Una proposta contro la crisi: un milione di addetti nella P.A.

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Political and social notes

L’elaborazione, tuttora in corso, è stata iniziata nel 2014. Ulteriori dettagli e una documentazione più ampia possono essere richiesti a uno degli autori, preferibilmente a Maria Luisa Bianco, Bruno Contini o Guido Ortona*. Commenti e osservazioni sono molto graditi.

 

1. Premessa. Per uscire dalla crisi attuale è necessario un maggiore intervento da parte dello Stato. Questo intervento è soggetto a due vincoli, uno dal lato dei ricavi e l’altro da quello dei costi: l’Italia deve effettuare una politica occupazionale non assistenziale, bensì che aumenti l’efficienza dell’economia; e deve finanziare questa politica con risorse diverse dall’aumento del debito pubblico o dalla creazione di moneta, quindi con imposte. Ma queste imposte devono essere tali da non ridurre la domanda interna, da non aumentare il costo del lavoro, e da non creare troppa conflittualità sociale.

Nel progetto qui sintetizzato proponiamo una politica di intervento pubblico che rispetta questi vincoli e che può essere molto efficace.

 

2. La proposta. La proposta consiste, come da titolo, nella assunzione di un elevato numero di giovani qualificati nella pubblica amministrazione; l’ordine di grandezza dovrebbe essere appunto intorno al milione. La spesa necessaria dovrebbe essere finanziata mediante un’imposta patrimoniale sulla ricchezza finanziaria (quindi non sugli immobili); oppure -o in aggiunta- mediante uno schema di contribuzione volontaria di cui si dirà.

Il punto di partenza è un dato poco conosciuto ma indubbio, e cioè che gli occupati nel settore pubblico in Italia sono eccezionalmente pochi; talmente pochi che senza un cospicuo aumento sarà molto difficile adottare politiche di sviluppo efficaci. In base ai dati OCDE, nel 2011 (ultimo dato comparativo disponibile, ma da allora la situazione relativa dell’Italia non è certamente migliorata, semmai il contrario) c’erano in Italia 3.435.000 dipendenti pubblici, sommando ogni livello di governo e ogni tipo di attività. In Francia e nel Regno Unito, paesi con una popolazione simile e un PIL pro capite ancora non troppo lontano, ce ne erano rispettivamente 6.217.000 e 5.785.000. Persino negli Stati Uniti il numero di dipendenti pubblici civili pro capite è più alto che in Italia di circa il 25%. I dati riassuntivi sono riportati in tabella alla fine del testo.  La validità di quanto sopra è comunque confermata da un apparente paradosso: l’Italia è agli ultimi posti in Europa per percentuale di laureati sulla popolazione giovanile, ma ai primi per percentuale di laureati disoccupati. Ciò non può essere dovuto che al sottodimensionamento del settore pubblico, che ovunque è il principale datore di lavoro per i laureati.

 

3. Costi. I benefici della proposta vanno al di là di quelli più evidenti. Per ragioni di spazio qui non ce ne occupiamo, rinviando a documenti più ampi (disponibili a richiesta). Vediamo invece i costi. Secondo le nostre stime, un’imposta con aliquota dello 0.45% sulla ricchezza finanziaria consentirebbe l’assunzione di 971.000 addetti (863.000 con un’aliquota dello 0.4%, 1.079.000 con una dello 0.5%).[1] Questa aliquota media è puramente indicativa: il nostro schema preferito implica un’esenzione fino a 130.000E e aliquote marginali progressive per i redditi superiori, con un’aliquota massima comunque inferiore all’1%.

Questa imposizione dovrebbe restare naturalmente in vigore per un certo numero di anni; assunzioni realistiche sull’effetto moltiplicativo dell’immissione dei redditi dei neoassunti sull’economia suggeriscono che dopo 3-5 anni il nuovo gettito ordinario dovrebbe consentirne il ritiro. In ogni caso essa difficilmente arrecherebbe un danno significativo allo stock di ricchezza finanziaria delle famiglie, che tra l’altro è molto alta (e molto concentrata) rispetto agli standard europei (nel 2016 ammontava a circa 4.000 miliardi). L’aliquota in effetti è troppo bassa per mordere in modo significativo sullo stock della ricchezza.

