Servizio idrico: quale regolazione?

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Political and social notes

Servizio idrico | Il sistema idrico italiano è spesso oggetto di riforma ma la strada per garantire l’efficienza del servizio è una sola: regolazione nazionale e democratizzazione della gestione.

1.Un’autorità di regolazione indipendente per il settore idrico.

Dal 1994 a oggi, in quasi ogni legislatura si è tentato di apportare qualche modifica alla disciplina del servizio idrico, nella speranza di risolvere i problemi che caratterizzano il settore[i]. Questa lunga stagione di riforme ha interessato pressoché esclusivamente un solo aspetto del governo di questo settore: il soggetto incaricato di erogare il servizio.

Il legislatore ha rivolto la propria attenzione alla riduzione del numero degli operatori, alle modalità di affidamento dei servizi, all’alternativa tra gestione pubblica e privata, al modello più efficiente di gestione pubblica[ii].

Questo approccio ha finito per rimuovere dal dibattito la questione del modello di regolazione più efficace per i servizi idrici: insomma, si è discusso di chi dovesse erogare il servizio, ma non di quali regole fissare (e di chi dovesse farlo) per garantire ai cittadini un servizio di qualità e per consentire alle imprese di operare in maniera economicamente efficiente e realizzare gli investimenti attesi.

In questo lasso di tempo, le riforme che hanno riguardato la regolazione sono state caratterizzate da occasionalità e assenza di visione strategica: basti pensare che tra il 2006 e il 2011, il legislatore ha modificato per ben cinque volte struttura e funzioni dell’amministrazione nazionale deputata alla regolazione del settore[iii]. Anche l’introduzione di un regolatore indipendente (l’allora Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, Aeegsi[iv]; ora Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, Arera[v]) è stata una scelta dettata da ragioni di contenimento della spesa pubblica, più che da una valutazione ponderata di ciò che era opportuno per il settore[vi].

Fino all’attribuzione delle funzioni di regolazione all’Aeegsi, il ruolo principale era affidato alle autorità d’ambito territoriale ottimale e gli strumenti regolatori si riducevano quasi esclusivamente ai contratti, alle gare pubbliche (laddove svolte) e alle tariffe.

Questo sistema era caratterizzato da diversi profili critici: gare pubbliche e contratti sono poco efficaci nel servizio idrico[vii]; nelle autorità d’ambito, le funzioni di regolazione e di controllo si confondevano con quelle di organizzazione e di gestione; le tariffe non erano state praticamente mai aggiornate; il sistema di regolazione, nel suo complesso, era molto debole, perché le autorità nazionali erano sprovviste di poteri definitivi e quelle locali erano prive di risorse umane, economiche e tecniche sufficienti.

Questa impostazione ha determinato frequenti errori regolatori; una certa tendenza alla cattura, nel caso di affidamenti a privati; conflitti di interessi, nel caso di gestioni in house o tramite società miste; sovrapposizioni di competenze tra autorità d’ambito e amministrazioni nazionali[viii].

L’attribuzione delle funzioni di regolazione all’Aeegsi ha cambiato questa situazione. In primo luogo, l’autorità, forte della sua esperienza pluridecennale, ha portato chiarezza e stabilità nel quadro regolatorio. Il baricentro della regolazione si è spostato dagli strumenti anteriori all’affidamento del servizio (come contratti e gare) alla tariffa, alle carte di servizio e agli altri strumenti di regolazione successivi all’affidamento. Non si è trattato di un avvicendamento, ma di un’integrazione.

In secondo luogo, l’autorità ha conferito maggiore uniformità al settore idrico, almeno dal punto di vista regolatorio.

Il vecchio modello di regolazione, basato sugli enti d’ambito, aveva determinato livelli delle prestazioni molto disomogenei nel costo del servizio, nelle strutture organizzative, nelle modalità di tariffazione e nei contenuti delle convenzioni, delle carte di servizio e dei piani d’ambito. Queste differenze avevano prodotto disuguaglianze sociali e territoriali, i cui effetti negativi avevano colpito principalmente gli utenti in condizioni di disagio economico.

