Socialismo, mercato o altro?

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Political and social notes

Recensione di ENTERPRISES, INDUSTRY AND INNOVATION IN THE PEOPLE’S REPUBLIC OF CHINA Questioning Socialism from Deng to the Trade and Tech War di Alberto Gabriele

Negli ultimi mesi la Cina è sempre più spesso oggetto del dibattito pubblico e delle discussioni private. La ragione è tristemente legata alla pandemia mondiale di Covid-19. Questo paese sembra infatti essere il luogo dove si è sviluppato il virus e dove questo ha mietuto le sue prime vittime. Subito dopo, però, la Cina è diventata il primo paese a bloccare la pandemia con un drastico e rigoroso lock-down, è riuscita a costruire un ospedale in dieci giorni per aiutare i malati di Wuhan, è stata uno dei primi paesi a sviluppare vaccini efficaci. In occidente tutto ciò ha creato molta curiosità, ammirazione e timore. Oggi in Cina i casi ufficiali di Covid-19 sono circa 90.000; in Italia, Francia, Spagna e Germania i numeri oscillano tra i 3 e i 5 milioni; negli USA oltre 31,5 milioni; in Russia più di 4,5 milioni; in India quasi 13 milioni. Inutile dire che la Cina è il paese più popoloso al mondo con circa 1,5 miliardi di abitanti e che il contagio per abitante è infinitamente minore rispetto a quello dei paesi occidentali[1].

Come spiegare questo successo? ENTERPRISES, INDUSTRY AND INNOVATION IN THE PEOPLE’S REPUBLIC OF CHINA Questioning Socialism from Deng to the Trade and Tech War, Springer 2020, di Alberto Gabriele, risponde in maniera quasi profetica a questa domanda. Infatti, malgrado il libro non tratti la pandemia di Covid, essendo stato scritto precedentemente, spiega la struttura produttiva e sociale della Cina, che si è rivelata più resiliente di quella di molti altri paesi di fronte all’attuale crisi.

L’autore individua nella sua opera due colonne portanti del successo economico cinese. Il primo di questi due pilastri è costituito dal sistema industriale, mentre il secondo dal sistema nazionale di innovazione. La struttura stessa del libro ricalca questa suddivisione, con una prima parte che evidenzia il ruolo cruciale svolto dalla presenza statale nelle industrie del paese, all’interno, però, di un mercato in cui esistono diversi tipi di proprietà, e una seconda che pone l’enfasi sull’importanza dell’innovazione tecnologica, che ha il preciso scopo di ridurre la dipendenza tecnica della Cina da altri paesi.

Per Gabriele, infatti, benché la Cina sia aperta al mercato e molte industrie siano private, lo stato ha un ruolo egemone nella produzione tramite il controllo di varie forme di impresa non direttamente riconducibili alla proprietà privata, le Non-Capitalist Market Oriented Enterprises (NCMOE) o imprese non capitaliste orientate al mercato, all’interno delle quali trova lavoro un’amplissima quota della forza lavoro cinese. Tra queste imprese alcune sono interamente pubbliche, altre a capitale misto, ma con controllo preponderante dello stato, altre ancora sono di tipo cooperativo. A ciò si aggiunga che la proprietà della terra è stabilmente in mano pubblica, portando così la proprietà statale dei mezzi di produzione ad essere la forma nettamente prevalente in Cina (Giacché, 2020).

È interessante notare che molte imprese private sembrano ottenere rendimenti e profitti maggiori delle imprese pubbliche o a controllo pubblico, aumentando le disuguaglianze e facendo apparire il privato come più efficiente. Tuttavia, bisogna valutare le performance del pubblico in base agli obiettivi che il pubblico si prefigge, che non sono il mero raggiungimento del profitto, ma anche molti altri come la redistribuzione delle risorse, l’occupazione e lo sviluppo.

