Autostrade e il fallimento del liberalismo italiano

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Political and social notes

Il crollo del ponte Morandi di Genova sul piano economico è di facile lettura, anche grazie ai testi di uno specialista della tematica come Giorgio Ragazzi, autore del libro I signori delle autostrade. Il processo di privatizzazioni ha dato ai privati la concessione delle autostrade, con un triplice danno: per gli utenti, che hanno tariffe altissime e una rete inefficiente, per lo Stato, che ha rinunciato a degli introiti da destinare almeno alla stessa rete, all’economia privata, perché ha trasformato degli imprenditori (tessili!) che dovevano vivere sul mercato, in rentier che staccano cedole senza alcuna solida competenza industriale nel settore.

Il processo di privatizzazione che ha coinvolto autostrade è stato bipartisan, anche se è stato iniziato dal centro-sinistra di Prodi e di D’Alema, auspice l’aristocrazia intellettuale della borghesia liberale. In barba alla sbandierata ideologia delle liberalizzazioni (ma l’unica mira reale era quella del mercato del lavoro), di “una nuova politica industriale”, della parificazione dei punti di partenza, cioè di quel solo egualitarismo che a parole il centro sinistra diceva di voler favorire come propria precipua caratteristica appunto di “sinistra, in barba a tutto ciò si è venuto di fatto a creare un monopolio privato che, per vocazione originaria, ricerca nella politica una leva indispensabile della propria posizione di vantaggio. Monopolio che ha poi di fatto trovato anche col centro-destra italiano un terreno di convergenza. E non poteva essere altrimenti poiché del monopolio imprenditoriale-politico il centro-destra è la massima espressione a livello mondiale, anch’esso per vocazione originaria: mi riferisco al comparto televisivo di Berlusconi, se non fosse chiaro. Il quale, però, a differenza di quello autostradale, ha dato segni di capacità innovativa, piacciano o meno le innovazioni sul piano dell’antropologia morale che ha promosso direttamente e indirettamente. Gli imbarazzi che oggi la Lega palesa di fronte all’eventualità della nazionalizzazione della gestione delle autostrade non possono dunque sorprendere, visto che la Lega è sempre stata parte organica dell’alleanza costruita da Forza Italia.

Sul piano generale, quanto avvenuto con autostrade rende insomma evidente una volta di più il fallimento di quello che si presenta come “il nuovo liberalismo italiano”, sia di destra che di sinistra. Il motivo? In poche parole: perché entrambi gli schieramenti sono stati del tutto incapaci di costruire lo Stato. Perché lo Stato, se lo intendiamo in senso progressista e non in senso reazionario, deve porsi l’obiettivo di perseguire gli interessi generali e non quelli di una parte. E quando pur persegue, per raggiungere i primi, anche i secondi, deve farlo in modo trasparente, pubblico, per rendere decifrabile come i secondi siano anche uno strumento per i primi e per rendere possibile il controllo attento della pubblica opinione (altro che secretazione delle convenzioni!). Tutta la gran polemica contro lo Stato italiano che viene mossa da chi ha governo fino all’altro ieri (i lamenti sulla burocrazia, sulle carenze dello “Stato regolatore” ecc.) appare davvero comica, se non tragica: perché lo Stato sono stati loro.

Il fallimento del liberalismo italiano data da molto tempo, poiché coincide con la degenerazione dello “Stato imprenditore”. Non coincide, dunque, con la sua esistenza: ma con il mancato salto di qualità che avrebbe potuto compiere se si fosse concluso il lungo percorso di avvicinamento della sinistra storica al governo, a metà anni settanta. Coincide, dunque, con la sua liquidazione, cioè con il processo di privatizzazioni.

Oggi il tema cade però ad una svolta storica importante, visto il montante nazionalismo di destra (Lega) e di sinistra (M5S), che è conseguenza diretta del fallimento citato e, più in generale, del dispiegamento degli effetti devastanti di una globalizzazione volutamente non governata e quindi causa di una gravissima crisi economica e sociale (diseguaglianza, deindustrializzazione, disoccupazione, debito crescente ecc.). Oggi, dunque, lo sforzo che le forze progressiste dovrebbero fare è appunto quello di cominciare a ricostruire lo Stato e la possibilità di questo avvio, che non può che passare dalla nazionalizzazione della gestione delle autostrade e dall’avvio di una politica industriale seria e a vantaggio della comunità tutta, è data dalle condizioni oggettive della società, dell’economia, perfino della politica, come dicevo. Non farlo, significa invece contribuire a spingere ulteriormente il Paese giù dalla china.

 

*Università di Pisa

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