Regole uguali, stabilite per tutti da un’unica autorità a livello nazionale, dovrebbero consentire di ridurre, nel medio periodo, le differenze tra le varie gestioni e le disuguaglianze territoriali.

2.Le peculiarità della regolazione del servizio idrico.

Nello svolgere la sua attività, l’Aeegsi ha dovuto tenere conto delle peculiarità del servizio idrico. Infatti, la regolazione di questo settore è diversa da quella degli altri servizi a rete a domicilio (gas ed energia) e dei servizi pubblici locali a fruizione collettiva (trasporto pubblico e rifiuti urbani).

Innanzitutto, per ragioni economiche: nel settore idrico la concorrenza nel mercato non è praticabile, perché, almeno con le tecnologie attuali, la condivisione della rete infrastrutturale è esclusa da rischi economici (per gli operatori) e sanitari (per i regolatori) correlati all’immissione di acque di differente qualità.

L’efficienza operativa può essere stimolata solo attraverso la concorrenza per il mercato (la contendibilità del servizio nelle eventuali gare pubbliche); l’individuazione dei livelli di prestazione nel contratto e durante il rapporto; la comparazione tra le prestazioni dei gestori operanti in contesti analoghi (yardstick competition).

Anche la letteratura economica inglese che ha aperto la stagione delle privatizzazioni ha ammesso che, se negli altri settori la regolazione poteva essere un’esperienza transitoria, per l’acqua sarebbe stata una necessità permanente[ix].

In secondo luogo, la regolazione del servizio idrico si distingue da quella degli altri servizi a rete per ragioni giuridiche.

Come ha osservato anche la Corte costituzionale, l’acqua è un «bene primario della vita dell’uomo» e una «risorsa comune», un «bene indispensabile» e «di tutti», che soddisfa «un bisogno primario e fondamentale degli abitanti», «essenzial[e] alla vita associata»[x]. Insomma, un bene comune[xi] (con l’accortezza di limitare questa classificazione alle acque e non estenderla ai servizi idrici[xii]) o, comunque, un bene la cui fruizione costituisce un diritto fondamentale dei cittadini[xiii].

Questa qualificazione del bene oggetto della prestazione è molto più pregnante di quella degli altri servizi pubblici erogati a domicilio ed è stata evidenziata anche dalla giurisprudenza ordinaria: la mancanza d’acqua costituisce un’«emergenza umanitaria», mentre quella di energia «non comport[a] nessun pericolo attuale di danno grave alla persona, trattandosi di bene non indispensabile alla vita […], essendo semmai idoneo a procurare agi ed opportunità»[xiv].

Perciò, la natura primaria dell’acqua impone all’autorità, nell’attività di regolazione, di valorizzare gli interessi sociali e i consumi domestici e di porre particolare attenzione all’individuazione degli standard di qualità e quantità dell’acqua erogata.

3.Ponderazione di interessi e regolazione del servizio idrico.

La questione più delicata che tocca la regolazione del settore idrico è il nesso di continuità esistente tra funzioni di organizzazione e di regolazione. La prima, intesa come individuazione degli obiettivi sociali e ambientali del servizio, è un’attività essenzialmente politica; la seconda, intesa come individuazione delle regole che consentono all’operatore di raggiungere gli obiettivi sociali e ambientali del servizio alle condizioni economicamente più convenienti, ha carattere eminentemente tecnico e può essere svolta da un soggetto neutrale.

Nel settore idrico, però, molti atti di organizzazione hanno un forte precipitato regolatorio (ad esempio, il piano d’ambito) e molti atti di regolazione hanno ricadute organizzative (come la determinazione delle tariffe e l’individuazione dei contenuti delle convenzioni e delle carte del servizio).

Perciò, tanto gli atti di organizzazione quanto quelli di regolazione implicano un bilanciamento di valori (basti pensare alla determinazione della tariffa, in cui si combinano compiti ecologico-deputativi, valutazioni sociali e programmazione economico-gestionale).

