Una vita da Mediane

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Le carriere accademiche sono condizionate dalle scelte del Ministero che assegna le Abilitazioni facendo propri gli indici e le valutazioni di “agenzie private di rating”, considerando solo una parte della carriera. Sulla validità e legalità di questa procedura, che presenta molte criticità, non c’è mai stato dibattito per cambiare davvero le procedure, limitando gli interventi alla manutenzione al margine.

L’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) a Professore Universitario Associato (PA) o Ordinario (PO) è l’attestazione necessaria ma non sufficiente per entrare nel ruolo di Docente Universitario.

L’ASN ha generato molte critiche essendo basata su principi in parte meramente statistici – obiettivi, ma non oggettivi – che sono opinabili nel merito ed aleatori nella forma. Questi criteri hanno generato molte perplessità e molte criticità. Considerata la criticità dell’ASN è necessario un suo ripensamento. Questo perché i criteri dell’ASN sono inseriti nelle norme legislative e quindi condizionano la vita dei cittadini. Le criticità dell’ASN hanno portato grande danno nell’attività Accademica, tanto da suscitare richieste di revisione da più parti. Lo stesso Ministero dell’Università e Ricerca Scientifica (MIUR) ha più volte posto in evidenza il problema. A questo punto non è più dilazionabile un robusto intervento correttivo[1].

Ma come si ottiene l’abilitazione nei settori “bibliometrici”? (Ed anche in buona misura in quelli “non-bibliometrici”). Parte in maniera obiettiva (superare le mediane del ruolo al quale si vuole accedere come condizione necessaria ma nono sufficiente) parte in maniera soggettiva (bisogna possedere i titoli, che le commissioni accertano in maniera sovrana, tra quelli stabiliti per legge). Questa strana commistione tra obiettivo e soggettivo presenta diverse contraddizioni. Fondamentalmente i candidati si trovano nella condizione di non persegue più la ricerca libera ma quella che speculativamente accresce le proprie statistiche. Su questo le critiche del mondo scientifico sono innumerevoli e una profonda analisi critica da noi proposta è apparsa su “Economia e Politica”[2].

La legge istitutiva dell’ASN (DM 7 Giugno 2016 n 120) presenta due gravi lacune, una tecnica ed una giuridica. Infatti, così formulata non è in grado di persegue lo scopo che si prefigge. Il punto fondamentale (A) è che la legge dichiara esplicitamente di stabilire norme per valutare la “maturità scientifica” dei candidati.

 Dall’altra parte la normativa (B), non risponde ai criteri di equità garantiti dalla Costituzione.Per quanto riguarda il punto A, si rifletta su quanto qui argomentiamo.

La condizione necessaria è che i candidati devono raggiungere almeno 2 valori di soglia (mediane) sui 3 imposti che riguardano: per i settori bibliometrici[3] (1) numero di pubblicazioni negli ultimi 5 anni per PA (10 per PO) tratte da liste di riviste pre-confezionale da Anvur; (2) numero di citazioni delle pubblicazioni degli ultimi 10 anni per PA (15 per PO); (3) Hirsch index (indice H, è disponibile ampia letteratura sul WEB) delle pubblicazioni degli ultimi 10 anni per PA (15 per PO)[4].

Il primo vulnus consiste nel fatto che i punteggi sono desunti esclusivamente da agenzie private (SCOPUS e ISI WEB OF SCIENCE) che hanno un conflitto di interessi in materia[5]. Il primo problema consiste dunque nel fatto che gli indicatori non sono desunti con criteri liberi da ogni condizionamento, ma opinabili e soggetti anche ad errori spesso non verificabili.

Il secondo vulnus è dovuto al famigerato H-index (algoritmo che valuta come sono distribuite/concentrate le citazioni) che è una meravigliosa sciocchezza contabile già ampiamente sottoposta a critica dal mondo Accademico internazionale. Per i non addetti ai lavori, se prendiamo due ricercatori che hanno lo stesso numero di pubblicazioni e citazioni, questi possono avere H completamente diversi, perché H valuta in modo del tutto discutibile (privo di ogni crisma scientifico) la concentrazione e distribuzione delle citazioni. Può succedere anche che chi ha più citazioni abbia H più basso di chi ne ha meno! In pratica, in modo del tutto arbitrario, premia le distribuzioni di citazioni piatte piuttosto che le pubblicazioni con più citazioni. Un esempio eclatante è questo: ha H-index più alto chi ha 3 pubblicazioni con 3 citazioni ciascuna (H=3, totale 9 citazioni) piuttosto di chi ha 4 pubblicazioni, ma una con 100 citazioni e le altre con 1 (H=1, totale citazioni 103!). Inoltre non tiene conto del contesto delle citazioni (ci sono argomenti più di moda e quindi hanno più citazioni, ma non più importanti di altri), e dipende dalle limitazioni e scelte fatte delle banche dati.

