La “città dei 15 minuti” tra realtà e leggende

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“A dystopian plan!” Migliaia di cittadini lo hanno gridato lo scorso 18 febbraio 2023 per le strade di Oxford, in Inghilterra, in una manifestazione contro il piano di mobilità proposto dal Consiglio Comunale che condivide l’idea di “città dei 15 minuti”. Ma cosa è davvero la città dei 15 minuti? Una distopia o piuttosto un modello di sviluppo urbano più eguale e sostenibile, volto a migliorare il benessere e la qualità della vita in ambito urbano? Insomma, realtà o leggenda?

A dystopian plan!” Migliaia di cittadini lo hanno gridato lo scorso 18 febbraio 2023 per le strade di Oxford, in Inghilterra, in una manifestazione contro il piano di mobilità proposto dal Consiglio Comunale. Fomentata dai media e da alcuni gruppi politici, la popolazione si è scagliata contro un piano che condivide una visione di città sostenibile nota come “città dei 15 minuti”, termine coniato da Carlos Moreno, docente all’Università Sorbona di Parigi e rapidamente divenuto popolare tra gli amministratori locali di molte grandi città europee e non solo (Hernàndez-Morales, 2023). I manifestanti di Oxford sostenevano che le azioni messe in atto dal Comune li avrebbero costretti all’isolamento fisico nei rispettivi quartieri di residenza perché penalizzavano fortemente tutti i loro movimenti in automobile (O’Sullivan & Zuidijk, 2023). Le restrizioni sulla circolazione delle auto private in determinati quartieri della città, regolate attraverso un nuovo sistema di riconoscimento delle targhe, venivano paragonate dai manifestanti al “Big Brother” del celebre libro di George Orwell “Nineteen Eighty-Four” (Orwell, 1949). L’introduzione della misura di controllo viene così argomentata dal suo ideatore Duncan Enright, consigliere comunale al centro delle critiche e delle minacce: concedendo alle auto private permessi temporanei di cento giorni all’anno per attraversare alcune zone centrali, si vorrebbe incentivare lo spostamento dei cittadini con i mezzi pubblici o attraverso la mobilità dolce e ridurre il congestionamento del traffico (Oxford City Council, 2022).

Anche in Italia abbiamo assistito ad iniziative simili: in città come Milano e Bologna e in altri centri urbani, progetti per ridurre i flussi e migliorare la viabilità urbana sono all’ordine del giorno. Nelle cosiddette “città 30” la riduzione del limite di velocità da 50 a 30 km/h è stata estesa a numerosi quartieri per migliorare la sicurezza stradale (Finizio, 2023). Dobbiamo aspettarci reazioni di matrice popolare simili a quelle di Oxford anche in Italia? Quel che appare certo, è che la manifestazione di Oxford ha messo sotto i riflettori l’esistenza di forti malumori sul principio della città dei 15 minuti, che arriva ad essere accusata di limitare le libertà individuali dei cittadini, ridimensionandole ad un raggio di movimento di 15 minuti dalla propria abitazione (Marcelo, 2023).

Ci sembra un’affermazione ovvia ma, viste le premesse, è bene ricordarlo una volta ancora: la città dei 15 minuti non è un espediente per limitare la libertà di movimento: decidere la scuola da far frequentare ai propri figli, l’ospedale migliore per potersi curare piuttosto che i luoghi dove andare a fare la spesa, sono imprescindibili libertà personali dei cittadini che non vengono certamente messe in discussione dall’adozione del modello di città dei 15 minuti. La città dei 15 minuti rappresenta piuttosto una opportunità per migliorare la qualità della vita in città offrendo alle persone la possibilità di vivere a pochi passi dal lavoro, dalla scuola e da altre attività quotidiane, piuttosto che essere costrette ad affrontare strade intasate dal traffico e lunghi spostamenti che riducono il tempo libero a propria disposizione.

