Il suicidio dell’Europa

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Political and social notes

La situazione europea è gravissima. Nel bel mezzo della maggiore crisi economica degli ultimi 80 anni i governi europei si apprestano a tagliare i bilanci pubblici nella vana speranza di riequilibrarne i saldi. E’ di questi giorni la notizia che il Fondo Monetario Internazionale chiede ulteriori misure “greche” alla Spagna, mentre la stessa Germania è pronta a dare il buon esempio. In Italia il PD si limita a dire “noi l’avevamo detto” (cosa? che si doveva tagliare prima?) e a invocare un po’ di giustizia distributiva senza cogliere il cuore del problema. Questo consiste nel fatto che i tagli avviteranno le economie europee in una spirale verso il basso che metterà ancor più in crisi i conti pubblici e privati. Vigliaccamente, inoltre, la presunta necessità dei tagli viene utilizzata per infliggere un ulteriore colpo ai sistemi di welfare con la giustificazione che gli europei avrebbero vissuto “al di sopra dei propri mezzi”. Ma l’argomento è falso. L’Europa nel suo insieme ha vissuto sempre coi propri mezzi, non ha infatti un debito estero (anzi l’opposto). La Spagna, il principale paese, fra quelli più esposti, aveva i conti pubblici “in ordine” sino a un anno fa. Lo stato sociale non c’entra nulla.

Certo, all’interno dell’Europa vi sono paurose relazioni debitorie-creditorie fra paesi. Ma di chi è la colpa di questi squilibri? Solo oggi comprendiamo pienamente quanto avevamo solo intuito: che la creazione dell’Euro era un esperimento da apprendisti stregoni. Sta ora diventando senso comune – sebbene non di tutti – che l’euro abbia dato l’illusione alle banche tedesche e francesi che si potessero allegramente alimentare bolle edilizie (in Spagna e Irlanda) e favorire governi clientelari (in particolare quello greco di centro-destra). Questi meccanismi stimolavano le esportazioni, soprattutto tedesche, per giunta avvantaggiate anche dalla più moderata dinamica di prezzi e salari rispetto ai paesi periferici oggetto di una crescita “dopata”. Ma i nodi sono poi venuti al pettine. Ora le banche tedesche – già gonfie di mutui subprime americani – sono inguaiate quanto il governo greco e le famiglie spagnole trascinate nel boom edilizio. Sicché anche il pacchetto di aiuti europeo di 750 miliardi di euro varato lo scorso 9 maggio ha una dubbia affidabilità. Chi davvero aiuterà chi, visto che il paese che dovrebbe aiutare gli altri, la Germania, è pieno di crediti inesigibili? La questione è di tale portata che Wolfgang Munchau (sul Financial Times del 23 maggio) suggerisce provocatoriamente che potrebbe essere la Grecia a dover aiutare la Germania. Come noi avevamo fatto notare pochi giorni fa sul Goodwin-box, anche Munchau ora ci dice che l’unica valida misura adottata è l’intervento della BCE a sostegno diretto dei titoli pubblici europei. Meno giustificata è la fiducia nella ripresa delle esportazioni extra-europee in seguito alla caduta dell’euro. Al limite queste avvantaggerebbero soprattutto la Germania. Ma soprattutto è da escludere che Cina e USA resterebbero con le mani in mano se tale calo perdurasse.

Esperimento da apprendisti stregoni, si è detto. Ma attenzione, si tratta di un esperimento consapevolmente perseguito dai governi dell’Europa periferica, in particolare dall’Italia, che pensava così di importare la “disciplina tedesca” su salari e mercato del lavoro. Lo stesso tentativo fu effettuato nel 1979 col Sistema Monetario Europeo, e si sa come andò a finire. Qui però rischia di finire peggio visto non c’è più la liretta da svalutare.

Il problema è che siamo in assenza di una analisi politica seria a livello europeo di ciò che sta accadendo. Il PD e la CGIL farebbero bene, se ne sono capaci, a uscire da una strategia economico-politica in cui giocano di rimessa su temi in fondo secondari. La questione non verte su una finestra pensionistica in più o in meno. Il punto è che bisognerebbe mettere in discussione lo scenario da “suicidio collettivo europeo” entro cui le misure restrittive dei governi si collocano. E’ l’esistenza stessa di queste manovre congiunte a livello europeo che va respinta con fermezza. Si passi dunque a discutere di come questo paese possa porre il problema in sede comunitaria, o alternativamente si possa tirar fuori da un simile disastro.

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