Il governo del servizio idrico, infatti, si compone di una pluralità di interessi (sociali, connessi al carattere fondamentale dell’acqua e alla primazia dei consumi umani; ambientali, orientati alla tutela quali-quantitativa delle risorse idriche; economici, correlati all’obbligo di erogare in maniera efficiente il servizio)[xv]. Ovviamente, per perseguire questi tre obiettivi, è necessario che l’apparato regolatorio sia costruito in modo da consentire ai fornitori di investire nella manutenzione della rete e nel miglioramento del servizio.

Alla luce di queste considerazioni, è naturale domandarsi come possa essere conciliata, nel settore idrico, la “politicità” del bilanciamento tra interessi differenti nelle scelte regolatorie con il modello organizzativo per autorità indipendenti.

Si suppone che le autorità indipendenti, operando con metodo scientifico, dovrebbero pervenire a decisioni oggettive, compensando l’assenza di legittimazione democratica.

Tuttavia, anche qualora si condividesse questa impostazione, si dovrebbe prendere atto che il bilanciamento di una pluralità di interessi implica delle valutazioni extrascientifiche e assiologiche che escludono la neutralità delle decisioni e rendono le autorità indipendenti dei «governments in miniature»[xvi].

Per evitare questo rischio, è necessario distinguere, in ogni decisione, la dimensione regolatoria da quella organizzativa. Solo in questo modo, l’Arera può essere, anche nel settore idrico, una «single mission authority»[xvii], cioè un’autorità che ha l’unico obiettivo di stabilire le regole che consentono all’operatore di raggiungere gli obiettivi sociali e ambientali del servizio (che sono individuati, invece, dagli enti di governo d’ambito) alle condizioni economicamente più efficienti.

A questo scopo, l’Arera ha optato per un approccio cauto.

Innanzitutto, quanto agli atti di organizzazione, ha adottato una politica di self-restraint, limitando il più possibile l’esercizio dei propri poteri. Ad esempio, nel caso dei piani d’ambito sono state dettate linee guida non vincolanti e di carattere generale e solo raramente si è fatto ricorso a prescrizioni vincolanti per singoli piani.

In secondo luogo, quando gli atti di regolazione potevano avere ricadute sull’organizzazione del servizio, l’Arera ha preferito la menu regulation al tradizionale command and control. Un caso è rappresentato dalla determinazione delle tariffe, in cui l’autorità ha scelto di proporre più schemi regolatori (con diversi incrementi delle varie componenti e, quindi, differenti tariffe finali), tra cui gli enti locali possono scegliere liberamente. In questa maniera, gli enti locali possono adattare gli strumenti regolatori alle loro scelte organizzative, decidendo quali livelli di servizio garantire, quanti investimenti fare e, quindi, quanto veder crescere le tariffe. Tutto questo, però, all’interno di un percorso prestabilito dall’autorità, che garantisce la tenuta economica del sistema.

In sintesi, per raggiungere un equilibrio accettabile tra regolazione tecnica e decisioni politiche, l’Arera ha adottato un sistema di regolazione misto e asimmetrico: misto, perché l’autorità dialoga e coinvolge diversi livelli di governo; asimmetrico, perché gli enti locali sono liberi di modulare alcuni strumenti di regolazione, per ritagliarli sulle loro esigenze locali.

In questo modo, la regolazione tecnica non depoliticizza completamente i servizi idrici, ma si limita a condizionare il metodo e gli effetti regolatori delle scelte degli enti locali.

Il contenuto delle scelte, invece, rimane nelle mani delle amministrazioni locali.

 4.Collettività e sistema di governo del servizio idrico.

A ogni modo, l’erogazione dei servizi idrici resta ancora caratterizzata da un forte malcontento dell’opinione pubblica rispetto alle scelte di gestione, organizzazione e regolazione. Ovviamente, questo sentimento non riguarda solo il servizio idrico, ma si inserisce in un contesto culturale generale di sfiducia verso la classe politica e la pubblica amministrazione.

