Una politica economica dell’offerta per affrontare la depressione schumpeteriana dell’economia europea

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Political and social notes

Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’articolo del prof. Cristiano Antonelli, dell’Università di Torino, unitamente a un commento di Roberto Ciccone, docente presso l’Università di Roma Tre e membro della redazione di Economia e politica.

 

L’economia europea è ormai entrata in una evidente fase depressiva destinata a durare alcuni anni. Alcuni anni saranno necessari per tornare semplicemente ai livelli di reddito raggiunti nel 2007. L’economia europea è uscita nel corso del 2009 dalla fase più acuta della recessione innescata dalla crisi grazie al salvataggio della finanza angloamericana, la crescita esponenziale del debito pubblico e l’immissione di quantità immense di liquidità monetaria. L’intensità della crisi è stata tuttavia tale da eludere che si tratti di un elemento congiunturale più o meno accidentale. La crisi del 2007-2009 ha tutti i caratteri della classica recessione schumpeteriana in cui l’euforia finanziaria basata sulla prolungata espansione fondata sul grappolo delle innovazioni digitali ha infine incontrato il moloch della sovracapacità produttiva ed è crollata nel vortice tipico dei processi di deleveraging.

Questo appare tanto più vero in quanto si concentri l’attenzione sull’economia europea. Altre parti dell’economia mondiale possono infatti contare sulle opportunità offerte dal processo di rincorsa basato sulle possibilità di assimilare l’enorme stock di tecnologia messo a punto nell’area OCSE e ancora poco utilizzato. L’economia europea, stretta tra la rincorsa dei paesi in via di rapida industrializzazione e il dominio del dollaro rischia di sperimentare appieno le conseguenze negative tipiche della prolungata depressione che segue nel modello schumpeteriano la fase recessiva.

Il modello schumpeteriano diventa particolarmente rilevante per comprendere i caratteri di una crisi così grave e profonda da assumere carattere di crisi strutturale. Alla fine della recessione infatti non segue necessariamente la ripresa, come si postula nell’esigua letteratura sul ciclo economico di matrice ortodossa.

Nel modello schumpeteriano del ciclo strutturale di lungo periodo alla recessione segue la depressione. La depressione è la fase economica, in genere assai prolungata, necessaria per diluire gli effetti dell’euforia finanziaria e dell’eccesso di investimenti che si erano prodotti nella precedente fase espansiva fondata sul grappolo di tecnologie radicali introdotte a suo tempo e culminata nella recessione. La depressione è alimentata dalla drastica selezione delle imprese, con il fallimento di quelle troppo esposte sul piano finanziario e con una struttura produttiva fragile. In questa fase si produce anche un profondo cambiamento strutturale che elimina dai mercati i settori obsoleti e facilita gli aggiustamenti alla nuova divisione internazionale del lavoro. Si ridefiniscono così i criteri della specializzazione produttiva dei singoli paesi e quindi le regole della divisione internazionale del lavoro.

Nel modello schumpeteriano si esce dalla depressione solo quando un nuovo grappolo di innovazioni riesca a formarsi e si traduca in nuove opportunità di crescita, investimento e profitto. Il modello schumpeteriano è di straordinaria rilevanza per capire il processo in corso e la necessità di elaborare un progetto di politica economica dal lato dell’offerta.

Gli interventi di politica economica che si sono succeduti negli anni tra il 2001 e il 2007 sono stati fallimentari proprio perché hanno avuto carattere esclusivamente finanziario ed erano privi di ogni consapevolezza della rapida involuzione in corso nell’economia reale. Quegli interventi di politica economica furono inadeguati perchè basati su una lettura esclusivamente finanziaria della crisi in atto che ignorava l’andamento dell’economia reale e, in quanto privi di ogni consapevolezza della rapida involuzione in corso nell’economia reale, hanno avuto carattere esclusivamente finanziario. Hanno di fatto accompagnato e poi tamponato la recessione, ma non evitato l’avvio della depressione.