Il terzo vulnus consiste nel considerare “valori di soglia” la mediana (per i non addetti ai lavori il numero che divide a metà una distribuzione). Questo significa che se si vuole diventare PO bisogna avere una statistica migliore della metà degli attuali PO. Il concetto è di per sé sconcertante, perché significa che un numero variabile (a seconda dei casi) probabilmente attorno al 50 % (è possibile arrivare anche al 75%) dei PO e dei PA già in servizio non ha i titoli per quel ruolo non superando 2 mediane su 3. Questo scredita buona parte della classe docente che ha già raggiuto la Maturità Scientifica. Possibile che nessuno si sia reso conto di questa insostenibile incongruenza? Non bastasse, è un criterio che non ha validità scientifica, in quanto, se è estremamente dubbio che si possano usare metodi statistici, è altrettanto vero che è necessario supporre che meriti e capacità siano mediamente distribuiti. Cioè sarebbe più equo considerare i valori attorno alla media e non superiori alle mediane. Questa è una tecnica che si applica a tutti i problemi scientifici in tutte le discipline (dall’Economia alla Fisica). Per cui non si capisce quale mente (sicuramente non scientifica) abbia partorito l’insostenibile criterio delle mediane. Lo scartamento dalla media permetterebbe di eliminare le code di inattivi e impreparati. Attorno ad una media si attestano tutti i valori che subiscono una variazione aleatoria, non dipendenti direttamente dal merito. Tutti noi abbiamo subito una serie di fenomeni aleatori che hanno influito sulla nostra carriera. Ad esempio, gruppi di ricerca che vanno ricostruiti perché i Ricercatori che lo compongono se ne vanno (pensionamento, mancanza di fondi per pagarli o altro), rottura di uno strumento (non si fa ricerca ad alto livello senza strumentazione), scarsità di finanziamenti (la ricerca costa, per rimanersi a livelli adeguati ci vogliono finanziamenti adeguati), ecc. La ricerca è costellata di problematiche aleatorie che nulla hanno a che vedere con la qualità. Dunque, un criterio basato sulla variazione attorno ai valori medi sarebbe più equo. In realtà, come proposto da più parti, poiché la Maturità Scientifica è un punto di arrivo singolare, indipendente da fluttuazioni statistiche opinabili, è corretto adottare un criterio assoluto, non legato a variazioni aleatorie e condizionabili da fattori extra scientifici.

In tutto questo gioco di citazioni incrociate per aumentarne sia il numero che H, hanno buon gioco i grandi gruppi, che possono lavorare su grandi numeri e collaborazioni, più finanziamenti, un bacino più ampio ed anche – ahimè! – il gioco delle citazioni di scambio[6].

Inoltre, tra i titoli richiesti c’è anche la partecipazione come relatore (come se essere relatore fosse un merito maggiore rispetto agli altri autori) ai congressi internazionali. Sui congressi si è innescato un altro business, infatti sono sorte numerosissime società che organizzano congressi internazionali che richiedono tasse di iscrizione esorbitanti (magari in qualche strana banca off-shore). Non si vuole criticare l’importanza dei congressi, ma semplicemente come questi siano diventati un affare per il quale vanno direzionate grandi risorse anche di natura pubblica e la partecipazione o meno non è legata direttamente con la qualità della ricerca, ma spesso con le risorse che si possono disporre e quindi impiegare; risorse peraltro che vanno a gravare sui fondi di ricerca e che creano comunque una disparità tra grandi e piccoli gruppi.

In tutto questo è fondamentale il finanziamento e la possibilità di avere a disposizione più fondi e strumentazione. Chi può sedere alla consolle di un grande strumento sicuramente può lucrare più pubblicazioni con sforzo molto basso e partecipare a più congressi internazionali.

Tutti questi fattori drogano gli indicatori facendoli schizzare in alto senza nessuna relazione con la qualità. Per fare solo un esempio eclatante, ma significativo del meccanismo, ci sono pubblicazioni, in alcuni raggruppamenti, che raggiungono il numero biblico del migliaio di autori. Basta una citazione reciproca a testa per fare schizzare in alto gli indici. Questo dimostra che criteri puramente statistici nulla dicono sulla qualità in sé del singolo Ricercatore. La mediana delle citazioni, ad esempio, misura il bacino di utenza di un’area scientifica che può variare moltissimo anche all’interno dello stesso raggruppamento scientifico-disciplinare.

