roma Tre

Riferimenti bibliografici

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Caldara, D., & Kamps, C. (2017). The Analytics of SVARs: A Unified Framework to Measure Fiscal Multipliers. The Review of Economic Studies, 84(3), 1015–1040.

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Nuti, D. M. (2013). Perverse fiscal consolidation. In Conference on Economic and Political Crises in Europe and the United States: Prospects for Policy Cooperation, Trento, Italy (pp. 7-9).

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Paternesi Meloni, W., & Stirati A. (2018). Austerità in Italia: i sacrifici alimentano il debito. Economia e Politica.

Perotti, R. (2004). Public investment : another (different ) look. Institutional Members: CEPR, NBER e Università Bocconi, Working Paper No.277.

Ramey, V. A. (2011). Identifying Government Shocks: It’s all in the Timing. Quarterly Journal of Economics, 126, 1–50.

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Reinhart, C. M., & Rogoff, K. S. (2010). Growth in a Time of Debt. American Economic Review100(2), 573-78.

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Ufficio Parlamentare di Bilancio (2019), Rapporto sulla politica di bilancio 2019, gennaio.

 

Note

[1] Una intuizione analoga a quella di Nuti (2013) è rinvenibile in Cozzi (2013, p. 138).

[2] Nella versione originale della prova si ha che Nuti ragiona mostrando quale sarà il nuovo rapporto debito/Pil a fronte di una misura di maggiore austerità (taglio della spesa e/o aumento delle tasse) rispetto al piano di spesa corrente. Nella impostazione delle equazioni Nuti presenta una condizione secondo la quale alla misura di austerità implementata corrisponde sicuramente una caduta del livello del debito pubblico. Questo ci sembra non tener conto del fatto che tale risultato è assicurato solo nel caso in cui il livello di partenza del deficit sia pari a zero; allora ogni misura di austerità comporta una riduzione del livello del debito pubblico. Detto ciò, abbiamo immesso nella prova di Nuti la condizione che dà una misura sicura di quello che sarà il livello del debito pubblico domani rispetto a oggi, ossia quella relativa al segno del deficit complessivo. Questo non cambia qualitativamente i risultati ottenuti.

Debito pubblico italiano 2019 | Realfonzo e Viscione hanno mostrato come la manovra economica varata dal governo sia destinata ad avere un impatto molto modesto sulla crescita

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Debito pubblico italiano 2019

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