Reddito di Cittadinanza: una riforma necessaria ma difficile da realizzare

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Political and social notes

RDC | Il governo giallo-verde ha scelto di finanziare politiche per il lavoro e l’inclusione sociale attraverso uno schema di reddito minimo condizionato su base familiare (RdC) per persone in cerca e pensionati (con una apertura ai working poor). In questo articolo si valuteranno i pro e i contro della misura.

1.Perché il Reddito di Cittadinanza

La discontinuità lavorativa è ormai una condizione endemica e varie sono le ricette per attenuarne gli effetti deteriori. La Commissione Onofri[1] trent’anni fa aveva già previsto tutto. Oltre alla necessità di legare le pensioni alla contribuzione e alla demografia, di distinguere tra assistenza e previdenza, di creare nuovi servizi, indicava come necessario un reddito minimo nelle fasi di disoccupazione involontaria.

Gazier e Gautié (2009) vedono il lavoro in maniera dinamica, attraverso i mercati del lavoro transizionali, in cui continue “trasformazioni” si succedono nella vita. Il processo di intertransizione – intermediazione e transizione continua, (Mandrone, Radicchia, Spizzichino, 2015) – produce una nuova prospettiva per lo Stato Sociale che dovrebbe assumere una forma evolutiva, in grado di adeguarsi da un lato ai cambiamenti tecnologici e organizzativi e, d’altro, ai nuovi bisogni sociali. Finalmente si riconosce il superamento del legame tra “diritti, reddito e lavoro” (Supiot, 2003). Tridico (2015) offre una rapida rassegna sui modelli egli effetti di schemi di reddito minimo condizionato in Europa.

 2. Come funziona il Reddito di Cittadinanza

Il Reddito di Cittadinanza (RdC) italiano predispone un unico strumento per 3 distinte misure: 1) un sussidio di disoccupazione, 2) un reddito per i poveri e 3) una integrazione al reddito delle pensioni minime (Adapt, 2019).

La condizionalità al beneficio è rilevante: le clausole di congruità dell’offerta e di distanza dalla residenza peggiorano rapidamente, tuttavia è stato inserito il limite inferiore di 852€ per render la proposta non accettabile. Si richiede un impegno leale con lo Stato, di prestare tempo alla comunità (da 8 a 16 ore) e di impegnarsi nella formazione. Bisogna essere cittadini italiani (o risiedervi da 10 anni) o europei. Niente macchine o moto nuove. Il reddito familiare deve essere sotto i 6 mila euro annui (di più in caso di casa in affitto, prima casa esclusa), l’Isee deve essere inferiore a 9.360 euro e i beni immobili non devono superare i 30mila euro.

Il Rdc introduce il ‘patto per l’inclusione sociale’ e un ruolo nuovo per i Cpi in collaborazione con i ‘comuni’. Questa attenzione per il disagio sociale è in continuità con il recente passato, ma si aumentano significativamente le risorse dedicate, le platee coinvolte e il contenuto dei servizi. Il decreto, quindi, sconfina dalle politiche del lavoro a quelle sociali in cui, però, la figura dell’assistente sociale è già ben identificata e l’ambito strutturato da tempo. Inoltre, questa utenza spesso ha anche esigenze sanitarie, per cui richiedono una multidimensionalità nel trattamento che è al di fuori delle possibilità degli attuali Cpi. Le misure a carattere sociale costituiscono “livello essenziale delle prestazioni”.

L’idea è un percorso propedeutico dove prima va recuperato l’individuo e incluso nella comunità e poi avviato al lavoro. Tuttavia, il lavoro non è una condizione necessaria e sufficiente per uscire dalla povertà. Più della mancanza di lavoro fanno precipitare nella povertà la perdita della salute (propria o di un familiare) e della casa. Il 50% delle persone coinvolte da politiche sociali ha una occupazione, ma sono retribuzioni troppo basse (working poor) per vivere decorosamente.

La pensione di cittadinanza, invece, è una integrazione degli assegni più bassi, senza particolari limitazioni. Peccato non aver perseverato per il pagamento elettronico: si sarebbe ottenuto un importante risultato di avvicinamento alle carte di pagamento generazioni poco avvezze al loro utilizzo e garantito la spesa corrette, necessaria alla domanda interna, come stimolo economico per la crescita.

