“Di mercato”: che cosa significava?

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Political and social notes

Molti svolgevano professionalmente “indagini di mercato”, “studi di mercato” o “ricerche di mercato”. Esistevano anche gli “esperti di mercato”, ma non era chiaro se coincidessero con coloro che avevano condotto studi, indagini o ricerche “di mercato” o si identificassero con coloro che avevano “studiato il mercato” o, ancora, se l’espressione alludesse a una categoria più ristretta – coloro che avevano condotto “ricerche di mercato” e al contempo avevano “studiato il mercato”. Né era chiaro per cosa si differenziassero gli “esperti di mercato” dagli esperti di materie o discipline più specifiche, per esempio gli “esperti di internazionalizzazione per le piccole e medie imprese”. Probabilmente, il riferimento al “mercato” designava uno speciale mercato, il “mercato finanziario”: di guisa che gli “esperti di mercato”, essendo esperti di quel mercato speciale nel quale circolava solo denaro, erano automaticamente esperti di tutto ciò che col denaro si poteva comprare – e dunque, più esperti di tutti.

In effetti, essi sapevano valutare gli “indici di mercato” e suggerire le “strategie di mercato”. Sapevano informare anche sui “trend di mercato” e conoscevano i “prezzi di mercato”. Non era detto che fossero altrettanto capaci di individuare nuove “idee di mercato” o anche semplicemente “nicchie di mercato”, mentre dovevano certamente essere in grado di distinguere fra il “trend di mercato” e lo “scenario di mercato”. Soprattutto, erano bravi a scomporre e ricomporre il mercato sotto molteplici punti di vista. Distinguevano le “zone di mercato”, le “quote di mercato”, i “dati di mercato”, i “settori di mercato”, i “segmenti di mercato” e i “processi di mercato”. “Andamenti di mercato”, invece, era un’espressione all’incirca equivalente a “trend di mercato”. Così come “fette di mercato” era un modo rozzo per dire alternativamente quote o settori di mercato. Non è invece certo che si considerasse assolutamente sostituibile l’espressione “dati di mercato” con “numeri di mercato”.

Le imprese, dal canto loro, volevano molto spesso aumentare la “quota di mercato”, anche se erano già “leader di mercato”. Va da sé che l’impresa che voleva “stare sul mercato” era tenuta a seguire una corretta “politica di mercato” ed ad avere sempre presente “l’obiettivo di mercato”: altrimenti sarebbe stata esposta al “calo di mercato” e perfino alla “crisi di mercato”. Ma erano soprattutto i giornalisti ad essere affetti da una sorta di “bulimia di mercato”. Non tanto quelli che si avvalevano di “fonti di mercato” o di “conoscenze di mercato”, né quelli che di tanto in tanto elargivano “pillole di mercato”, ma soprattutto quelli sportivi. Sì, perché nel campo del giornalismo sportivo l’espressione “di mercato” aveva trovato ulteriori e singolari usi: qui si davano “vertici di mercato” o “summit di mercato”, “colpi di mercato”, “bombe di mercato”, “voci di mercato”, “manovre di mercato”, “dispetti di mercato”, “operazioni di mercato”, “intrecci di mercato” e addirittura “derby di mercato” (quando due squadre della stessa città intendevano acquistare il medesimo calciatore). Molto spesso emergeva una “clamorosa indiscrezione di mercato”: anzi, se si considera la frequenza con cui si utilizzava quest’ultima espressione, si deve forse ipotizzare che l’aggettivo “clamorosa” avesse allora un significato diverso da quello che noi oggi gli attribuiamo.

Dal campo calcistico, poi, espressioni del genere tracimavano dappertutto. Non era infrequente, ad esempio, che si rinvenissero annunci di lavoro che promettevano “provvigioni al vertice di mercato”. Ma era soprattutto la sfera politica ad esprimere una rilevantissima “domanda di mercato”. In occasione delle elezioni, per esempio, si alludeva all’accettazione di candidature da parte di personalità eminenti dicendo che il raggruppamento tale o talaltro aveva realizzato uno straordinario “colpo di mercato”. Moltissimi, poi, peroravano le “riforme di mercato” e lodavano quelle introdotte dai legislatori di altre nazioni, dichiarando di avere anche loro “fame di mercato”: erano all’evidenza preoccupati che, ascoltando certe sirene che evocavano una “economia sociale di mercato”, i “valori di mercato” e gli “strumenti di mercato” potessero affermarsi in un “contesto non di mercato”. (Ai loro occhi, in effetti, un conto era il “capitalismo di mercato”, un altro e tutt’affatto diverso il “capitalismo di Stato”.) Perfino il legislatore aveva accolto il “lessico del mercato” e si era dato – con scarsi successi, in verità – a sanzionare gli “abusi di mercato”.

Gli storici stanno ancora indagando su come sia potuto accadere che la lingua italiana degenerasse al punto da rendere di uso generale un’espressione persino grammaticalmente dubbia come “di mercato”. Per fortuna, però, repentinamente com’era ascesa, essa tramontò in seguito all’avvento di un movimento politico radicale, che impose agli studiosi perfino di espungerla dalle nuove edizioni dei loro testi. Qualche studioso che si rifiutò fu addirittura aggredito da gruppi che si crede fossero di studenti. Altri gruppi, certamente di studenti, organizzarono dei veri e propri roghi con i libri che la contenevano. Ma sembra ormai acclarato che non furono questi episodi (che ebbero tutto sommato carattere abbastanza marginale) a comportarne la scomparsa: ci fu in realtà una nausea collettiva, un fastidio irrefrenabile che si scatenava nei più al solo leggere o sentir dire “di mercato”. Tanto che persino il ministro dell’Università e della Ricerca diramò una circolare con la quale imponeva a tutte le commissioni di concorso di chiedere a quei candidati che ancora ne facessero uso che cosa realmente significasse e raccomandava la bocciatura per quanti non avessero saputo rispondere con precisione.

Così, grazie al concorso di tutti questi fattori, nel giro di pochi anni l’espressione “di mercato” scomparve dalla lingua italiana scritta e parlata, senza nemmeno particolari scontri ideologici e politici. Ci si era resi conto che non significava assolutamente nulla.

 

* Professore associato di Diritto privato presso l’Università degli Studi della Tuscia.

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