Del resto, cambiare gli stili di vita in coerenza con obiettivi di sostenibilità ambientale, sociale ed economica rappresenta ormai da anni una necessità ampiamente riconosciuta anche a livello politico, e il tema è diventato ancora di più sensibile dopo la crisi pandemica del 2020. In questo contesto, la città dei 15 minuti può rappresentare una risposta alle criticità ambientali e sociali emerse in ambiti urbani. Quali dovrebbero essere le sue priorità? In primis, guardare alla città non solo attraverso la lente dell’architetto o dell’urbanista, ma coinvolgendo altre discipline sociali in grado di contribuire alla comprensione della natura multidimensionale, dinamica e fortemente complessa della città. Mettere al centro il cittadino, la sua partecipazione nella vita pubblica locale e le sue opportunità di migliorare il proprio livello di benessere. La città dei 15 minuti dovrebbe poter restituire ai cittadini lo spazio urbano sottratto al traffico motorizzato (Allam et al., 2021). Il concetto di prossimità, chiave di volta della città dei 15 minuti, si rifà al pensiero teorico di Jane Jacobs, autrice di “The Death and Life of Great American Cities” (Jacobs, 1961), proponendo una lettura incentrata sulla prossimità alle funzioni urbane e sull’efficienza degli spostamenti. Nella visione di Carlos Moreno, le cosiddette “Urban Social Functions” (Moreno, 2020) diventano di prossimità, perché raggiungibili a piedi, permettendo alle persone di interagire di più l’una con l’altra, intensificando così i rapporti che danno luogo allo scambio di idee e competenze che abbracciando tanto la sfera economica quanto quella sociale (Urban Movement, 2022).

Negli ultimi anni sono state le conseguenze della crisi economica e sociale legata alla pandemia da Covid-19 ad aver ulteriormente alimentato il dibattito pubblico sulla città sostenibile e sulla prossimità dei servizi in un contesto di mobilità fortemente influenzato dal lavoro a distanza. Il modello della “città dei 15 minuti”, teorizzato dall’accademico Carlos Moreno, complice la pandemia, è diventato in poco tempo fulcro di nuove politiche urbane irrompendo nel panorama politico attraverso le campagne per le elezioni amministrative in diverse grandi città. La città dei 15 minuti passa a quel punto dall’essere semplicemente l’idea di un urbanista all’essere fatta propria da pianificatori territoriali e sindaci in giro per il mondo: è da qui ne deriva la grande popolarità. Senza alcuna pretesa di essere esaustivi, ne ricordiamo alcuni casi tra i più significativi.  

La città di Portland negli USA ha adottato già nel 2012, sotto la guida del Sindaco Sam Adams, il “Portland Plan”, poi ripreso anche dai suoi successori. La città statunitense propone il concetto di “complete neighborhood” nell’ambito della strategia “Healthy Connected Neighborhood”. I quartieri “completi” hanno come caratteristiche principali la prossimità dei servizi e la migliore gestione del traffico urbano (Hiskes, 2010). Il piano si pone come obiettivo di creare le condizioni affinché l’80% degli abitanti viva nei “complete neighborhood” entro il 2035. Dal punto di vista dei pianificatori, questo obiettivo si raggiungerebbe aumentando le abitazioni nelle aree con più alta densità di servizi, in modo da sostenere l’economia locale, migliorare i trasporti pubblici, l’accessibilità a scuole, spazi pubblici, strutture ricreative, centri sanitari e negozi alimentari. Un altro aspetto considerato imprescindibile è la sicurezza negli spostamenti e la permeabilità dello spazio urbano a pedoni e ciclisti (City of Portland, 2013). Un rapporto pubblicato nel 2017 mostra i risultati ottenuti nei primi anni di applicazione del Portland Plan attraverso diversi indicatori ambientali, economici e sociali che  evidenziano miglioramenti in diverse aree e, in particolare, sotto l’aspetto della salute degli individui e nelle emissioni di CO2 (City of Portland, 2017).

Figura 1 Portland Plan.

Fonte: Portland Plan, 2012.

La città di Buenos Aires in Argentina, con il Sindaco Horacio Rodríguez Larreta dal 2015 persegue il principio della “ciudad a escala humana”, che ha come obiettivo quello di migliorare gli spostamenti interni alla città. Per migliorare la viabilità cittadina sono si è lavorato principalmente sui collegamenti tra bus e metropolitana e sono state progettate nuove piazze e aree pedonali. Buenos Aires ha chiuso un centinaio di strade per facilitare la percorribilità e la sicurezza dei pedoni e ha attivato il servizio di eco-bike per incentivare gli spostamenti sostenibili (Buenos Aires Ciudad, 2017). Gli interventi, che in alcuni casi hanno interessato anche la riqualificazione urbana di quartieri popolari, hanno visto l’attiva partecipazione dei cittadini per individuare i reali bisogni e le esigenze dei singoli quartieri (Buenos Aires Ciudad, 2023).

