Trappola della liquidità o trappola del risparmio?

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lqLa difficile e ostinata crisi dell’economia e della politica europea ha conosciuto nelle scorse settimane due passaggi significativi.

L’esito delle elezioni del 25 maggio ha messo all’ordine del giorno la “fine dell’austerità”. Nella consultazione si sono affermate invero due posizioni assai differenti: quella che domanda un indebolimento delle istituzioni europee tout court a beneficio delle singole identità nazionali e quella che invece sollecita un cambio di marcia della politica economica europea. Ma comunque la si guardi, l’attuale mix di politiche strutturali e austerità perde consenso, ed è ragionevole sperare in un cambio di rotta che tuttavia richiede un non facile cambio di prospettiva (tema che ho affrontato in Salviamo l’Europa dall’austerità[1]).

L’altro passaggio rilevante è stato il pacchetto di provvedimenti che la BCE ha annunciato il 5 giugno, accolto con un misto di compiacimento e perplessità. A mio parere, si tratta soltanto del seguito dell’azione che la BCE ha già intrapreso da oltre due anni e con la quale si propone di riportare i tassi del mercato monetario là dove la BCE li vuole (e cioè prossimi allo zero) e di normalizzare il sistema bancario dell’eurozona. La frammentazione del mercato interbancario sta gradualmente regredendo, ma rimane oggetto d’attenzione della BCE. Se l’azione avrà successo, sarà come aver slegato le gambe alle banche: che poi si mettano a correre, a camminare, oppure restino ferme, dipenderà poco o nulla dalla BCE.

Ad ogni buon conto, il nodo della discussione è sempre più tra chi sostiene l’urgenza della fine dell’austerità e chi confida nell’efficacia della politica monetaria per portare l’Europa fuori dal guado. Al netto degli interessi in gioco, è evidente che posizioni così contrastanti si richiamano a modelli macroeconomici differenti. E in un momento in cui torna alla pubblica attenzione la non nuova questione del pluralismo nell’insegnamento dell’economia, mi pare utile dar conto, ancorché in maniera sintetica e certo imperfetta, delle due costruzioni teoriche.

La trappola della liquidità

I critici della BCE sono convinti che la politica monetaria possa fare di più per allontanare l’Europa dalla quasi-depressione in cui si trova da quasi sei anni. Il presupposto è che per far crescere il Pil occorre stimolare la spesa, e questo accadrà quando il livello reale dei tassi d’interesse (ovvero, tasso di mercato meno tasso d’inflazione atteso) sarà sceso a sufficienza. La soluzione starebbe quindi in una politica intenzionalmente inflazionistica della banca centrale che dovrebbe smentire se stessa e convincerci di essere disposta a tollerare un’inflazione più elevata del 2%. Se il mercato crede alla promessa di inflazione, i tassi reali scendono e la spesa torna a crescere.

Sempre secondo questo modo di vedere, il circolo vizioso in cui si è cacciata l’economia europea si spiega facendo ricorso al concetto pseudo-keynesiano di trappola della liquidità. Dico pseudo-keynesiano perché Keynes ne fece solo un breve cenno, né fu lui a coniare il termine. Furono Tobin e Samuelson a introdurre la “trappola della liquidità” nel modello IS-LM di Hicks per spiegare l’inefficacia della politica monetaria e giustificare il ricorso alla politica di bilancio. Ma a partire dagli anni ‘80 si affermò la convinzione che il moltiplicatore della spesa è molto piccolo, e che finanziare la crescita col debito pubblico costringe a doverlo prima o poi monetizzare creando inflazione. L’uso della politica fiscale come strumento anti-ciclico perse significato e si impose un diverso mix, con al centro la manovra del tasso d’interesse e la politica fiscale in posizione neutrale. È allora che la trappola della liquidità rinasce a nuova vita per spiegare come un aumento del risparmio possa, in casi estremi, innescare la stagnazione e come la banca centrale debba rispondere.

Nel quadro teorico di cui parliamo, un aumento del risparmio deprime la crescita soltanto in casi eccezionali. Nei casi normali, l’abbondanza di risparmio dovrebbe ridurre il tasso d’interesse reale e quindi stimolare la spesa ripristinando “l’equilibrio di lungo periodo”. Ma se il meccanismo si inceppa seguiranno mali estremi (ai quali occorreranno estremi rimedi). Ciò accade se 1) il risparmio è così grande che il tasso reale di equilibrio è molto basso o negativo; e 2) la banca centrale non riesce a ridurre il tasso reale al livello necessario per ripristinare il flusso di spesa. A quel punto, non essendo operativo il meccanismo del tasso d’interesse, il calo del Pil è inevitabile. Ciò a sua volta innesca un circolo vizioso: se il calo del Pil fa scendere i prezzi, il tasso reale sale (mentre dovrebbe diminuire per riportare in alto la spesa) e ci allontaniamo dalla soluzione.

In buona sostanza, quando il tasso d’interesse (reale) troppo alto deprime il Pil, e il taglio dei tassi non basta, la ricetta (estrema) è creare aspettative di inflazione[2].