Gabriele espone sette criteri euristici per interpretare quanto un paese possa essere definito socialista: 1) quale quota dei mezzi di produzione è socializzata? 2) che potere economico ha lo stato nei confronti del cittadino? 3) qual è il rapporto tra pianificazione e libero mercato? 4) che successo ha il sistema nel promuovere lo sviluppo della forza produttiva e del progresso tecnico? 5) quanto è efficace nel combattere la povertà? 6) quanto è vicino a realizzare una distribuzione del reddito ugualitaria (seguendo il principio a ciascuno secondo il suo lavoro)? 7) quanto rispetta l’ambiente?

L’autore prosegue poi affermando che la Cina può essere considerata socialista secondo i primi quattro criteri e che quindi nel complesso può essere considerata socialista, benché in uno stadio primitivo di socialismo[2]. Proprio la gestione socialista dell’economia (nei termini indicati) permette alla Cina una maggiore versatilità e capacità di affrontare situazioni di emergenza. La ricerca del profitto privato non è infatti la molla dell’economia cinese, ma solamente un incentivo. In caso d’emergenza, l’apparato statale cinese può decidere di riorganizzare la produzione e destinare risorse a obiettivi specifici con più rapidità ed efficienza dei paesi occidentali. Come spiega Gabriele (2020), p. 259, infatti: “the economic power of the Chinese state, its ability to strategically steer the country’s development trajectory, and the overall degree of socialization of production are quite high, much more so than what is commonly acknowledged by most international observers.[3].

Per l’autore il ruolo trainante del pubblico nella ricerca e nell’innovazione tecnologica, unito alla capacità di pianificazione e assegnazione delle risorse a questo scopo da parte dello stato, costituiscono un modello quasi unico al mondo (Gabriele (2016) ritiene che il Vietnam abbia un modello economico simile) e di stampo sostanzialmente socialista. L’innovazione, la ricerca scientifica e il progresso tecnologico, fondamentali per lo sviluppo del paese, sono infatti perseguiti in maniera predominante dalle NCMOE, dalle aziende statali in particolare e dalle università pubbliche; inoltre, il governo cinese investe stabilmente una quota rilevante del surplus nazionale proprio a questo scopo. Il risultato è una crescita del settore più rapida del resto dell’economia cinese (che com’è ben noto già cresce a livelli molto considerevoli).

Nel suo recente libro Non sarà un pranzo di gala (2020), p. 195, Emiliano Brancaccio rileva che in assenza del “pungolo del pericolo socialista” difficilmente potrà svilupparsi un percorso di tipo keynesiano nei paesi capitalisti e che oggi la Cina non costituisce un pungolo paragonabile a quello rappresentato nell’immaginario collettivo dei paesi occidentali dall’URSS. Tuttavia, la Cina è vicina e sta conquistando sempre più posizioni e prestigio nello scacchiere internazionale, sebbene questo non sia ancora del tutto avvertito nel senso comune. Ultimamente, infatti, molti cominciano a guardare con curiosità alla gestione cinese della pandemia rispetto a quella disastrosa di molti paesi capitalisti.

Il successo del modello economico cinese pone ogni osservatore di fronte a un quesito riguardo al capitalismo occidentale come unica forma economica valida[4]. Nel caso in cui il modello economico proposto dalla Cina continuasse a percorrere tale sentiero di successo, si potrebbe assistere ad un crescente interesse nei suoi riguardi, interesse che potrebbe non riguardare esclusivamente paesi in via di sviluppo, “scontenti” della tradizionale proposta liberista dei paesi ex colonialisti.

Una riflessione politica ed economica sul sistema cinese, sia a livello accademico sia politico e di dibattito pubblico, potrebbe dunque essere fondamentale per ricreare l’immaginario di un’alternativa possibile al sistema capitalista liberista dominante in occidente (contrapponendosi così al mantra thatcheriano “there is no alternative”). La programmazione economica e la pianificazione nell’uso delle risorse devono tornare al centro dell’impostazione politico-economica delle forze progressiste, senza ricadere negli errori di idolatria del passato. Particolarmente importante e necessaria è oggi la pianificazione dell’utilizzo delle risorse al fine di perseguire uno sviluppo sostenibile che ponga un freno all’emergenza climatica e ambientale e alla minaccia agli ecosistemi del pianeta Terra (terreno su cui la Cina è ancora decisamente indietro).