Il contesto di forte globalizzazione dei mercati dei prodotti rende il modello schumpeteriano, con la sua enfasi sull’offerta, anziché sulla domanda, particolarmente cogente. Bisogna rendersi conto che, nell’attuale contesto dell’economia mondiale, interventi di politica economica ti tipo keynesiano volti ad aumentare la domanda aggregata rischiano di tradursi esclusivamente nell’aumento delle esportazioni da parte delle economie a valuta debole.

La depressione è con noi ed è destinata ad accompagnarci per alcuni anni. Sembra del tutto ragionevole stimare che il nostro sistema economico rimarrà in una fase depressiva per un lasso di tempo stimabile da un minimo di tre a un massimo sette anni.

Del resto i livelli e tassi della disoccupazione dimostrano la gravità della situazione. La disoccupazione ha raggiunto e superato livelli impensabili fino a pochi anni fa stabilizzandosi su una percentuale pari al 10% della popolazione attiva, a sua volta in sensibile riduzione. Nei paesi periferici la disoccupazione ha largamente superato il 10% toccando punte del 20% come in Spagna e Grecia. In tutta l’Eurozona la disoccupazione è inoltre ancora in crescita nel corso del 2010. Mentre numerosi osservatori stimano che il recupero dei livelli di prodotto interno lordo ante-crisi richiederà non meno di 5 anni, è crescente la consapevolezza che il ritorno a tassi di disoccupazione ‘fisiologica’ intorno al 5% possa richiedere oltre un decennio.

Iniziative e comportamenti volti al contenimento del cambio dell’Euro, largamente sopravvalutato, potrebbe avere effetti efficaci, anche in quanto consentirebbe di contrastare il tentativo dell’Amministrazione Obama di scaricare sull’Europa il costo dell’aggiustamento. In questo senso la crisi finanziaria di alcuni paesi dell’Eurozona potrebbe essere colta come una opportunità per ristabilire condizioni meno asimmetriche e subordinate nel rapporto di forza con gli USA.

In questo contesto il caso italiano appare drammatico. Nel caso italiano i margini della politica economica in Italia sono assai ristretti. Il livello abnorme dello stock di debito pubblico e il considerevole livello del deficit non consentono interventi di espansione della domanda pubblica.

Molti paesi hanno raggiunto o raggiungeranno tra breve il livello del debito pubblico italiano in rapporto al prodotto interno lordo. L’enorme crescita del debito sovrano renderà i mercati obbligazionari internazionali particolarmente selettivi con un aumento generalizzato della volatilità e elevati livelli di rischio per l’Italia.

Il vincolo di finanza pubblica non può diventare la giustificazione per l’assoluta inerzia e mancanza progettuale in cui si trascina la politica economica italiana. La classe dirigente italiana deve uscire da questa fase di prolungato torpore progettuale e sostanziale irresponsabilità politica.

Un progetto di politica economica responsabile deve essere capace di distinguere gli orizzonti temporali. Si deve distinguere tra interventi di breve termine volti a contenere e ridurre la crescente disoccupazione e accelerare il ritorno a tassi di crescita adeguati, da interventi strutturali di medio periodo che sappiano finalmente porre le basi per un processo di sviluppo sostenibile. Per questo secondo livello di intervento è necessario elaborare un progetto strategico che individui il modello di specializzazione più adeguato alle capacità del paese e sia capace di organizzare vere e proprie coalizioni per l’innovazione in grado di orientare la convergenza e l’integrazione delle iniziative delle singole imprese su progetti collettivi di ampio respiro strutturale che promuovano l’introduzione di intere filiere innovative. Parte indispensabile di questo secondo livello è certamente un’azione incisiva presso la Commissione dell’Unione Europea e il Parlamento Europeo affinché le immense potenzialità dell’Unione siamo infine valorizzate per promuovere e accelerare l’emergenza dei nuovi grappoli tecnologici.

Ma incisivi interventi politica economica dal lato dell’offerta sono urgenti e necessari nell’immediato per ridurre la crescita della disoccupazione e soprattutto per accelerare i tempi di uscita dalla depressione.

