Povertà e disuguaglianza in Italia

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In Italy, during the period 2007-2016, the incidence of absolute poverty increased from 3% to 7.9% of the population. At the same time, inequality, measured by the share of individuals at risk of poverty, notably increased. The diffusion of precarious employment contributed to these trends.

Povertà assoluta

Tra il 2008 e il 2013, l’economia italiana è stata colpita da una doppia recessione. La caduta della produzione aggregata, di quasi 9 punti percentuali, ha avuto un forte impatto sui livelli occupazionali e sul tenore di vita medio. Nel 2014, anno di svolta della fase recessiva, il Pil per abitante, in termini reali, era più basso di 11 punti percentuali rispetto al livello pre-crisi; il tasso di disoccupazione più che raddoppiato. La crescita debole registrata nei due anni successivi ha consentito di riassorbire solo in parte la forza lavoro disoccupata. Complessivamente, nell’ultimo decennio, le condizioni di vita di un’ampia quota della popolazione italiana si sono progressivamente deteriorate; povertà e disuguaglianza sono aumentate.

Per misurare la deprivazione materiale, uno dei principali indicatori è l’incidenza della povertà assoluta. Questa, in Italia, è definita sulla base della spesa mensile necessaria per acquistare un paniere di beni e servizi ritenuto essenziale per uno standard di vita minimamente accettabile[1].

L’andamento della povertà assoluta in Italia è rappresentato dalla Figura 1, in cui si riportano sia l’incidenza percentuale della povertà (linea), sia il numero di individui assolutamente poveri nel periodo 2006-2016 (barre verticali). Si noti come, a partire dal 2007, la condizione di povertà assoluta abbia riguardato quote crescenti della popolazione. Nel 2007, 1 milione e 789mila italiani (il 3 per cento) erano assolutamente poveri; nel 2016, il loro numero era salito a 4 milioni e 742mila persone, con un’incidenza del 7,9 per cento.  Si noti come la tendenza all’aumento continui anche dopo il 2013, cioè anche nella fase in cui l’economia italiana, uscita dalla recessione, ha ripreso a crescere.

Figura 1. Povertà assoluta in Italia 2006-2016. Numero di persone e incidenza percentuale

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Nota: il numero di individui poveri è riportato sulle barre; la quota percentuale dalla linea. Fonte: Istat, Serie storiche povertà assoluta 2005-2014; La povertà in Italia 2015; La povertà in Italia 2016.

 

In Italia – come negli altri Paesi – l’incidenza della povertà assoluta presenta significative differenze a seconda delle condizioni professionali, del titolo di studio e dell’età degli individui, oltre che dalle caratteristiche delle famiglie. Notevoli sono, poi, le differenze regionali[2]. Negli ultimi anni, si riscontra una tendenza inedita: l’incidenza della povertà assoluta risulta maggiore tra le famiglie più giovani, in cui la persona di riferimento ha un’età inferiore ai 35 anni, rispetto a quelle più anziane, di ultrasessantacinquenni. Come mostra la Figura 2, a partire dal 2012, il tasso di povertà tra gli under-35 anni e gli adulti (35-44) aumenta, superando nettamente quello dei pensionati che mostra, invece, un lieve declino. Non sono, però, solo i disoccupati e le famiglie numerose ad aver subito un deterioramento delle condizioni di vita. Tra i nuovi poveri vi sono anche persone occupate[3].

Figura 2. Incidenza della povertà in Italia, per gruppi di età 2007-2016

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Nota: l’età si riferisce alla “persona di riferimento”. Fonte: Istat, Serie storiche povertà assoluta 2005-2014; La povertà in Italia 2015; La povertà in Italia 2016.

 

Il rischio di povertà relativa

La povertà relativa è lo standard adottato dall’Unione Europea ed è misurata nell’ambito dell’Indagine sui redditi e le condizioni di vita (EU-SILC), che offre informazioni sulla situazione sociale e il disagio economico nei Paesi europei. Il “rischio di povertà relativa” è definito dalla percentuale di persone con un reddito inferiore o pari al 60 per cento del reddito mediano disponibile del paese di residenza. Mentre la povertà assoluta corrisponde a una grave forma di deprivazione economica, il concetto di povertà relativa è strettamente legato alla distribuzione dei redditi e, dunque, è una misura della disuguaglianza.

In Italia, la quota della popolazione a rischio povertà è maggiore dei paesi europei più avanzati, con l’eccezione della Spagna. Nel 2015, sfiorava il 20 per cento a fronte del 16,7 della Germania e del 13,6 della Francia. L’andamento del rischio di povertà tra il 2007 e il 2015 è illustrato dalla Figura 3. Si nota come la quota di persone sia rimasta, grosso modo, invariata, mentre il numero di persone a rischio di povertà sia aumentato di circa 680mila unità, raggiungendo i 12 milioni (Fig. 3).

 

Figura 3. Rischio di povertà in Italia 2007-2015: incidenza (%) e numero di persone a rischio (migliaia)

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Nota: rischio di povertà per una soglia del reddito equivalente disponibile pari al 60 per cento di quello mediano. Il numero di individui poveri è riportato sulle barre; la quota percentuale dalla linea. Fonte: Eurostat, online database [ilc_li02].