3.L’operatività del Reddito di Cittadinanza

La “domanda” dell’utenza dei Centri per l’impiego (Cpi) è sempre più frutto di un processo di analisi con gli operatori rispetto ai fabbisogni (non solo) lavorativi del cittadino. Da ciò deriva il ruolo cruciale e complesso del personale (operatore, coach o navigator), che dovrà essere in grado di fornire una pluralità di servizi e rispondere a molteplici bisogni. Il principale impiego non dev’essere gestire la condizionalità. La qualità del reclutamento dei 10.000 (3 o 6.000 regionali e 4.000 Anpal Servizi) operatori sarà la cifra dei CPI su cui potremo contare nei prossimi anni, qualsiasi politica si attui[2]. Pure sul versante formazione è necessario un ripensamento poiché spesso la formazione erogata non è stata di qualità e ha prodotto scarsi effetti sull’occupabilità.

Questa funzione di one stop shop farebbe dei Cpi un referente unico tra utenza, servizi privati ed istituzioni pubbliche, deputate alla attivazione della vita economica e sociale degli individui. Tutto questo richiede un sistema di sotto-servizi considerevole (piattaforme informatiche, db nazionali, repertori professioni e formazione, orientamento, personale adeguato) e l’assetto istituzionale attuale non è l’ideale.

In termini di tematiche – il sociale, il lavoro, la scuola, ecc. – hanno logiche e approcci, tradizionalmente, diversi e poco integrati. Questa nuova funzione impone un cambio di paradigma netto ai Cpi: si passa dall’individuo al nucleo familiare (D.L.159 /2013). Maggior attenzione andrebbe riservata alla ponderazione per il numero di componenti e l’indice di disagio complessivo.

Il monitoraggio Anpal del 2018 mostra come nei 552 uffici territoriali, i quasi 8.000 operatori hanno già oltre 380 utenti l’anno. Si capisce bene come a questo sistema non si possa chiedere di gestire gli oltre 4 milioni di destinatari potenziali[3] di RdC e la relativa gestione, senza parlare delle azioni per collocazione diretta[4].

 4.Le rose e le spine

Complessivamente, appare condivisibile e positivo

  • il tentativo di modernizzare il nostro welfare; sbilanciato sulla previdenza,
  • la continuità con iniziative dei governi precedenti; cambiare solo per dire che c’è discontinuità con il passato è una visione egoista ed arrogante che spesso ha rallentato i processi di riforma nel nostro Paese,
  • il tentativo di perequazione sociale, timido, ma pur sempre una inversione di tendenza,
  • l’aver messo importanti risorse umane e finanziarie nelle misure e nelle infrastrutture del sistema delle politiche del lavoro,

Congiurano, invece, sul buon esito della riforma

  • la capacità dei Cpi (e dei Comuni) di far fronte a queste nuove sfide, attualmente non sono ancora in grado di erogare le misure e le azioni previste
  • l’assetto istituzionale irrisolto (competenze condivise tra Stato e Regioni)
  • piattaforme informatiche da costruire (Siulp per il lavoro e Siuss per l’inclusione)[5].
  • la commistione degli ambiti lavoro e sociale è foriera di complessità gestionale;
  • i tempi stretti di realizzazione, dettati dall’agenda politica;
  • un disegno uniforme in un contesto eterogeneo rischia di produrre distorsioni economiche e alterazioni transitorie della partecipazione;
  • le misure non sono strutturali.
  • la creazione di molti incentivi, cumulabili e in parte sovrapponibili, che possono creare effetti concorrenti e spiazzare l’offerta.

I decreti attuativi chiariranno meglio sia l’operatività delle misure che i dettagli dei servizi, delle platee e risolveranno eventuali conflitti di competenza.

5. Considerazioni conclusive

Purtroppo, sta montando una campagna paternalistica legata ad una certa idea di povertà (Saraceno, 2018): quelli che ben pensano (Di Gesù, 1997) temono che con il RdC ci si vada a divertire o ci si sieda sul divano. Per scongiurare l’azzardo morale si è creato un sistema di controllo della vita delle persone orwelliano, che tradisce lo spirito della riforma, che scoraggia i più deboli e fragili.

Si prescrivono controlli rigorosi: addirittura chi lavora in nero verrà, improvvisamente, perseguito penalmente (2-6 anni di carcere). Ma questa severità[6] andava praticata indipendentemente dal reddito di cittadinanza. Dovrebbe valere per il caporalato, l’evasione fiscale, l’abuso edilizio o lo smaltimento dei rifiuti. Andrebbe invertito l’ordine degli interventi: prima la legalità e poi il RdC. Non si confonda burocrazia e giustizia.

