Le risposte del G-20 alla crisi: incomplete e inadeguate

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Political and social notes

A metà novembre 2008 i leaders del Gruppo dei Venti si sono riuniti a Washington, su invito del presidente Bush, affermando di volersi impegnare a lavorare insieme per compiere le riforme necessarie a por rimedio alla crisi. Oltre ai soliti membri del G-8, erano rappresentati in questo vertice tutti i maggiori paesi emergenti: Brasile, Cina, India, Russia, più altri di peso crescente nell’economia mondiale, come Argentina, Indonesia, Messico, Sud Corea, Turchia, Sud Africa. Se si guarda agli attori della crisi, erano presenti fianco a fianco tutti gli attori che hanno robustamente contribuito a fabbricarla – Usa e Regno Unito in primo luogo – e gran parte di quelli che ne subiranno le conseguenze senza avere in essa particolari responsabilità. Da una simile partecipazione congiunta di paesi aventi problemi e interessi diversi ci si poteva attendere un documento ragionevolmente completo quanto innovativo di proposte per affrontare la crisi alle radici.

Sotto questo profilo, la dichiarazione rilasciata al termine dei lavori del 15 novembre, scritta evidentemente con largo anticipo poiché questi sono durati in tutto tre ore e mezzo, appare nell’insieme decisamente superficiale. In verità l’inizio è abbastanza promettente, giacchè formula la seguente diagnosi dell’accaduto: “Durante un periodo di forte crescita globale, di crescenti flussi di capitale, e di prolungata stabilità nella prima parte di questo decennio, chi operava sul mercato ha cercato rendimenti più elevati senza una valutazione adeguata dei rischi ed ha mancato di esercitare la diligenza dovuta. Al tempo stesso, deboli requisiti di sottoscrizione, pratiche mal fondate di gestione dei rischi, prodotti finanziari sempre più complessi e opachi, e l’eccessivo ricorso all’effetto leva che ne seguiva si sono combinati per produrre vulnerabilità nel sistema. Politici, regolatori e supervisori, in alcuni paesi avanzati, non hanno valutato adeguatamente né si sono occupati dei rischi che si andavano accumulando nei mercati finanziari, non hanno tenuto il passo con l’innovazione finanziaria, né hanno preso in conto le ramificazioni sistemiche delle azioni regolative nazionali” [1].

Questo passo iniziale del documento riconosce dunque che vulnerabilità e instabilità sistemica derivano dalla combinazione di una maldestra gestione dei rischi da parte degli operatori; da prodotti finanziari opachi; da un effetto leva esagerato, con banche e altri enti che prestano capitali per 30-40 volte gli attivi che hanno in cassaforte; dall’assenza o distrazione delle autorità di vigilanza. Purtroppo, una volta formulata la diagnosi, le azioni che la Dichiarazione citata propone ai paesi del gruppo di intraprendere immediatamente (ossia entro il 31 marzo 2009, in vista di un successivo vertice il mese dopo) sono sufficientemente generiche da poter venire interpretate da ogni paese, e dai principali istituti finanziari del mondo, in qualsiasi modo aggrada loro. Si scorra a tal proposito l’elenco dei princìpi da cui dovrebbero derivare le politiche che il Gruppo s’è impegnato a realizzare:

• Rafforzare trasparenza dei mercati e responsabilità delle imprese.
• Assicurarsi che tutti i mercati finanziari, prodotti e partecipanti siano regolati o soggetti a sorveglianza, come si conviene alle loro circostanze.
• Promuovere l’integrità dei mercati finanziari del mondo sostenendo la protezione dell’investitore e del consumatore, evitando conflitti di interesse, prevenendo manipolazioni illegali del mercato e attività fraudolente.
• Rafforzare la cooperazione internazionale.
• Riformare le istituzioni finanziarie internazionali [2].

A parte una pletora di raccomandazioni che, come quelle sopra citate, sono generiche quanto ambigue (davvero uno vorrebbe capire in che modo si traducono operativamente principi quali “regolare i mercati come si conviene alle loro circostanze”, o “promuovere l’integrità dei mercati finanziari… evitando conflitti di interesse”) spicca nella dichiarazione del G-20 l’assenza di temi e riferimenti cruciali. Ad esempio non v’è alcun accenno alle connessioni tra sistema finanziario ed economia reale, quasi che una serie di disfunzioni della seconda non fossero state provocate, soltanto nell’ultimo decennio, dalla pressione del primo per trasformare ogni elemento della seconda in titoli commerciabili. Né compare alcun richiamo al fatto che la crisi ha pesato e peserà anzitutto sulle condizioni d’esistenza di centinaia di milioni di lavoratori.

D’altro lato anche sulle cause specifiche della crisi la Dichiarazione presenta lacune. Assente dai temi ivi richiamati è il principale processo che ha funzionato da innesco alla crisi: l’esorbitante creazione di denaro iniziata dagli Usa, prima mediante la concessione da parte delle banche di un ammontare mai visto d’indebitamento, poi con l’intensivo commercio di questo fuori bilancio. Un secondo tema assente è l’uso accanito che per oltre un decennio gli enti finanziari hanno fatto di fusioni e acquisizioni per giungere a collocarsi nella posizione in cui un ente finanziario è “troppo grande per fallire”; un uso che in Usa e UK ha avuto negli ultimi mesi, come noto, grande successo nel venire salvati dallo Stato. Un altro tema ancora, nemmeno sfiorato dalla Dichiarazione, è la concentrazione del capitale globale in poche dozzine di grandi enti, i veri protagonisti dei mercati finanziari. In effetti il documento non sembra far differenza, quanto a doveri di trasparenza e assunzione di reponsabilità, tra giganti quali JP Morgan, per dire, o Deutsche Bank, e la Banca popolare della Val Chiusella.

In sintesi, la Dichiarazione sortita dal vertice del G-20, in cui erano rappresentati molti paesi più vittime che responsabili della crisi, sembra piuttosto esser stata redatta a proprio uso e consumo dal G-8, il club dei paesi responsabili: o, più precisamente, dall’ufficio stampa di una delle sue maggiori banche. Sulle ragioni dell’acquiescenza dimostrata nel vertice novembrino dai paesi che in teoria avrebbero ogni interesse a mettere seriamente in chiaro chi ha provocato la crisi, per poi cercare fino all’ultimo di occultarla, non si sono viste finora, mi pare, analisi approfondite. Forse bisognerà cercare di farle, perché una seria e approfondita ri-regolazione non solo dei mercati finanziari, bensì dell’intero sistema bancario mondiale, difficilmente potrà compiere passi significativi se perfino Cina e Brasile, Russia e India mostrano che non gliene importa più di tanto [3].

[1] La Declaration of the Summit on Financial Markets and the World Economy, di cui il passo citato è il par. 3 a p. 1, è disponibile su vari siti Web. Chi scrive lo ha ripreso dall’edizione online del “Wall Street Journal” (http://online.wsj.com/article/SB122677642316131071.html).
[2]
Declaration, op. cit., # 9. Enfasi mia.
[3] Il testo riprende parte di un capitolo del libro che l’autore ha in stampa presso Einaudi, Con i soldi degli altri.

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