 

Il rischio di povertà è un indicatore che deve essere considerato con cautela, poiché, come accennato, la soglia di povertà, posta al 60 per cento del reddito mediano corrente, cambia di anno in anno sia a causa dell’evoluzione del livello generale del reddito, sia dei cambiamenti nella sua distribuzione. Durante i periodi di recessione, per esempio, alcune categorie di redditi da lavoro (come i salari) tendono a diminuire, mentre altre variano meno o, come le pensioni, non variano affatto. Ciò tende a riflettersi sulla distribuzione complessiva del reddito, modificando la soglia di povertà; di conseguenza, le persone con reddito lievemente inferiore alla soglia possono trovarsi al di sopra di essa senza che il loro reddito sia effettivamente cambiato. In altre parole, l’incidenza del rischio di povertà può ridursi anche quando il reddito mediano diminuisce a causa di una recessione[4].  Per ovviare a tali distorsioni, Eurostat fornisce dei dati sul rischio di povertà, in cui la soglia di reddito è ancorata a un anno base e aggiustata per l’inflazione.  Il “rischio di povertà ancorato” non è influenzato dai cambiamenti nel reddito mediano corrente e offre una rappresentazione più realistica dell’evoluzione della povertà, in particolare nei casi in cui il reddito mediano si riduce.

Quando si utilizza tale indicatore, ancorato all’anno 2008, la dinamica della povertà relativa cambia sensibilmente. Così misurato, il rischio di povertà riguarda oltre un quarto della popolazione italiana, cioè 15 milioni e mezzo di persone. La Figura 4 mostra come vi sia una chiara divergenza tra il tasso di povertà ancorato e quello non ancorato: il primo aumenta molto più del secondo. La divergenza tra i due indicatori segnala un forte deterioramento delle condizioni di vita nelle fasce di reddito più basse[5].

 

Figura 4. Rischio di povertà: soglia di reddito “ancorata” e non-ancorata

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Nota: rischio di povertà ancorato al 2008 e non-ancorato. Fonte: Eurostat, online database [ilc_li22b].

 

Povertà e disuguaglianza sono fenomeni complessi, dalle cause molteplici. Non dipendono solo dalla congiuntura economica, ma hanno anche cause più profonde. Sono influenzate dai mutamenti nella composizione sociale (si pensi, per esempio, all’immigrazione), dai cambiamenti strutturali e dalle pressioni competitive cui sono sottoposti i sistemi economici. Ma dipendono anche dalla diffusione di forme di lavoro precario e dalle dinamiche salariali[6]. Lo dimostra l’aumento della povertà assoluta e relativa tra le persone che lavorano e tra i più giovani[7]. Tendenze, queste, che sono la manifestazione di disuguaglianze tra gruppi sociali e tra generazioni. In Europa, il relativo declino dei redditi delle generazioni più giovani rispetto alle più anziane, non è dovuto solo alla recessione iniziata nel 2008, sebbene essa lo abbia esacerbato. È un fenomeno in atto da tempo, che dipende non solo dal ritardo con cui i più giovani entrano nel mercato del lavoro, ma anche dalla diffusione di forme di lavoro precario e a basso salario che accrescono il rischio di povertà[8].

Poiché povertà e disuguaglianza hanno molteplici cause, il loro contrasto non richiede soltanto l’estensione e il rafforzamento delle misure sociali e assistenziali. Riguarda un ambito assai più ampio, che include le politiche fiscali e la regolamentazione del mercato del lavoro.

 

* Docente a contratto – Università Magna Graecia di Catanzaro

** Professore associato – Università Magna Graecia di Catanzaro

 

 

[1] Per approfondimenti, Istat, Rapporto annuale 2017. La situazione del Paese, Roma, 2017

[2] Cfr., Istat, Rapporto annuale 2017, op. cit.

[3] La povertà assoluta è aumentata tra gli “operai e assimilati” (Istat, La povertà in Italia. Anno 2016. Statistiche report, 2017). La protezione offerta dalle pensioni durante la crisi, e la crescente divaricazione tra i redditi delle generazioni più giovani e più anziane, sono esaminate in: European Commission, Employment and Social Developments in Europe. Annual Review 2017, Luxembourg: Publications Office of the European Union, 2017; si veda, in particolare, il capitolo 2.

[4] Eurostat, The measurement of poverty and social inclusion in the EU: achievements and further improvement, United Nation, Economic Commission for Europe: Conference of European Statistician, Working paper 25, November 2013.

[5] Eurostat, The measurement of poverty and social inclusion, op. cit., pp. 6-7.

[6] Per un’analisi delle cause della disuguaglianza e delle politiche per ridurla si veda, per esempio, M. Franzini, M. Pianta, Disuguaglianze. Quante sono, come combatterle, Laterza, Roma-Bari, 2016.

[7] Istat, La povertà in Italia, Statistiche report, anni vari.

[8] Cfr. European Commission, Employment and Social Developments in Europe, op. cit., capitolo 3.

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