La città di Melbourne in Australia ha approvato nel 2017 il “Plan Melbourne 2017 – 2050”, che ha individuato i criteri d’azione per il medio e lungo termine basati sul principio del “20-Minute Neighbourhood”. L’iniziativa australiana persegue il concetto di “living locally”, incentrato su progetti di pedonalizzazione, potenziamento delle reti ciclabili e del trasporto pubblico, affinché i cittadini possano raggiungere più facilmente e in meno tempo i servizi (Victoria State Government, 2021). Nel 2018 è stato avviato il programma pilota “20-Minute Neighbourhood” in tre quartieri: Strathmore, Croydon South e Sunshine West. Gli interventi che hanno visto anche in questo caso l’attiva partecipazione dei residenti nel processo decisionale, sono diversificati in base ai contesti territoriali: a Strathmore l’azione è iniziata con il rifacimento della segnaletica orizzontale, l’abbassamento del limite di velocità per gli autoveicoli, e la realizzazione di uno spazio pubblico pedonale (Victoria State Government, 2019b; nel Croydon South sono stati migliorati i collegamenti pedonali, ciclabili e del trasporto pubblico e l’impianto di illuminazione pubblica (Victoria State Government, 2019a); a Sunshine West l’attenzione è stata rivolta, oltre al miglioramento dello spazio pedonale, all’economia locale, attraverso il sostegno ai negozianti locali e con il lancio dei negozi “pop-up” per rivitalizzare le strade commerciali del quartiere (Victoria State Government, 2019c).

Figura 2. Le caratteristiche della “20-Minutes Neighborurhood”.

Fonte: Victorian State Government, 2016.

A Barcellona Ada Colau, rieletta Sindaca nel 2019, prosegue il progetto delle “Superilles” che ha come obiettivo di migliorare la viabilità cittadina, rendendo la città più verde e vivibile e recuperando lo spazio usato dalle auto per concederlo alle persone. I “Superblocchi” consistono in una struttura a griglia dove le strade perimetrali vengono destinate al traffico motorizzato mentre le vie interne sono riservate alla mobilità dolce. (Ajuntament de Barcelona, 2023). Il processo di costituzione dei Superblocchi coinvolge direttamente i residenti locali che, in collaborazione con le altre organizzazioni e con i rappresentanti del Comune, espongono le necessità su cui deve fondarsi il piano di intervento (Joanneum Research, 2016). Il primo quartiere interessato dalla nuova configurazione è stato Poblenou, dove il progetto pilota delle “Superilles” è stato lanciato nel 2016. Sono stati due i passaggi principali: il primo, caratterizzato da soluzioni di urbanistica tattica ed interventi provvisori, ha permesso di velocizzare i lavori e ridurre le spese e di coinvolgere più attivamente i residenti locali che hanno dato vita ad idee come parchi giochi per bambini, aree sportive, tavoli da picnic e da ping-pong, spazi di incontro e tour letterari; la seconda fase è stata quella di interventi convenzionali volti al completamento del progetto inziale (Public Space, 2017).

Figura 3. Le “Superilles” di Barcellona.

Fonte: Love, 2019.

La città di Bogotà in Colombia ha adottato nel 2020 con la Sindaca Claudia López Hernández la politica della “città dei 30 minuti”. In una città dove i pendolari, nel 2019, hanno perso mediamente 191 ore all’anno a causa del congestionamento del traffico, la soluzione viene vista nella nell’accessibilità ai servizi che passa attraverso il miglioramento della rete ciclabile – aumentata in due anni di circa 85 km -, e della viabilità pedonale (Hixson & Lindsay, 2021; Hendricks, 2022; Barr, 2023). Ma non si punta solo sulla mobilità a piedi o in bicicletta; con il principio dei “barrios vitales” si creano benefici per i pedoni togliendo spazio alle auto e ridestinandolo per interventi di urbanistica tattica. Il quartiere pilota di questo progetto è San Felipe dove sono state predisposte aree pedonali sicure e che incentivano l’incontro e la socializzazione, zone di parcheggio temporaneo per chi necessita di fare una rapida commissione, zone di sosta temporanea per il carico/scarico merci e “zone ad uso flessibile” ossia estensioni su strada per la circolazione dei pedoni in prossimità dei locali (Alcadìa Mayor de Bogotà, 2022).

Figura 4. Barris vitales di Bogotà.

Fonte: Alcadìa Mayor de Bogotà, 2022.