La trappola del risparmio

Una diversa schiera di critici se la prende invece non tanto con la BCE quanto con la politica fiscale europea orientata al pareggio di bilancio per tutti i livelli di governo. Anche in questo caso, il calo del reddito è spiegato da un aumento del risparmio. E anche in questo caso, la caduta del Pil può innescare un processo che si auto-alimenta. Ma “risparmio” e processo di aggiustamento sono qui descritti in maniera più coerente con le caratteristiche finanziarie di un’economia monetaria, e la ricetta è un’altra.

In questo modello[3], il concetto chiave è quello di risparmio finanziario, ovvero l’eccesso del reddito sulla spesa complessiva. Altrettanto fondamentale è l’idea che ad ogni risparmiatore corrisponde un debitore.[4] Ciò significa che qualsiasi forma di risparmio finanziario è resa possibile dal debito di qualche altro attore nel sistema. Pil e occupazione calano non quando il risparmio è “eccessivo”, ma quando prevale l’intento di alcuni a risparmiare di più assieme all’intento di altri a ridurre il debito.

Vediamo un esempio plasmato sul caso dell’Eurozona, dove il risparmio finanziario di famiglie e società finanziarie è positivo, mentre quello delle imprese non finanziarie, del settore pubblico e del settore estero è negativo.[5] Quando l’Europa cresceva, al risparmio degli uni corrispondeva il debito degli altri. Ma con la Grande Recessione il debito privato è divenuto insostenibile e famiglie e imprese desiderano più risparmio e meno debito. Come è evidente qualcosa non quadra, a meno che un altro settore sia disponibile ad assorbire un maggior disavanzo, dando così sollievo a famiglie e imprese, ed evitare in tal modo un crollo della domanda. Può trattarsi del settore estero, ed ecco perché una crescita delle esportazioni nette fa bene al Pil. Oppure del settore pubblico, se questo si assume la responsabilità di compensare la domanda di risparmio da parte del settore privato senza costringerlo nel circolo vizioso di una stagnazione. Naturalmente, il rigore fiscale a tutto campo rende impossibile questa assunzione di responsabilità.

In sintesi, se nel modello della trappola della liquidità il calo del tasso d’interesse reale ripristina la crescita, nel modello della trappola del risparmio la funzione del bilancio del settore pubblico è di impedire che il desiderio di risparmio da parte di uno o più settori inneschi una crescita del debito privato non sostenibile.[6] Non serve dunque la banca centrale. Occorre invece una politica che non confonda il risanamento (sacrosanto!) dello stato con il risanamento dei conti pubblici, che devono essere invece al servizio dell’economia, e non viceversa.

2014: L’anno della svolta?

Dopo le elezioni si sono moltiplicati gli appelli contro l’austerità. Già, ma come? Al di là delle dichiarazioni di principio, non mi pare ancora chiara la cornice concettuale e politica che potrà efficacemente aggredire quel numero (26 milioni di disoccupati) che pesa come un macigno sull’Unione Europea. Due fondamentali avvertenze sono d’obbligo.

La convinzione che il problema sia la trappola della liquidità e che la BCE abbia ancora in serbo un bazooka per sconfiggerla non fa che rinviare la fine del rigore fiscale. La perdita di consenso per l’austerità non basterà a cambiare strada, se si continua a pensare che sarà la BCE a cavare le castagne dal fuoco. Si può anzi azzardare l’ipotesi che il consenso tedesco per l’ultima manovra di Draghi si spieghi così: “qualsiasi cosa, fuorché sconfessare l’austerità”.

È bene anche tener conto dei rischi dell’austerità morbida in un solo paese. Un allentamento della politica fiscale che sia davvero in grado di dare respiro alla domanda e all’occupazione deve avere come oggetto l’intera economia europea, e non di questo o di quel paese. Sforare di qualche punto le regole del Fiscal Compact in un paese solo avrebbe, in un mercato unico, effetti limitati sull’occupazione. Anche per questo, conviene all’Italia non limitarsi a chiedere un po’ di benevolenza, ma contribuire piuttosto a una soluzione politica per un allentamento fiscale comune a tutta l’economia europea, senza il quale difficilmente l’Europa uscirà dal guado.

 

Franklin University Switzerland e Levy Economics Institute

 

[1] Andrea Terzi, Salviamo l’Europa dall’austerità, Vita e Pensiero, 2014.
[2] L’esperienza degli scorsi anni, tuttavia, offre ampia evidenza del fatto che le banche centrali fanno fatica a creare inflazione.
[3] Il modello è riconducibile a Keynes, Kalecki, Steindl, ed è coerente con la letteratura neo-cartalista.
[4] Un dato incontrovertibile della contabilità macroeconomica è che la somma del saldo del risparmio finanziario di tutti i settori è zero.
[5] Il saldo negativo del settore estero corrisponde all’avanzo delle partite correnti dell’eurozona.
[6] Josef Steindl (1983) “The Control of the Economy”, Banca Nazionale del Lavoro Quarterly Review, vol. 36 n. 146, pp. 235-248.

 

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