È altrettanto vero, però, che dal 1994 a oggi il servizio idrico ha vissuto questo scollamento in maniera particolarmente accentuata. A produrlo non è stato l’accentramento delle funzioni di regolazione e la loro attribuzione a un’amministrazione indipendente (circostanze realizzatesi solo nel 2011), ma il trasferimento dei poteri di organizzazione dai comuni agli enti di governo d’ambito, che ha determinato la rottura del nesso politico/elettorale di legittimazione delle decisioni.

Se prima, da un lato, l’elettore poteva avere l’illusione di incidere sulle politiche del servizio con il proprio voto e, dall’altro lato, poteva tenere sotto controllo il sindaco nelle decisioni sul servizio idrico, ora queste decisioni vengono prese da enti di secondo livello, di cui i cittadini a stento conoscono l’esistenza e il cui grado di rappresentatività è scarso.

L’assenza di legittimazione democratica non è stata compensata da garanzie procedimentali: le procedure amministrative sono opache, poco regolate e prive di momenti di partecipazione; gli obblighi di motivazione sono deboli; la legittimazione processuale a impugnare le decisioni incerta. Il complesso delle attività degli enti di governo d’ambito risulta ignota o incomprensibile alla gran parte dei cittadini.

Ne è conseguita una forma di depubblicizzazione del governo del servizio idrico[xviii].

Anche gli strumenti di consultazione dei procedimenti regolatori presentano dei limiti, perché vi prendono parte quasi esclusivamente amministrazioni pubbliche e società di fornitura.

Assicurare il diritto all’acqua non significa solo garantire la fruizione di un quantitativo minimo di litri al giorno, ma anche governo trasparente, democratico e partecipato del settore. Significa includere i cittadini nei processi decisionali, ascoltandone proposte e necessità; spiegare loro le ragioni delle decisioni organizzative e regolatorie; assumersi la responsabilità delle scelte effettuate.

Per il futuro, quindi, è necessario implementare procedure di partecipazione più puntuali, introdurre obblighi di pubblicità e di motivazione nei procedimenti amministrativi relativi all’organizzazione del servizio idrico, rendere più comprensibili contenuto e motivazione dei provvedimenti di regolazione, incentivare la partecipazione degli utenti, attraverso opportune campagne pubbliche e con la creazione di associazioni rappresentative, a livello locale e nazionale. Solo in questa maniera sarà possibile conciliare la dimensione sovracomunale della fornitura del servizio, la contemporanea esistenza di un’autorità nazionale indipendente di regolazione e di enti di governo locali dotati di poteri di organizzazione e la sensibilità di molte decisioni che riguardano il servizio idrico (come la scelta tra fornitore pubblico o privato; i livelli delle tariffe e delle prestazioni).

*Assegnista di ricerca presso l’Università di Bologna, abilitato alle funzioni di professore associato in diritto amministrativo

[i] Quasi il 40% dell’acqua immessa nella rete acquedottistica si disperde, con alcune regioni che addirittura superano o si avvicinano alla metà (cfr. Istat, Censimento delle acque per uso civile. Anno 2012, Roma 30 giugno 2014); più del 2% delle acque destinate al consumo umano non raggiunge i livelli minimi di potabilità; circa un terzo degli impianti fognari è adibito solo allo smaltimento delle acque nere e appena il 7% è dotato di un sistema separato per la raccolta delle acque meteoriche; l’età media degli impianti è elevata; più della metà dei depuratori consente solo i livelli primari di trattamento, assolutamente insufficienti per la tutela dell’ambiente e della salute umana (cfr. Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, Relazione annuale sullo stato dei servizi, 31 marzo 2016, I, Roma, Aeegsi, 2016, 241 ss.).

[ii] Per una ricostruzione della disciplina attuale e del lungo percorso di riforma degli ultimi venticinque anni, mi sia consentito rinviare a F. Caporale, I servizi idrici. Dimensione economica e rilevanza sociale, Milano, Franco Angeli, 2017.