Anomalo è pure il diverso trattamento tra domanda e offerta: i sussidi alle imprese sono a pioggia e quelli alle persone sono rigidamente condizionati. Una diversa franchigia sul senso civico che sa di doppia morale.

La moderazione salariale ha esaurito il suo mandato da tempo finendo con il favorire il fenomeno dei working poor (Canale e Liotti 2019). È sempre più urgente una revisione strutturale della tassazione del lavoro, in cui si riduca il cuneo fiscale a favore di un reddito disponibile per i lavoratori stabilmente maggiore. Una dinamica è necessaria per far recuperare livelli continentali alle nostre retribuzioni[7], per alimentare la dispensa previdenziale, per sostenere i consumi e il gettito fiscale.

Il Rdc non è un salario minimo (che pare essere in corso di realizzazione) tuttavia svolge un qualche effetto sul reddito di riserva, creando aspettative di guadagno che influenzeranno i prezzi/salario di mercato e la propensione alla partecipazione.

Ma una volta creati bellissimi Cpi come si farà a far conferire le occasioni in un Sistema Informativo Unico? In buona sostanza nulla si fa per allargare il mercato del lavoro –l’intermediazione informale è oltre il 60% in Italia e Spagna, contro il 40% di Germania e Svezia – e renderlo trasparente e concorrenziale. Ancora una volta si trascura il “come” si trova lavoro[8], passaggio nevralgico per garantire le pari opportunità, la mobilità sociale e interrompere la fuga di cervelli

Per alimentare i database si dovrebbero dunque legare tutti gli incentivi al conferimento dei posti di lavoro al SIU e a un selezione garantita dai Cpi. Invece, la soluzione non originale del Governo è quella di trasferire l’assegno del RdC all’impresa[9], sotto forma di esonero contributivo. Nel Sud, si può cumulare con la decontribuzione per i disoccupati da 6 mesi con meno di 35 anni, fino ad ottenere un credito d’imposta. Concreto è il rischio che trasferimenti di importo uniforme comportino un disincentivo alla partecipazione per il Sud, dove il 45% delle retribuzioni è inferiore a 780€.

Volgere le politiche attive in passive non è un espediente nuovo e si comprende il duplice intento: oltre all’azione diretta (di booster) sui redditi familiari (depressi da una crisi lunga e profonda) producono anche un effetto indiretto sull’economia, rappresentando uno stimolo alla spesa, tanto più avendo vincolato la continuità del trattamento al suo uso al 90% dell’importo attraverso una carta di credito postale.

Questo secondo aspetto del RdC sarebbe potuto essere enfatizzato dall’Esecutivo, affiancandoli stimoli sul versante investimenti pubblici, per attivare moltiplicatori più robusti, necessari per portare il paese sul sentiero di una crescita stabile, come sostenuto da su economiaepolitica.it da Realfonzo e Viscione (2019).

 

(*) Istat, Primo Ricercatore, Economista. Le opinioni espresse non impegnano l’Istituto d’appartenenza

 Bibliografia

Gazier B., Gautié J., The”Transitional Labour Markets” Approach: Theory, history and Future Research Agenda, Documents de travail du Centre d’Economie de la Sorbonne, 2009.

Canale R. R., Liotti Working poor | Lavoro e povertà: le conseguenze della flessibilità. EconomiaePolitica, 2019.

Iannello C., Regionalismo differenziato: disarticolazione dello Stato e lesione del principio di uguaglianza, EconomiaePolitica, 2019.

Mandrone E., La ricerca del lavoro in Italia: l’intermediazione pubblica, privata e informale, Rivista di Politica Economica, 27, 1, 83-123, 2011.

Mandrone E., Riforme che tolgono diritti e crescita del populismo, EconomiaePolitica, 2018.

Mandrone E., Radicchia D., Spizzichino A., Inter-transizione: intermediazione e transizione lavorativa, Rivista Italiana di Economia Demografia e Statistica, 2015.

Marocco M., Spattini S., (a cura di), Reddito di cittadinanza: reddito minimo garantito o politica attiva del lavoro? E-book Adapt, 2019.

Saraceno C., Reddito di cittadinanza, una certa idea di povertà, La repubblica, 4.10.2018.

Supiot A., Transformation of labour and future of labour law in Europe, Commissione Europea, 1998.