La depressione si accompagna da processi di trasformazione strutturale e di selezione che è necessario agevolare ed accelerare: non bisogna difendere il passato, ma costruire il futuro. La riduzione delle barriere all’entrata e soprattutto all’uscita in questo momento è più che mai necessaria. Si deve potenziare la capacità del sistema di adattarsi alle mutate condizioni della competizione. L’abbandono di parti consistenti del sistema manifatturiero è ormai una necessità evidente. La sua difesa attraverso il continuo incremento dell’offerta di lavoro, ottenuto attraverso la difesa e talora l’incoraggiamento delle impetuose ondate di immigrazione clandestina, è fallace e destinato al fallimento.

La riduzione della spesa pubblica si impone come una necessità assoluta al fine di mobilizzare le risorse necessarie e non altrimenti disponibili, per sostenere l’ uscita dalla depressione. Il prolungamento dell’età pensionabile e il congelamento dei salari dei lavoratori pubblici, cresciuti in misura del tutto eccessiva negli ultimi anni, sono provvedimenti ormai necessari.

Dal lato delle entrate si impone l’aumento netto del prelievo fiscale sulle rendite patrimoniali. Per quanto riguarda le rendite della ricchezza mobiliare è evidente che è urgente adeguare le aliquote fisse alle medie europee pari al 20%. Conviene poi riflettere seriamente sull’opportunità di includere le rendite mobiliari nel calcolo del reddito sottomesso all’IRPEF con i conseguenti effetti di tassazione progressiva. Appare infatti sorprendente la ricorrente difesa dei meriti della progressività dell’imposizione fiscale per poi applicarla, di fatto, ai soli redditi da lavoro. Per quanto riguarda le rendite immobiliari è urgente il ritorno all’ICI applicato su tutto il patrimonio immobiliare, sia esso costituito da prime o seconde case. La diretta partecipazione delle amministrazioni comunali ad una quota del ricavo consentirà di coinvolgerne le superiori capacità di accertamento e ridurre l’elevata evasione fiscale.

Le risorse così liberate valutabili nell’ordine di 5-6 miliardi di Euro all’anno potranno essere utilizzate per sostenere la crescita delle imprese più efficienti e che siano capaci di esprimere tassi di crescita non sporadici dell’occupazione. Solo concentrando le risorse sulle imprese che si dimostrano effettivamente capaci di uscire dalla depressione, si potrà favorire la crescita del paese nel suo complesso.

Gli interventi a sostegno dell’occupazione e della crescita delle imprese più dinamiche devono poi essere rafforzati con interventi mirati nelle filiere più promettenti dell’economia italiana come l’ampio agglomerato delle industrie del lusso, il comparto dei beni capitali e nelle filiere delle energie rinnovabili e della biomedicina al fine di trascinare l’insieme del sistema economico dalle secche depressive in cui è impantanato accelerando i tempi di ripresa.

In conclusione, la crisi in corso ha ormai assunto, soprattutto per l’economia europea, i caratteri di una depressione destinata a durare alcuni anni. Il contesto dell’economia mondiale rende irrilevanti se non perniciosi interventi dal lato della domanda. Interventi incisivi di politica economica dal lato dell’offerta sono urgenti. La riduzione della spesa pubblica e dei trasferimenti da un lato e l’aumento del prelievo fiscale sulle rendite patrimoniali dall’altro sono assolutamente necessari per concentrare le risorse sull’accelerazione della crescita delle componenti più forti e attive del sistema economico nazionale.

Sono questi provvedimenti necessari per contenere la crescita della disoccupazione e accelerare l’uscita dalla depressione che è meglio prendere in condizioni di relativa autonomia decisionale piuttosto che sotto il tallone di una crisi finanziaria imminente che renderebbe necessarie le stesse misure, ma a quel punto destinate al solo fine di tagliare deficit e debito pubblico.

La classe dirigente italiana deve uscire dal suo torpore e formulare proposte di politica economica adeguate a fronteggiare una vera e propria depressione schumpeteriana.

 

*Università di Torino e Collegio Carlo Alberto.

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