Nel 2020 Anne Hidalgo diventa Sindaca di Parigi con un programma incentrato sulla “Ville du quart d’heure”, una città della prossimità in cui il cittadino può trovare tutto ciò di cui ha bisogno a distanza di 15 minuti a piedi o in bicicletta da casa. Il principio della “Ville du quart d’heure” si basa sull’adeguamento di funzioni già esistenti per ospitare un numero di attività più ampio rispetto a quelle per cui erano stati concepiti. Ad esempio, le scuole possono offrire, fuori dall’orario delle lezioni, attività ricreative, culturali e sportive rivolte alla cittadinanza (Ville de Paris, 2022). Diversi quartieri sono stati scelti per attuare i primi progetti pilota: a Les Olympiades, un “municipio mobile” avvicina i servizi comunali ai cittadini e, su iniziativa degli stessi residenti, una bricoteca diventa un luogo in cui è possibile prendere in prestito utensili di lavoro e apprenderne l’utilizzo. Nel quartiere Vaugirard le scuole aprono lo spazio a giovani e anziani che possono trascorrere del tempo studiando, giocando o socializzando. Il quartiere Porte de Montmartre, dedica uno spazio riqualificato agli incontri tra cittadini, alle consulenze digitali ed alle esigenze di carattere amministrativo o per incontri con le istituzioni (Ville de Paris, 2022).

Figura 5. La “Ville du quart d’heure “.

Fonte: Ville de Paris, 2020

A partire dal 2021 la “città dei 15 minuti” è entrata a far parte delle politiche urbane anche in Italia, con la vittoria di Sala a Milano e di Gualtieri a Roma.

Osservando i singoli progetti di messa a terra delle politiche urbane nelle diverse città brevemente richiamati sopra, si riscontarono numerose similitudini soprattutto nei tentativi di gestire aspetti legati alla mobilità e all’accessibilità delle aree con quelli legati alla vita sociale dei residenti.

L’idea di una “città dei 15 minuti” ha monopolizzato l’attenzione degli addetti ai lavori e dell’opinione pubblica, scatenando un vivace dibattito a livello globale, forse anche a causa della forte esposizione mediatica delle iniziative ad essa legate avvenute in un momento di particolare sensibilità rispetto ai temi della mobilità urbana, dell’accessibilità ai servizi e delle disuguaglianze socioeconomiche dell’era post-Covid. Del resto, come sottolineato in un precedente articolo su economiaepoliticaLa città dei 15 minuti è una città meno diseguale e più ricca di opportunità. In risposta a E. Glaeser” (Lelo, Monni Tomassi, 2022), le critiche non sono mancate. Per l’economista statunitense Edward Glaeser, la città dei 15 minuti è un modello di politica urbana sbagliato perché riduce le opportunità dei cittadini anziché aumentarle, creando immobilismo, accentuando le disuguaglianze, e costringendo le fasce sociali più deboli a maggiore isolamento e segregazione (Glaeser, 2021). Per Richard Florida e Carlo Ratti, il modello proposto da Moreno sarebbe inadeguato soprattutto per le città americane, sviluppate secondo una visione tentacolare dove le periferie sono molto distanti (Florida & Ratti, 2021).

A nostro avviso e anche alla luce anche di quanto richiamato sopra possiamo dire che oggi la città dei 15 minuti è soprattutto un modello sul quale si innescano ambiziosi obiettivi legati ai principi di sostenibilità ambientale sociale ed economica che hanno come conseguenza un miglioramento del benessere e della qualità della vita in ambito urbano. Un tentativo con l’evidente obiettivo di contrastare quelle disuguaglianze nell’accesso ai servizi che nelle grandi città metropolitane determinano disuguaglianze in termini di opportunità soprattutto per chi vive nelle periferie più disagiate di queste grandi metropoli (Lelo Monni Tomassi, 2019).

È ancora troppo presto per valutare gli effetti dell’adozione di questo modello nelle città che lo hanno scelto, possiamo però affermare che il dibattito che ne è scaturito a livello globale in seguito alla sua introduzione e sperimentazione in molte città in giro per il mondo indica una forte richiesta di politiche urbane incentrate sui temi della prossimità, della sostenibilità e accessibilità. Una sensibilità che non casualmente è stata fatta propria anche dal C40 Cities, la rete globale di città nata per affrontare la crisi climatica, che recentemente ha accolto il principio della città dei 15 minuti tra i suoi pilastri. Il percorso da fare rimane lungo, ma la strada sembra tracciata e l’obiettivo chiaro e condiviso: la città dei 15 minuti non è certamente un “A dystopian plan!”, quanto piuttosto un modello di sviluppo urbano più eguale e sostenibile per tutti.

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