[iii] Cfr. il testo originario del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, artt. 159 e 160; poi, d.lgs. 8 novembre 2006, n. 284, art. 1, c. 5; d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, art. 2, c. 15; d.l. 28 aprile 2009, n. 39, art. 9-bis, c. 6, lett. a); d.l. 13 maggio 2011, n. 70, art. 10, c. 11-28; d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 21, c. 13-20.

[iv] Cfr. d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 21, c. 19, come convertito in l. 22 dicembre 2011, n. 214.

[v] Cfr. l. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, c. 527 ss.

[vi] Ha influito anche la riscoperta del modello di regolazione per autorità indipendenti tra la fine della prima decade e l’inizio della seconda del Duemila, su cui cfr. G. Napolitano, La rinascita della regolazione per autorità indipendenti, in Giornale di diritto amministrativo, 2012, 229 ss. Sull’influenza della spending review nella gestione dei servizi pubblici locali, cfr. S. Marotta, La spending review nei servizi pubblici locali: necessità di razionalizzare, volontà di privatizzare, in Munus. Rivista giuridica dei servizi pubblici, 2014, 261 ss.

[vii] Perché le gare sono necessariamente incomplete e i contratti esauriscono il loro ciclo regolatorio ben prima della conclusione dell’affidamento. In proposito, cfr. A. Massarutto, I privati dell’acqua? Tra bene comune e mercato, Bologna, il Mulino, 2011, 219 ss.

[viii] Il tema è sviluppato in F. Caporale, La soppressione delle autorità d’ambito e la Consulta: le prospettive nella regolazione locale dei servizi idrici, in Munus. Rivista giuridica dei servizi pubblici, 2012, 269 ss.

[ix] La differenza emerge da due noti scritti di S. Littlechild, Regulation of British Telecommunications Profitability. Report to the Secretary of the State, London, Department of Industry, 1983 e Id., Economic Regulation of Privatised Water Authorities. A Report Submitted to the Department of the Environment, London, HMSO, 1986.

[x] Le espressioni sono tratte dalle sentenze della Corte costituzionale, 24 gennaio 1964, n. 4, considerato in diritto § 1; 19 luglio 1996, n. 259, considerato in diritto § 3; 22 luglio 2010, n. 273, considerato in diritto § 4; 2 novembre 2009, n. 307, considerato in diritto § 5.2.

[xi] Il concetto di bene comune è utilizzato con l’accezione tecnica datagli dalla Commissione per la modifica delle norme del codice civile in materia di beni pubblici, presieduta da Stefano Rodotà, e dalla sentenza della Cassazione Civile, sez. Unite, 14 febbraio 2011, n. 3665.

[xii] Per un’ampia illustrazione di questa affermazione, mi sia consentito rinviare a F. Caporale, I servizi idrici, cit., 431 ss.

[xiii] Cfr. C. Iannello, Il diritto all’acqua. Proprietà collettiva e Costituzione, Napoli, Editoriale scientifica, 2013.

[xiv] Cfr. la richiesta (accolta) di archiviazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna per la notizia di reato n. 9723/15-21 R.G. e la sentenza della Corte di Cassazione penale, sez. feriale, 4 settembre 2017, n. 39884, su cui mi sia consentito di rinviare ancora a F. Caporale, I servizi idrici, cit., 329 ss.

[xv] Cfr. d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 144, 145 e 146.

[xvi] Cfr. T. Prosser, The Regulatory Enterprise. Government, Regulation and Legitimacy, Oxford, OUP, 2010.

[xvii] Questa è un’espressione di S. Cassese, Dalle regole del gioco al gioco con le regole, in Mercato concorrenza regole, 2002, 265 ss.

[xviii] Lo rilevano G. Citroni, N. Giannelli e A. Lippi, “Chi governa l’acqua?”. Studio sulla governance locale, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008.

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