Anamorfosi dello “spread”

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Political and social notes

DeGaspare01. Una prospettiva fuorviante.

L’anamorfosi costituisce una tecnica di raffigurazione di un oggetto secondo una prospettiva diversa da quella centrale, in modo che l’oggetto principale venga rappresentato in una visione appositamente deformata che lo nasconde.

In questo senso, attraverso la focalizzazione univoca della prospettiva sullo spread tra i titoli del debito pubblico dei Paesi dell’Eurozona, si è ottenuto l’effetto di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dall’oggetto principale costituito dall’andamento del tasso di interesse.

La tesi qui sostenuta[1], in quanto contrasta con la prospettazione assolutamente predominante del ruolo di indicatore fondamentale riconosciuto unanimemente allo spread, richiede pertanto al lettore una consapevole correzione del punto di osservazione per staccare lo sguardo dallo spread – cioè la differenza tra i tassi – e rimetterlo, invece, a fuoco centralmente sull’oggetto principale e dunque sull’andamento dei tassi di interesse. Cambiando prospettiva lo sguardo si apre su un diverso scenario incentrato sul nesso di dipendenza causale tra il tasso di interesse ed i flussi monetari speculativi, da e verso l’euro, correlati a loro volta essenzialmente all’andamento del tasso di cambio dollaro/euro.

Nel passare da un ordine di causalità interne, cui lo spread rinvia, ad un ordine di causalità esterne basato sul tasso di cambio dollaro/euro, e conseguentemente sugli effetti delle fluttuazioni monetarie derivanti dalle guerre valutarie, la difficoltà maggiore che si incontra è data dal fatto che il richiamo allo spread connette la causa dell’andamento negativo o positivo del costo del servizio del debito a fattori politici ed economici interni facilmente constatabili empiricamente da tutti. Attribuire, invece, le variazioni del costo del debito pubblico a cause esogene come i flussi monetari speculativi (carry trade del dollaro e ora di nuovo anche dello yen) appare a  prima vista poco plausibile se non addirittura  un improvvido tentativo di deresponsabilizzazione.

Nella consolidata linea di ragionamento sullo spread, i fondamentali strutturali ed economico-finanziari dei vari Paesi e le vicende congiunturali, come la credibilità e le politiche dei Governi nazionali, sarebbero la causa prima e sostanzialmente unica dell’aumento o della diminuzione del costo dei diversi debiti pubblici. Da qui, appunto, la scelta della Germania come virtuosa “pietra di paragone”. In questo modo la prospettazione anamorfica, imputando il costo del servizio del debito pubblico a fattori endogeni alle politiche economiche positive o negative di ogni singolo Stato, mette fuori quadro e fa da velo alla comprensione della prevalente incidenza, sull’andamento del tasso di interesse dei debiti pubblici dell’eurozona, dei fattori esogeni di natura finanziaria: le fluttuazioni monetarie e le connesse speculazioni sul tasso di cambio.

In questo senso, se lo spread con la Germania scende, è il segnale che l’Italia si sta comportando bene, avvicinandosi alla pietra di paragone, se sale, invece, il segnale sarebbe negativo.

Questa è la facile, quanto ovvia, conclusione.

Ma non è così o, per meglio dire, non è questo l’aspetto principale sul quale concentrare l’attenzione per capire l’andamento del costo del nostro debito.

L’affermazione che il debito tedesco costi meno per l’affidabilità della Germania è, al contempo, vera e falsa. È vero che la percezione di un minore rischio di insolvenza  della Germania rende meno oneroso il collocamento del debito tedesco rispetto al nostro, ma non è vero che sia lo spread tra il nostro debito e quello tedesco l’indicatore principale per il costo del nostro debito pubblico che, invece, dipende essenzialmente da tutt’altro fattore e cioè dal cambio tra dollaro ed euro.

Ed in effetti. Come è  stato possibile che lo spread  in Italia sia sceso, da quota 574 del  novembre  2011, fino ai  260 punti del  terzo trimestre del 2012 ed ancora sia continuato a scendere per tutto il 2013 per arrivare stabilmente sotto quota 200 in questo primo trimestre del 2014, nonostante le  persistenti incertezze del quadro politico ed un quadro economico che non migliora con tutti gli indici macroeconomici, dal debito pubblico alla disoccupazione al PIL ulteriormente peggiorati, rispetto a quelli della Germania?

Si potrebbe gridare al miracolo?

2. Tassi di interesse sul debito e tassi di cambio dollaro/euro.

In realtà la domanda da porsi è un’altra. Che cosa è che, a partire dal terzo trimestre del 2012, sta spingendo  costantemente la liquidità monetaria verso (anche) i nostri Btp, facendo salire la domanda di titoli di Stato italiani in modo tale da abbatterne il costo, determinando di conseguenza anche la diminuzione dello spread tra Bund e Btp decennali, nonostante il peggioramento di quei fattori critici politici e macroeconomici che, secondo la vulgata dominante, avrebbe dovuto spingere in alto lo spread?

Dovrebbe apparire chiaro a questo punto che la risposta a tale quesito, prescindendo completamente dalla “forzata correlazione” dei titoli di debito di Italia e Germania, vada più correttamente ricercata in un fattore esogeno agli stessi e che incide su entrambi condizionandone l’andamento.

Nella sostanza, la ragione della parabola discendente dello spread è che la domanda dei titoli di debito pubblico espressi in euro (quindi di tutti gli Stati membri dell’Eurozona) dipende, in prima battuta ed essenzialmente, dal  cambio del  dollaro che si svaluta nei confronti dell’euro.