Non è possibile valutare la ricerca con metodi meramente e acriticamente statistici, perché i Ricercatori non producono tondini di ferro. Lo stesso criterio, meramente statistico, è deleterio anche in economia, perché come la produzione, il valore aggiunto-PIL, il profitto, i salari, le rendite, non possono aumentare indefinitamente, ma seguono logiche di crescita e distribuzione teoricamente definite, la crescita dell’asticella (mediane) da una tornata concorsuale all’altra appare come esito di un dispositivo tipo “pilota automatico” che configura una quota di abili al margine come non più abili alla professione solo perché sarebbero passati da sopra a sotto la mediana che è mobile verso l’alto[7]. Ancora di più un criterio meramente economicistico non può essere applicato alla ricerca, perché questa non è produzione di beni materiali o produzione industriale (allo stesso modo, non può essere “misurato” il lavoro di un artista).

Il risultato drammatico è appunto l’innalzamento progressivo e continuo nel tempo delle mediane, rendendo sempre più difficile l’ingresso in ruolo, anche dei giovani, rendendo la porta sempre più stretta e bloccando di fatto a moltissimi la carriera aldilà del merito.Per quanto riguarda il punto B, si consideri quanto segue.

Se dal punto di vista prettamente tecnico-scientifico l’ASN fa acqua da tutte le parti, il vulnus più grave non discusso in accademia è quello giuridico, in quanto la valutazione dei parametri avviene nell’ambito degli ultimi 5-10 anni per i PA (10-15 anni per i PO). Una vita di lavoro, di sacrifici, di precariato e di esperienze viene cancellata creando una problematica non indifferente, perché in questo modo si sminuisce e cancella un patrimonio enorme di conoscenze accumulate. Se avete fatto un lavoro fondamentale che produce centinaia di citazioni anche nel presente, ma è stato pubblicato più di dieci (15) anni fa, non vi dà alcun punteggio! Anche fosse la relatività, grazie signor Einstein, per i parametri l’ASN vale nulla!

Qui sta il problema più grande dell’ASN, è una questione di correttezza giuridica, che chiama in campo i principi della nostra costituzione. La legge (DM. 7 Giugno 2016. n.120) afferma che i candidati devono aver raggiunto la Maturità Scientifica. Ora queste la si raggiunge una volta nella vita ed è un processo di crescita che dipende da tutta la propria carriera. Invece l’attuazione della legge contraddice questo principio, perché i candidati vengono giudicati sui parametri desunti solo negli ultimi N anni. Questo, oltre che apparire incostituzionale, è ingiusto e dissennato, perché ammazza il lavoro di una vita di ricerca.

E qui sta la grande contraddizione giuridico – concettuale, perché il concetto di “Maturità Scientifica” non può esser legato alle fluttuazioni statistiche. Si confonde produttività con maturità, che sono due cose fondamentalmente diverse. Moltissimi di coloro che hanno avuto l’abilitazione nella scorsa tornata, non avrebbero i numeri per ottenerla attualmente. Cosa significa? Che devono essere dimessi dal ruolo perché hanno perso la maturità? Abbiamo detto sopra della tendenza attuale all’aumento asintotico delle mediane, perché chi entra, necessariamente, aumenta il valore mediano, rendendo il pertugio sempre più stretto per i posteri. Ma potrebbe accadere il contrario, per una serie di cause contingenti che portano all’abbandono del ruolo (pensionamenti anticipati, cambio di ruolo, …) per cui le mediane potrebbero pure abbassarsi, in teoria ma in pratica è molto improbabile.

Questi pochi esempi mostrano come il meccanismo, che è apparentemente virtuoso, è ben lungi dall’esserlo. Si badi bene, non si vuole condannare tout court un meccanismo bibliometrico, che appare però abbastanza “strampalato”, si vuole sottoporlo a critica per giungere a metodologie corrette di valutazione. Occorre anche ricordare che le scelte sulla valutazione fatte da quando l’Anvur è stata creata ha portato a sostituire queste procedure quasi automatiche basate sugli algoritmi, alla lettura dei lavori scientifici da valutare: il punteggio assegnato dall’algoritmo applicato a banche dati private con conflitti di interesse, rende inutile la lettura delle  pubblicazioni, anzi la sconsiglia: come ha avuto modo di osservare un commissario anonimo che ha affermato che “opportuno è non leggere, cosi non si rischia di essere influenzati nella certificazione del punteggio”. Noi invece crediamo che la lettura di ciò che viene scritto ed il “libero arbitrio” nella valutazione siano fondamentali e debbano conformarsi a regole che siano rispettose del lavoro delle persone; e che tengano comunque conto, considerato che dei criteri bisogna comunque adottare, che la qualità della ricerca in sé non è misurabile (la metafora proposta a livello politico, desunta dall’atletica, dell’asticella da superare per ottenere l’ASN, non ha nessun fondamento epistemologico nella ricerca e nell’arte: non esistono asticelle in queste discipline!). Ora ci si domanda chi governa questi meccanismi e se la politica (che non può nascondersi dietro un algoritmo, a quel che ci risulta, unico al mondo), è cosciente di quello che sta accadendo.

