In fila per tre. Apertura delle scuole e seconda ondata di COVID 19

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La scuola è certamente un tassello fondamentale di ogni società per la formazione delle generazioni future; Tuttavia, ad una scuola in parte resa più sicura di quanto fosse grazie a programmi, investimenti e sforzi fatti nel periodo pre-elettorale, non pare sia corrisposto un piano di più ampio respiro che contemplasse le conseguenze dell’andare a scuola. Ad oggi, se si vuole evitare un nuovo lockdown e la conseguente chiusura di tante attività produttive, una programmazione della didattica a distanza, insieme ad altre misure, potrebbe rappresentare un’alternativa da prendere in considerazione.

La seconda ondata di COVID-19 che ha colpito l’Italia e che al 17 ottobre fa registrare oltre undicimila nuovi casi giornalieri che, seppur più tiepidamente e con le dovute differenze dovute a differenti sistemi di testing solo parzialmente paragonabili, sembra seguire la rapida evoluzione del contagio registrata in altri paesi europei, sta spingendo il governo e le amministrazioni locali all’individuazione, accanto al rafforzamento del sistema sanitario, di misure non farmaceutiche per il controllo della diffusione della pandemia.

Figura 1: Andamento dei nuovi casi in Italia. Fonte Ministero della Salute

Infatti, nonostante i risultati positivi in termini di riduzione del numero di nuovi contagi conseguiti con le misure di lockdown varate nella scorsa primavera e testati dalla letteratura (Alfano e Ercolano, 2020a; Alfano e Ercolano, 2020b; Riccardo et al., 2020), gli ultimi decreti del governo sembrano orientati ad evitare (almeno fin a quando possibile) una chiusura generalizzata delle attività produttive, probabilmente al fine di mitigare gli effetti economici negativi associati ad una tale scelta. In particolare il Presidente del Consiglio dei Ministri, durante la presentazione del nuovo DPCM del 18 ottobre u. s., nell’elencare le misure per controllare la rapida diffusione del virus, ha ribadito, per l’ennesima volta a dir la verità, la necessità e la volontà della politica di evitare un nuovo lockdown.

È interessante osservare come molte delle misure adottate dal governo riguardino il mondo della scuola. Infatti, sin a partire dal mese di settembre, c’è stato un nutrito dibattito (a dir il vero iniziato in agosto con la discussione sui banchi monoposto e sui supplenti necessari per estendere l’orario scolastico) sull’opportunità e le modalità di apertura delle scuole, nonché sulle modalità da adottare per cercare di garantire le massime condizioni di sicurezza per tutelare la salute di docenti e studenti. Nonostante l’unanime accordo politico sull’importanza della riapertura delle scuole, l’anno scolastico è di fatto ripartito un po’ a macchia di leopardo, con alcuni governatori regionali che, complice forse anche la recente tornata elettorale, hanno preferito ritardare l’apertura degli istituti.

Tuttavia, nonostante diverse misure adottate per prevenire e controllare la diffusione del contagio all’interno del mondo scolastico, che fanno della scuola uno dei luoghi più sicuri per gli studenti, a detta del Ministro Azzolina, a scuola bisogna arrivarci e da lì tornare a casa: uno dei problemi che caratterizza l’apertura delle scuole è difatti l’aumento della concentrazione di persone per strada in determinate fasce orarie, e conseguentemente l’affollamento dei mezzi di trasporto pubblico. Il report settimanale di monitoraggio per il periodo 5-11 ottobre a cura del Ministero per la Salute, dell’Istituto Superiore di Sanità e delle Regioni sottolinea testualmente che “sono in aumento i focolai in cui la trasmissione potrebbe essere avvenuta in ambito scolastico, ma la trasmissione intra-scolastica rimane complessivamente una dinamica di trasmissione limitata: 3,8% di tutti i nuovi i focolai in cui è stato segnalato il contesto di trasmissione. Tuttavia, le attività extra-scolastiche possono costituire un innesco di catene di trasmissione laddove non vengano rispettate le misure di prevenzione previste[1]”.

Per tutti questi motivi è lecito chiedersi se l’apertura delle scuole possa aver rappresentato un possibile catalizzatore per la crescita di nuovi casi di COVID-19.

Nel presente lavoro, attraverso un’analisi dei dati, cercheremo di verificare in che misura l’apertura delle scuole possa essere associata ad una crescita dei casi di coronavirus nelle diverse province italiane. In particolare, il caso italiano si presta ad una tale verifica proprio per via del fatto che l’inizio dell’anno scolastico non è stato omogeneo su tutto il territorio, rendendolo un esperimento interessante da cui possiamo derivare una lezione più generale.