Se il cambio del dollaro scende rispetto all’euro – come è avvenuto nuovamente dal settembre 2012 per tutto il 2013 e ancora in questo primo semestre del 2014– si innesca e si stabilizza una aspettativa negativa sulla debolezza del dollaro che, a sua volta, riattiva il carry trade su quella moneta. La speculazione finanziaria con un dollaro che perde al cambio con l’euro ha infatti convenienza ad indebitarsi in dollari per investire in euro, dato il bassissimo tasso di interesse praticato dalla FED, lucrando così sul differenziale del cambio e sul tasso di interesse dei titoli di Stato “europei”, aventi rendimenti più elevati di quelli dei titoli americani.

Lo stabilizzarsi di un trend negativo sul cambio della valuta statunitense alimenta così ulteriormente le aspettative della speculazione “contro” la moneta americana. Ne consegue che, nella scelta di chi si allontana da un dollaro percepito in indebolimento, gli investimenti  nel debito pubblico espresso in  euro si rafforzano in generale  nell’eurozona.

3. Un punto di vista contro intuitivo ai grafici sullo spread.

L’effetto fuorviante dello spread può essere facilmente percepito soffermandosi sul grafico di seguito riprodotto, che illustra l’andamento dello spread tra i bonos spagnoli e i Btp italiani. Il grafico è ripreso da un articolo di lavoce.info.it del 28 marzo 2013). L’autore dell’articolo, esprimendo il comune punto di vista incentrato sulla riconducibilità alle cause interne del costo del debito pubblico, afferma che il grafico …mostra la differenza fra il rendimento dei Btp e i Bonos decennali nell’ultimo anno. Come si vede l’Italia nella fase finale del Governo Berlusconi era percepita come maggiormente a rischio della Spagna. Dal decreto Salva-Italia in poi la situazione relativa del nostro paese è migliorata e oggi possiamo finanziarci pagando interessi inferiori rispetto alla Spagna. Ci sono vantaggi nel non essere i più esposti. Vediamo di non perderli”.

DeGaspare1

Il commento induce a ritenere che gli “interessi inferiori” e, quindi, il maggiore o minore costo del servizio del debito pubblico, dipendano essenzialmente dall’azione del governo e che nello specifico l’ulteriore riduzione sia dipesa  dall’adozione del cd. decreto Salva-Italia. In realtà, il grafico indica tutt’altro se guardato senza le lenti distorcenti dell’anamorfosi. La riduzione del tasso di interesse dipende essenzialmente dalla domanda di titoli di Stato espressi in euro che, a sua volta, è inversamente correlata alla tendenza del tasso di cambio tra dollaro ed euro. Ed in effetti, se non si fissa lo sguardo puntualmente sull’infra  spazio – cioè lo spread – tra le due linee relative ai Bonos spagnoli e ai nostri Btp, come normalmente si è indotti a fare con i paraocchi mediatici incentrati sullo spread, quello che colpisce davvero è piuttosto l’evidente danza sincronica dei due tassi di interesse italiano e spagnolo che si muovono, verso l’alto o verso il basso, contemporaneamente e sempre all’unisono. Se fosse vera la tesi “endogena”, cioè che l’ andamento  dei tassi dipende essenzialmente dalle diverse politiche interne e dalle rilevazioni congiunturali dei fondamentali economici nei due paesi, si dovrebbe allora concludere che essi sono di fatto gemelli. L’Italia e Spagna avrebbero avuto tra il 1993 il 2013  vicende politiche ed economiche sostanzialmente sincroniche e parallele, seppure contrassegnate da quel minimo scarto tra di loro indicato appunto dallo spreadIl dato significativo nel grafico dunque non è allora lo spread, ma l’ andamento sincronico dei  due tassi. Ed è quest’ultimo  andamento  che va spiegato. Diventa così “contro intuitivamente” necessario ricercare la causa della danza sincronica dei due tassi di interesse, in una variabile comune ma esogena ad entrambi i Paesi, in grado di influenzarne il costo del debito allo stesso modo. L’indiscussa differenza tra le politiche interne di Spagna e Italia nonché dei rispettivi fondamentali finanziari ed economici, in costanza del sincronismo dei relativi tassi di interesse, esclude che i fattori interni possano essere la causa principale dell’andamento dei tassi del debito pubblico e conferma che la variabile principale va ricercata nei flussi speculativi, in entrata o in uscita dall’Eurozona, correlati all’andamento del tasso di cambio dollaro/euro. È su questa variabile principale pertanto, che bisognerebbe concentrare l’attenzione per coerenti politiche di contenimento e di riduzione degli oneri del debito pubblico nei Paesi dell’Eurozona contrastando i movimenti speculativi dei capitali. Invertire l’ordine di causalità nella crescita del debito pubblico, riconoscendo la prevalenza delle cause speculative esogene rispetto a quelle politico-economiche e strutturali endogene, conduce, evidentemente, ad un ricettario diverso per uscire dalla crisi che mette in prima linea il contrasto della speculazione finanziaria. Per aprire questo scenario è essenziale in primo luogo contrastare il travisamento mediatico derivante dal quotidiano e reiterato bombardamento degli andamenti dello spread, che costringe e restringe la nostra visione d’insieme in una prospettiva angusta che mette fuori quadro il  dominio del potere finanziario sul debito pubblico, sull’economia reale e dunque sulle nostre vite.

[1] Una versione diversa di questo articolo è stata pubblicata da http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/

 

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