Il vero problema è il sotto-finanziamento, che non crea un numero di posti adeguato per chi ha un vero merito. Questo crea una guerra generazionale tra chi aspira al ruolo che gli spetta e i giovani che devono entrare nel sistema. Insomma, il pertugio è stretto, e attraverso esso dovrebbero mettersi in concorrenza i giovani che devono entrare e chi ha alle spalle una lunga carriera. Questo perché è scomparso il tipico ruolo d’ingresso che facilitava l’accesso alla docenza (Ricercatore a tempo indeterminato “soppresso”, vedi legge Gelmini”, 240/2010).

La realtà è che il de-finanziamento rischia di mettere definitivamente in crisi il sistema della ricerca italiana ormai priva degli strumenti (risorse economiche pubbliche in primis), per competere a livello mondiale, per cui sempre meno gruppi sono in grado di competere e di collaborare internazionalmente. Il Fondo di Finanziamento Ordinario dell’Università (FFO) negli ultimi  anni (2009-2019), prendendo come quota base il 2009, ha complessivamente subito tagli per circa 5,14 miliardi di euro, oltre il 6% (Fonte Camera dei Deputati)[8].

I corsi di dottorato si sono ridotti da quasi 2200 nel 2007 a meno di 1000 nel 2018, con un conseguente calo di posti per dottorandi da circa 16000 a meno di 9000 lo scorso anno, di cui 1000 in meno per i posti finanziati (tab.1).

Tabella 1: Andamento del numero dei corsi di dottorato e dei posti di dottorato (CUN, 2019)

Gli organici degli Atenei, in questo stesso decennio, si sono contratti di quasi il 20%. Nel 2008 c’erano infatti poco meno di 63000 docenti e ricercatori di ruolo: oltre 18900 ordinari, 18200 associati e 25500 RTI, mentre nel 2019 i numeri sono questi: 13400 PO, 21300 PA, 12000 RTI, (totale per queste figure stabili 46700) a cui si aggiungono le nuove figure di RTD-A e RTDB per 8000 (3800+4200) unità, per un totale di 54900 circa (tab.2). Un dato drammatico: quando sono stati messi in “esaurimento” i RU (legge Gelmini) essi erano il 43% della classe Docente! Cioè reggevano l’università! E’ un fatto così numericamente spropositato ed iniquo che, a memoria, non sembra avere eguali nel mondo tra i paesi avanzati.

Tabella 2: Andamento del numero di docenti e ricercatori per ruolo (CUN, 2019)

Il quadro europeo, invece, si muove in direzione ben diversa: per fare solo un esempio, ci sono oggi circa 250.000 docenti in Germania (+ 50.000 negli ultimi anni), 200.000 nel Regno Unito, 95.000 in Spagna, 80.000 in Francia. I due grafici che seguono, pur se non aggiornati al 2019, sono purtroppo esemplificativi dello stato delle cose in termini comprativi[9].

Grafici 1-2: Spesa totale della ricerca in rapporto al PIL e spesa per l’università in rapporto al PIL (Trigilia, 2016).

A fronte dello stato delle risorse allocate alla ricerca, universitaria in particolare, questi meccanismi di valutazione, quali quelli applicati in ASN è un esempio significativo, portano di conseguenza alla perdita di un grande patrimonio intellettuale di uomini e conoscenze per il quale il paese ha speso risorse (relativamente poche) che non riesce a valorizzare. E’ necessaria dunque una profonda ed equa revisione di questi meccanismi. E’ necessario ascoltare le organizzazioni della docenza e le voci che provengono da tutta l’università, che nel suo complesso è sotto traccia profondamente critica, ma fino ad ora non c’è stato alcun ascolto ed alcuna risposta a questa paradossale situazione.