Un esempio funzionante, dinamico e in continua evoluzione di programmazione e pianificazione dell’economia con rilevanti componenti di libero mercato è costituito dall’ “economia socialista di mercato” cinese, come definita da Gabriele. Comprendere questo sistema, criticarlo, migliorarlo e adattarlo alle diverse condizioni dei paesi occidentali potrebbe essere la sfida politica di questo secolo.

Il libro di Alberto Gabriele sarà presentato nell’ambito della tavola rotonda CHINA 2021: STATE, SOCIALISM AND MARKET INSTITUTIONS organizzata dall’Italian Post-Keynesian Network (IPKN) sabato 8 maggio alle ore 16:00. Oltre all’autore, Alberto Gabriele, parteciperanno Jean-Paul Guichard (autore del libro L’Etat-Parti chinois et les multinationales) e Vladimiro Giacché (autore del saggio L’economia e la proprietà. Stato e mercato nella Cina contemporanea); modera Massimo Cingolani. L’evento sarà trasmesso in diretta Facebook alla pagina:

https://www.facebook.com/IPKNetwork

Bibliografia

Brancaccio E. (2020), NON SARÀ UN PRANZO DI GALA Crisi, catastrofe, rivoluzione, MELTEMI LINEE, Milano.

Gabriele A. (2016), “Lessons from Enterprise Reforms in China and Vietnam”, Journal of Economic and Social Thought, vol. 3, n. 2.

Gabriele A. (2020), ENTERPRISES, INDUSTRY AND INNOVATION IN THE PEOPLE’S REPUBLIC OF CHINA Questioning Socialism from Deng to the Trade and Tech War, Springer, Singapore.

Giacché V. (2020), L’ECONOMIA E LA PROPRIETÀ. STATO E MERCATO NELLA CINA CONTEMPORANEA in Aa.Vv., Più vicina. La Cina del XXI secolo, a cura di P. Ciofi, Roma, pp. 11-71.


[1] Qualcuno potrebbe affermare che le statistiche cinesi siano false. Questo è senz’altro possibile, ma per discutere la questione sarebbe necessaria una qualche dimostrazione. Inoltre, da quanto riportato da molti media, problemi di misurazione e vuoti nelle statistiche si hanno a livello globale: si pensi per esempio al fatto che negli USA per molto tempo la sanità privata comportava costi proibitivi per i tamponi per i cittadini. Senza individuazione dei casi è impossibile avere delle statistiche affidabili. Si veda in merito: https://www.agi.it/estero/news/2020-03-06/coronavirus-usa-costo-tampone-7338462/ . Si ricorda inoltre il recente triste caso di falsificazione delle statistiche sui casi di Covid-19 che ha visto protagonista l’Italia e la Sicilia in particolare: https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/03/30/sicilia-dati-covid-falsi-comunicati-alliss-per-evitare-restrizioni-tre-arresti-indagato-anche-lassessore-regionale-ruggero-razza/6149687/ .

[2] Gabriele afferma inoltre che anche nei campi individuati dagli altri tre criteri sono stati comunque fatti dei passi avanti, specialmente negli ultimi anni.

[3] In italiano: “il potere economico dello stato cinese, la sua capacità di guidare strategicamente la traiettoria di sviluppo del paese e il grado complessivo di socializzazione della produzione sono piuttosto elevati, molto più di quanto comunemente riconosciuto dalla maggior parte degli osservatori internazionali.”; traduzione propria.

[4] Si noti che esula dagli scopi di questa recensione, nonché del libro recensito (si veda Alberto (2020), p. 3), addentrarsi in temi non prettamente economici, e molto difficili da discutere, come il “grado di democrazia” o il “livello di libertà” della Repubblica Popolare Cinese. Oggetto dello studio di Gabriele è infatti il solo sistema economico – produttivo cinese.

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