Thaler H. R. e Sunstein C. R., Nudge: Improving Decisions about Health, Wealth, and HappinessYale University Press, 2008.

Tridico P., Produttività, contrattazione e salario di risultato: un confronto tra l’Italia e il resto d’Europa, Economia&Lavoro, n° 2, 2014.

Tridico P., Reddito di cittadinanza, quali effetti in Italia e in Europa? EconomiaePolitica, 2018.

[1] “La grande anomalia della situazione italiana”, più che l’entità della spesa complessiva per la protezione sociale, “riguarda piuttosto la struttura interna della spesa: i confronti europei mettono in luce infatti […] marcate distorsioni”. Fra queste “risalta […] l’assenza in Italia di uno schema di reddito minimo per chi è totalmente sprovvisto di mezzi. Tutti i Paesi europei sviluppati dispongono di questo tipo di schemi e servizi”. La mutata realtà del lavoro e della società (era 1997, ndA) richiede l’introduzione di un diritto soggettivo di cittadinanza, immune dall’aleatorietà delle risorse di affiancato da articolate misure di accompagnamento, volte a reintegrare i beneficiari nel tessuto sociale ed economico circostante. Il minimo vitale deve rappresentare una rete di protezione cui qualsiasi cittadino, indipendentemente dal genere, dalla classe sociale, dalla professione, in condizioni di indigenza per ragioni non dipendenti dalla propria volontà, possa accedere per trovare un sostegno economico e servizi per uscire dallo stato di bisogno.

[2] Ogni politica richiede degli attuatori. Sovente nel nostro Paese, insieme alla misure, è necessario creare i presidi deputati ad erogarle, con un doppio sforzo che rallenta l’intervento e gli effetti.

[3] La platea del Rdc è stimata, con un tasso di utilizzo dell’85%, da Istat in 1,3 milioni di famiglie (oltre 700.000 al sud) e 2,7 milioni di individui. Leggermente inferiori le stime Inps. Il Ministero del Lavoro stima 1,7 milioni di famiglie e 4,9 milioni di individui. Più inattivi che disoccupati, più single che famiglie, più al Sud che al Nord.

[4] Il dato del 3% di capacità di collocazione dei Cpi, ignora che la funzione dal 2000 è quella di facilitare la ricerca e la riqualificazione delle persone, la collocazione è prevalentemente per le categorie protette

[5] Se i territori saranno gelosi delle proprie vacancy, orgogliosi dei propri sistemi (anche avvalendosi delle agenzie private), confidenti nella sussidiarietà, forte è il rischio di comportamenti opportunistici, di migrazioni interne e di complessi sistemi di compensazione. E cosa succederà quando alcuni territori come Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna chiederanno maggiore autonomia finanziaria attraverso il Regionalismo differenziato? (Iannello, 2019)

[6]Si arriva addirittura al penale, una novità nella legislazione sul lavoro” Impellizzieri (2019).

[7] Il RdC non può svolgere una funzione di salario minimo, ma solo sostenere il salario di riserva.

[8] “Appare singolare la differente indignazione che l’ereditarietà suscita in politica e in economia. Inammissibile appare una trasmissione ereditaria del potere politico, di padre in figlio, di stampo aristocratico. Molto più tollerata è invece l’ereditarietà dei beni economici, del potere industriale, del patrimonio immobiliare. Se la prima non è più una minaccia, la seconda è un problema crescente, non nuovo, al quale la progressività del fisco, le imposte dirette e la tassa di successione ponevano un piccolo limite, svolgendo una rigenerante azione di messa a maggese” (Mandrone 2011).

[9] Per assunzioni a tempo pieno e tempo indeterminato, per aprire una attività autonoma o per fare attività di formazione. L’incremento occupazionale dev’essere netto, ovvero additivo e non sostitutivo.

Rdc | Analisi della riforma dei centri per l’impiego e del reddito di cittadinanza

rdc La condizionalità al beneficio è rilevante: le clausole di congruità dell’offerta e di distanza dalla residenza peggiorano rapidamente, tuttavia è stato inserito il limite inferiore di 852€ per render la proposta non accettabile. Si richiede un impegno leale con lo Stato, di prestare tempo alla comunità (da 8 a 16 ore) e di impegnarsi nella formazione. Bisogna essere cittadini italiani (o risiedervi da 10 anni) o europei. Niente macchine o moto nuove.
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