A tal fine, abbiamo costruito un dataset longitudinale, con dati giornalieri sui positivi al COVID-19 provincia per provincia (da dati del Ministero della Sanità). Abbiamo dunque stimato, con una regressione con uno stimatore F-GLS (Aigner e Balestra, 1988; Hsiao, 1986) ad effetti fissi, per controllare per possibili differenze strutturali tra province, come i nuovi casi di COVID-19 riscontrati giorno per giorno sono influenzati dall’apertura delle scuole.

Come difatti sottolinea questa letteratura (Alfano ed Ercolano, 2020a; Alfano e Ercolano, 2020b), per misurare l’impatto di un evento esogeno sull’andamento dei casi, è innanzitutto necessario controllare il numero di nuovi casi registrati quotidianamente rispetto al numero complessivo di casi del giorno precedente. Infatti in un’ottica di modellizzazione della quantità di nuovi casi, chiaramente la principale determinante è il numero di casi nel periodo immediatamente precedente, essendo per definizione una pandemia generata da un insieme di persone infette che diffonde il morbo a persone suscettibili.

In secondo luogo, abbiamo costruito una variabile dummy (dicotomica) che assume valore 1 a partire dal giorno in cui la regione apre le scuole, e lo mantiene per tutti quelli successivi in cui le scuole restano aperte. Oltre a tale variabile, ne abbiamo anche costruite diverse altre ad un tot di giorni, grazie alle quali sarà possibile inoltre osservare gli effetti sui casi per ogni dato numero di giorni in cui le scuole restano aperte.

Come già evidenziato per il lockdown, infatti, la letteratura suggerisce che l’efficacia di queste misure di distanziamento sociale dipendono principalmente da due fattori: i) dal momento in cui la misura stessa viene adottata e ii) dalla lunghezza del periodo necessario al manifestarsi della sintomatologia associata al virus. Si ricorda che la comparsa di sintomi, secondo le stime di Lauer et al. (2020), oscilla in un intervallo compreso tra gli 8 e i 15 giorni. Concettualmente, stimare l’effetto di una misura di distanziamento sociale, o quello di una misura di possibile incremento del contatto intrapersonale, è la medesima cosa: abbiamo dunque ritenuto opportuno procedere in tal modo.

Infine, la chiusura di alcune scuole per avervi riscontrato dei casi di COVID, potrebbe ovviamente influenzare questa dinamica. Abbiamo dunque provveduto a controllare anche per le scuole chiuse provincia per provincia (dati ricavati dal lavoro di due studenti, Nicoletta e Ruffino[2], che in mancanza di dati ufficiali hanno messo su un dataset, a dir il vero molto interessante, da fonti secondarie).

Tramite questa strategia empirica abbiamo creato un dataset con osservazioni per le 107 province italiane descritte dal Ministero della Sanità, per 44 giorni, dal primo settembre (giorno di rientro dalla pausa estiva) al 14 ottobre. I risultati delle nostre stime sono stati riportati graficamente nella figura 1, al fine di agevolarne la lettura. Sono riportati i coefficienti della variabile dummy che discrimina per l’apertura delle scuole, diversa nelle diverse regioni, e per x giorni da quella data.

Come è possibile vedere in figura, mentre sino a sei giorni dopo l’apertura delle scuole i contagi non sembrano aumentare particolarmente, e certamente non in maniera esponenziale, dopo tale soglia (che, per inciso, coincide con quella minima identificata per provare sintomi da COVID-19 dopo il contagio) i casi aumentano decisamente. E’ importante notare come questi sei giorni non sono gli stessi per tutte le province, che come abbiamo visto hanno ritenuto di aprire le scuole in tempi diversi. Tale aumento di casi diventa statisticamente significativo 11 giorni dopo l’apertura al 10%; tale soglia sale al 5% 12 giorni dopo l’apertura, ed addirittura all’1% 14 giorni dopo, segnalando un effettivo incremento sostanziale dei casi.

Ciò suggerisce che, in media, nelle province italiane c’è stato un effetto, importante, sui nuovi casi dato dall’apertura delle scuole. Ciò che preoccupa particolarmente, è che quest’aumento sembra essere di natura esponenziale più che lineare, causando quegli incrementi che abbiamo conosciuto ad inizio anno ed abbiamo visto necessitare di tanto tempo e di soluzioni drastiche per poter finalmente decrescere.

Un difficile trade-off

La scuola è certamente un tassello fondamentale di ogni società per la formazione delle generazioni future, ed è bene chiarire anche in queste riflessioni finali che il presente contributo non intende certamente mettere in dubbio il ruolo propulsivo del sistema scolastico nella società.  Andare a scuola è ben più che ricevere la (pur fondamentale) formazione che lì si eroga: soprattutto per i più giovani la scuola insegna la socialità, lo star con gli altri e dovrebbe contribuire alla formazione di menti critiche necessarie in fasi di profonda trasformazione come quella che stiamo vivendo. La scuola ricopre inoltre un fondamentale ruolo nell’organizzazione della giornata di tante famiglie dove entrambi i genitori lavorano, garantendo dunque il regolare (o quasi) svolgimento della propria. In tal ottica dunque, gli sforzi del governo e di varie parti della società civile volti a tenere aperte le scuole sono senza dubbio totalmente condivisibili.