* Economista, Università di Ferrara

** Fisico, Università Politecnica delle Marche


[1] Si veda Conti F., Linari M., “Le soglie esagerate dell’Anvur“, Il Sole 24 Ore, 7/8/2016: https://st.ilsole24ore.com/art/cultura/2016-08-05/le-soglie-esagerate-dell-anvur-171556.shtml?uuid=ADs3c60&fromSearch=

Inoltre si veda la “Lettera del Consiglio direttivo della Società Italiana di Diritto Internazionale e di Diritto dell’Unione europea”, (20/6/2012), reperibile su www.sidi-isil.org ed anche il “Documento dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti” AIC (25/7/2016): https://www.associazionedeicostituzionalisti.it/it/. Su www.roars.it è possibile reperire ampia documentazione nel merito.

[2] Si veda Pini P. e Rinaldi D., “Riviste scientifiche e ricerca il conflitto di interessi delle pubblicazioni scientifiche”, 21 gennaio 2019: https://www.economiaepolitica.it/2019-anno-11-n-17-sem-1/riviste-scientifiche-e-ricerca-il-conflitto-di-interessi-delle-pubblicazioni-scientifiche/.

[3] Con valori di soglia che differiscono tra settori concorsuali.

[4] Per i settori non bibliometrici le tre soglie di cui due da superare, fanno riferimento agli articoli pubblicati su riviste di Classe A, agli articoli pubblicati su riviste scientifiche, alle monografie, con valori di soglia che differiscono tra settori concorsuali.

[5] Si veda ancora Pini P. e Rinaldi D., “Riviste scientifiche e ricerca il conflitto di interessi delle pubblicazioni scientifiche”, 21 gennaio 2019: https://www.economiaepolitica.it/2019-anno-11-n-17-sem-1/riviste-scientifiche-e-ricerca-il-conflitto-di-interessi-delle-pubblicazioni-scientifiche/.

[6] Si veda la denuncia sul sito ROARS, ad esempio Di Nuovo S., in ROARS, 28 luglio 2012: https://www.roars.it/online/citate-il-collega-ryan/.

Si veda il più recente lavoro di Baccini A., DeNicolao G.,  Petrovich E., “Citation gaming induced by bibliometric evaluation: a country-level comparative analysis”, in PLOS ONE, 9 September 2019: https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0221212.  Si veda degli stessi autori “How Pseudoscientific Rankings Are Distorting Research”, in Institute for New Economic Thinking, 18 January 2018: https://www.ineteconomics.org/perspectives/blog/how-pseudoscientific-rankings-are-distorting-research, e “Exposing Citation Gaming and its Institutional Causes” sempre in Institute for New Economic Thinking, 16 September 2019: https://www.ineteconomics.org/about/news/2019/exposing-citation-gaming-and-its-institutional-causes. L’articolo degli autori è stato ripreso anche in Phisics Today, 19 September 2019: https://physicstoday.scitation.org/do/10.1063/PT.6.2.20190919a/full/?fbclid=IwAR0Nxhvn_GgXRlm0dTCWVF7ygpt1szSHqrHHvJeucsKQdLW3rrxGwB0PxgI&.

[7] Si veda Conti F., Linari M., “Le soglie esagerate dell’Anvur“, Il Sole 24 Ore, 7/8/2016: https://st.ilsole24ore.com/art/cultura/2016-08-05/le-soglie-esagerate-dell-anvur-171556.shtml?uuid=ADs3c60&fromSearch=

[8] Studi Camera – Cultura, focus 15 maggio 2019:

https://temi.camera.it/leg18/post/il_fondo_per_il_finanziamento_ordinario_delle_universit_.html

[9] Alcuni dati possono essere tratti dal lavoro fatto dal gruppo di ricerca coordinato da Gianfranco Viesti e pubblicato in Viesti G. (2018), La laurea negata, Editori Laterza, Bari, in particolare capitolo 3, e soprattutto il volume che raccoglie gli esiti della ricerca: Viesti G. (a cura di) (2016), Università in declino. Un’indagine sugli atenei da Nord a Sud, Donzelli, Roma. Per confronti internazionali si rinvia a OECD (vari anni), Education at a Glance, Oecd, Parigi. Un’altra fonte importante di documentazione è rappresentata dal Rapporto biennale sullo stato del sistema universitario e della ricerca, curato dall’ANVUR. Una recente analisi sull’organico nell’università nei ruoli della docenza è contenuta in CUN (2019), “Andamento dell’organico della docenza universitaria dal 2000 al 2018”, CUN, Roma, che offre anche un quadro estremamente interessante delle figure non stabili che contribuiscono alla istruzione universitaria.

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