 

4. Un altro possibile approccio. Una diversa possibilità di finanziamento -non alternativa- consiste nel ricorrere a un fondo costituito da contributi volontari, auspicabilmente basato su una disponibilità iniziale fornita da enti istituzionali (per esempio le fondazioni bancarie). Questo fondo dovrebbe essere costituito a livello regionale, dato che la solidarietà è di solito tanto più elevata quanto più il livello è locale, o anche a livello metropolitano. Si tratta di un approccio suscettibile di sperimentazione; vedremo nell’ultimo paragrafo che la disponibilità a contribuire è probabilmente sufficientemente elevata da rendere tale sperimentazione molto interessante[2]. Un aspetto che ci teniamo a sottolineare, a nostro avviso particolarmente innovativo, è che con questo strumento si farebbe direttamente appello alla solidarietà dei cittadini, che però si estrinsecherebbe non nella sostituzione di carenze istituzionali, come spesso avviene col volontariato, ma nel sostegno diretto a un loro migliore funzionamento.

 

5. Aspetti politici. Ovviamente questo progetto richiede un dettaglio tecnico preciso e rigoroso, e sarebbe prematuro addentrarsi qui in questa materia. E’ però opportuno indicare alcune caratteristiche generali della sua gestione politica, in quanto necessarie per la sua buona riuscita. In primo luogo deve essere chiara la finalità di scopo dell’imposta. In secondo luogo è importante che le assunzioni avvengano su specifici progetti presentati dal basso, ma approvati in concorrenza fra di loro da un organismo tecnico centrale, onde ridurre le inevitabili pressioni che si avrebbero qualora i proponenti dei progetti e gli approvatori dei medesimi coincidessero. Infine la manovra dovrebbe essere il più possibile consensuale.

E’ utile sottolineare, a scanso di equivoci, che la politica che suggeriamo non è in alcun modo alternativa a una razionalizzazione dell’uso delle risorse umane esistenti nella pubblica amministrazione. Non è nemmeno alternativa a progetti più tradizionali basati sulla costruzione di opere pubbliche: i nuovi addetti sarebbero destinati infatti  al miglioramento dell’offerta dei servizi pubblici. Infine, i nuovi addetti non dovrebbero in alcun modo essere sostitutivi degli attuali lavoratori, anche precari: questo può essere ottenuto vincolando il finanziamento delle assunzioni alla non riduzione della spesa per il personale e per i servizi lavorativi comunque esternalizzati.

Il contenuto della nostra proposta richiama ovviamente un principio storico della sinistra, “togliere ai ricchi per dare ai poveri”; ma anche, e di questi tempi maggiormente, i richiami alla solidarietà propri della chiesa cattolica. Crediamo quindi che essa possa servire anche a propiziare una convivenza più civile nel nostro paese.

 

6. Come reagirebbe l’opinione pubblica? Da più parti, coerentemente con alcuni pregiudizi correnti ma non con la ricerca economica e sociale più recente, ci è stato obbiettato che l’opinione pubblica reagirebbe molto negativamente alla proposta di una nuova imposta, per di più patrimoniale (anche se riguardante la sola ricchezza finanziaria). Non è così. Abbiamo effettuato due indagini telefoniche su campioni rappresentativi (circa 800 interviste ciascuna). La prima indagine, svolta a livello nazionale, riguardava la accettazione della proposta nel caso di finanziamento mediante imposta patrimoniale. Il 91.3% degli intervistati ritiene che sia compito dello Stato creare direttamente lavoro; il 79.9% si dichiara favorevole al finanziamento del piano di assunzioni proposto con un prelievo fiscale sui patrimoni mobiliari superiori a 130.000E, e il 69.7% è d’accordo con un’imposta sul proprio stesso patrimonio, purché l’imposta sia chiaramente collegata al piano di assunzioni. La seconda indagine, svolta a livello piemontese, ha dato risultati molto incoraggianti per quanto riguarda la possibilità di una sperimentazione del finanziamento mediante contributi volontari: il 31.22% si è detto d’accordo (molto o abbastanza) con la frase “Se fossi certo che il progetto è serio, sarei anche disponibile a fare donazioni relativamente consistenti (sono escluse in ogni caso donazioni di modesta entità, via cellulare per esempio)”. Questo dato suggerisce che il progetto potrebbe avere un seguito molto significativo qualora venisse attuato con valide garanzie riguardo al suo realismo, alla sua effettiva implementazione e all’uso corretto e trasparente dei fondi.  E’ opportuno notare che in entrambe le indagini venivano intervistati solo soggetti con più di 45 anni, in modo da escludere coloro che avrebbero potuto beneficiare del progetto senza esserne contribuenti[3].