Tuttavia, ad una scuola in parte resa più sicura di quanto fosse grazie a programmi, investimenti e sforzi fatti nel periodo pre-elettorale, non pare sia corrisposto un piano di più ampio respiro che contemplasse le conseguenze dell’andare a scuola. La storica inadeguatezza del trasporto pubblico locale che si trova a dover affrontare una teorica limitazione all’80% dei posti (di difficile attuazione e comunque lontana dalle prime indicazioni del CTS), può rappresentare un elemento di grande criticità difficile da controllare almeno nel breve periodo.

Oltre che alla sicurezza dentro le classi, sarebbe necessario adottare una visione d’insieme: i nostri giovani viaggiano, da soli o in compagnia, per arrivare in classe, vivono momenti di svago e socialità prima e dopo le lezioni, ed infine tornano a casa. L’insieme di queste situazioni può generare diverse occasioni di contagio, che di certo non possono essere prevenute da banchi monoposto o da protocolli per i professori. Programmare e regolamentare l’apertura delle scuole, riprendendo anche lo strumento della didattica a distanza, può rappresentare in parte un costo per la parte più giovane della nostra collettività che, lo ricordiamo, ne rappresenta anche il futuro. Ma al tempo stesso, se si vuole evitare un nuovo lockdown e la conseguente chiusura di tante attività produttive, una programmazione della didattica a distanza, insieme ad altre misure, potrebbe rappresentare un’alternativa da prendere in considerazione. È possibile mitigare tali scelte graduando gli interventi sulla base di priorità politiche e sociali (asili e scuole primarie) ed adottando un sistema di controllo che consenta di monitorare oggettivamente l’evoluzione della pandemia.

Ci troviamo sicuramente di fronte ad un trade-off estremamente critico e delicato. Per affrontarlo, è forse giunto il momento di prendere decisioni difficili, di togliersi di dosso gli abiti elettorali che hanno in larga parte caratterizzato le settimane che hanno preceduto l’apertura dell’anno scolastico, e cercare di andare oltre facili proclami che, reiterati all’infinito, rischiano di lasciare lo spazio alla tautologia. Quello che occorre in questo momento è mettere in campo una efficace capacità di coordinamento e di programmazione, che permetta di prevedere gli effetti associati a determinate scelte politiche al fine di controllare e di anticipare (per quanto possibile) la diffusione dei contagi. Solo in questo modo sarà possibile garantire quanto prima un ritorno effettivo dei nostri studenti tra i banchi di scuola.

Riferimenti bibliografici

Aigner, D. J. e Balestra, M. (1988). Optimal Experimental Design for Error Components Models, Econometrica, vol. 56, No. 4.

Alfano, V. and Ercolano, S. (2020a). Don’t stop me now? Misure di lockdown e contenimento della pandemia. Economia e Politica, 12-19(1).

Alfano, V. and Ercolano, S. (2020b). The Efficacy of Lockdown Against COVID-19: A Cross-Country Panel Analysis. Applied Health Economics and Health Policy, 18-4, 6, pp. 509-517.

Hsiao, C. (1986). Analysis of Panel Data, Cambridge University Press, Cambridge.

Lauer S. A. , Grantz K. H., Bi Q., Jones F. K., Zheng Q., Meredith H. R., Azman A. S., Reich N. G., Lessler J. (2020). The Incubation Period of Coronavirus Disease 2019 (COVID-19) From Publicly Reported Confirmed Cases: Estimation and Application, Annals of Internal Medicine, Vol. 172 (9): 577-582.

Nicoletta, V. and Ruffino, L. (2020). Scuole COVID 19 Italia. Retrieved from https://docs.google.com/spreadsheets/d/1E4jyxZsF6z8lJdpBWQOhpgdcB6Pn3MSuqxO6ih0_p0A/edit#gid=842924721

Piguillem, F., & Shi, L. (2020). The optimal covid-19 quarantine and testing policies (No. 2004). Einaudi Institute for Economics and Finance (EIEF).


[1] http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioContenutiNuovoCoronavirus.jsp?area=nuovoCoronavirus&id=5351&lingua=italiano&menu=vuoto&fbclid=IwAR0_sIHtF2sflMtHWdhwnVyX25urHImFxk80sWTqqpzC98ibKr9Ib95MNeE

[2] Nell’ultima versione disponibile quando si è scritto quest’articolo, disponibile su https://docs.google.com/document/d/1KiErv7XG-mMWHHN7d_lcaDENUB20QA8i3N0UqRPIVtI/edit (url consultato il 16 Ottobre 2020).

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