 

Tabelle

Tabella 1. Personale civile. Tutti i livelli di governo. Dati OECD 2011.

 

dipendenti settore pubblico 

Tabella 2. Numero di occupati in settori tipicamente pubblici, 2015. Migliaia. Fonte ILOSTAT[5].

dipendenti settore pubblico

A titolo indicativo, si può notare che se l’Italia assumesse 1.000.000 di persone il rapporto della riga 10  passerebbe da 12.63  a 10.50, un valore ancora molto alto; e che per avere gli stessi addetti amministrativi (e difesa) pro capite della Germania bisognerebbe assumerne 833.000.

 

* Gli autori della proposta sono: Angela Ambrosino (Università di Torino), Maria Luisa Bianco (Università del Piemonte Orientale), Flavio Ceravolo (Università di Pavia), Daniele Ciravegna (Università di Torino*), Bruno Contini (Università di Torino*), Caterina Galluccio (Università di Chieti), Giovanna Garrone (già all’Università del Piemonte Orientale), Nicola Negri (Università di Torino*), Guido Ortona (Università del Piemonte Orientale*), Lino Sau (Università di Torino), Francesco Scacciati (Università di Torino*), Andrea Surbone, Pietro Terna (Università di Torino*), Dario Togati (Università di Torino) e Riccardo Viale (Università di Milano-Bicocca).

Un asterisco indica che la persona è in pensione.

Gli indirizzi di posta elettronica sono nome.cognome@unito.it per l’Università di Torino, nome.cognome@unipv.it per l’Università di Pavia e nome.cognome@uniupo.it per l’Università del Piemonte Orientale.

 

 

[1] I dati si riferiscono al 2014, negli anni successivi è possibile che si siano leggermente modificati.

[2] Nel DEF di recente approvazione sembra che si aprano degli spazi in questo senso, il che potrebbe contribuire a semplificare le procedure.

[3] I risultati della ricerca sono illustrati in un working paper del dipartimento DIGSPES dell’Università del Piemonte Orientale scaricabile dal sito http://polis.unipmn.it/index.php?cosa=ricerca,polis&paper=3581&collana=13.

[4] Il dato della Germania è reso poco confrontabile dal regime privatistico del personale sanitario tedesco. L’incidenza della spesa per il personale sanitario sul PIL è infatti mediamente del 2% nell’Unione Europea (2.5% in Italia), mentre in Germania è solo dello 0.04%; mentre l’incidenza delle prestazioni sanitarie era rispettivamente del 2.6%, del 3.6% e del 6.4%. La tabella 2 sono più coerenti. I dati della tabella 2 sono più comparabili (tranne che per gli USA).

 

[5] “The employed comprise all persons of working age who, during a specified brief period, were in the following categories: a) paid employment (whether at work or with a job but not at work); or b) self-employment (whether at work or with an enterprise but not at work). Data are disaggregated by economic activity according to the latest version of the International Standard Industrial Classification of All Economic Activities (ISIC) available for that year. Economic activity refers to the main activity of the establishment in which a person worked during the reference period and does not depend on the specific duties or functions of the person’s job, but on the characteristics of the economic unit in which this person works.”

[6] Public administration, community, social and other services and activities.

[7] Dati ONU.

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