Gli eurobond fra logica economica, sofismi e difficili mediazioni

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Political and social notes

Introduzione

In questo contributo sottoponiamo a critica la seguente tesi recentemente avanzata da Bisin et alii (2020): gli eurobond senza condizionalità sono uno strumento di gran lunga inferiore al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Il nostro è un esercizio di critica interna. Pertanto, non mettiamo inizialmente in discussione l’idea degli autori che l’emissione di eurobond sia riconducibile ad un contratto fra un assicuratore e un assicurato. Pur riconoscendo che questa rappresentazione è di per sé opinabile, ci concentriamo innanzitutto sulla robustezza logica della tesi di Bisin et alii (2020), per chiarire in che senso si possa davvero parlare di moral hazard in questo contesto. Mostriamo allora in che modo il moral hazard possa essere superato, giungendo così a svelare la natura sofistica della tesi che abbiamo sottoposto a critica.

Nei paragrafi conclusivi cercheremo di suggerire alcuni spunti di riflessione che riteniamo utili per comprendere il difficile processo di mediazione che impegnerà nei prossimi giorni i rappresentanti del nostro Governo.

Il contesto

La videoconferenza informale dello scorso 26 Marzo sulle misure di politica economica da porre in atto per affrontare la Pandemia da Covid19 ha, come noto, messo chiaramente in luce le divisioni interne ai 27 Paesi dell’Unione Europea.

La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, si sono assunti il compito di presentare entro il 5 Aprile delle proposte di lungo periodo da concordare con le altre istituzioni europee. Non si è fatto menzione del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) all’interno della dichiarazione comune del Consiglio Europeo seguita alla teleconferenza informale. Non è un caso. Dopo una discussione inusualmente molto lunga, la dichiarazione inizialmente proposta dalla presidente della Commissione è stata ampliamente emendata dai rappresentanti di Stato di alcuni Paesi: i PIGS, come poco elegantemente e senza nascondere una punta inquisitoria, sono stati appellati sin dalla seconda metà degli anni Novanta i sistemi economici dell’Europa Meridionale. Questa volta però Portogallo, Italia, Grecia e Spagna hanno trovato altri appoggi: ben quattordici Paesi, fra questi anche la Francia[1], sono in linea con le posizioni di chi ritiene inopportuno vincolare gli eventuali aiuti finanziari europei a regole di rimborso che entrerebbero in vigore alla fine della crisi. Seppure in una situazione di sospensione del Patto di Stabilità e Crescita, queste regole, nel probabile scenario di grave recessione che si prospetta, rischierebbero di ampliare le asimmetrie che caratterizzano soprattutto l’Eurozona.

La dichiarazione comune del Consiglio si conclude con parole che presuppongono un delicatissimo processo di mediazione: “queste proposte dovrebbero tener conto della natura senza precedenti dello shock covid-19 che colpisce tutti i Paesi. La nostra risposta sarà intensificata, se necessario, con ulteriori azioni in modo inclusivo, alla luce degli sviluppi, al fine di fornire una risposta globale”.

Ci troviamo nel vivo di una delicata trattativa dalla quale potrebbe addirittura dipendere il futuro dell’Unione Europea.

Gli eurobond

In questi giorni sono stati promossi diversi appelli e sono stati avanzate diverse soluzioni che, in modi diversi, pongono al centro l’esigenza di porre in atto misure di politica fiscale espansiva[2].

Ne ha scritto ottimamente Antonella Stirati in questa rivista (Stirati 2020), ed è a quell’articolo che rinviamo innanzitutto i lettori. Ciò che ci preme sottolineare è tutte le proposte sinora in campo, quanto meno fra gli economisti italiani,  sottolineano l’esigenza di prediligere l’emissione di obbligazioni europee sul ricorso al Mes. Lo hanno sostenuto in modo chiaro persino Francesco Giavazzi e Guido Tabellini (2020), due economisti famosi soprattutto per i loro contributi sulla mancanza di credibilità dei governi e sulla necessità di introdurre riforme istituzionali volte a contenere la spesa pubblica[3]che in questo modo dimostrano implicitamente la grande rilevanza che l’autocritica può assumere nella politica economica:  

La nostra proposta prevede l’emissione di bond a scadenza di 50 o 100 anni o addirittura di obbligazioni perpetue (conosciute anche come Consols o titoli di debito pubblico consolidato, cioè titoli a cedola fissa senza scadenza). La Bce dovrebbe essere pronta ad acquistarli per stabilizzarne il tasso di interesse, evitando quindi di alimentare preoccupazioni sulla sostenibilità del debito. Gli stati membri dovrebbero emettere tutti insieme una grande quantità di Covid Eurobond a lunghissima scadenza, garantiti dalla loro capacità fiscale collettiva. Ogni paese emetterebbe le proprie obbligazioni, che però sarebbero identiche tra loro in ogni altro aspetto. Il rating comune, e dunque il costo, sarebbe il risultato della garanzia comune derivante dalla capacità fiscale congiunta degli stati che partecipano all’emissione.

Eppure c’è chi sostiene – per esempio Bisin et alii (2020) – che

gli eurobond senza condizioni sono uno strumento di gran lunga inferiore allo European Stability Mechanism (ESM). Quest’ultimo è lo strumento di cui si è dotata l’Unione europea durante lo scorso decennio per soccorrere paesi membri con difficoltà di accesso ai mercati e prevede esplicitamente alcune forme di condizionalità del prestito. Così come nel caso di Irlanda, Portogallo, Cipro e Grecia negli ultimi anni, all’Italia verrebbero imposte una serie di condizioni non solo sull’ammontare di nuovo deficit, ma anche sulle politiche economiche da attuare”.

Sui limiti intrinseci di un meccanismo europeo di ristrutturazione del debito si sono già espressi molti influenti economisti, fra questi Paul De Grauwe e, soprattutto, il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. “I benefici contenuti e incerti di un meccanismo per la ristrutturazione del debito (debt restructuring mechanism) vanno valutati a fronte del rischio enorme che si correrebbe introducendolo: il semplice annuncio di una tale misura potrebbe innescare una spirale perversa di aspettative di insolvenza, suscettibili di auto-avverarsi.” (Visco 2019).  Quali sarebbero i limiti degli eurobond?

Lo spiacevole sofisma

Bisin et alii presentano ai lettori un raffinato sofisma e lo vestono da ragionamento logicamente ineccepibile. Prestigiatori del linguaggio, ragionano come se l’emissione di eurobond fosse paragonabile ad un modello principale-agente, cioè ad un gioco strategico fra un assicuratore e un assicurato: l’interazione sarebbe quella fra due gruppi di Paesi. Il gruppo 1 è composto da quei Paesi che oggi emettono titoli pubblici a più alto rendimento, perché ad essi si associa un rischio di default più alto (i PIGS, o le cicale come li chiamano Bisin e i suoi coautori). Il gruppo 2 è composto invece da quei Paesi che oggi emettono titoli pubblici a più basso rendimento, perché ad essi si associa un rischio più basso (le formiche). Se venisse emesso un eurobond vi sarebbe un unico rendimento (più alto rispetto a prima per i Paesi del gruppo 2, più basso rispetto a prima per il Paesi del gruppo 1). Saremmo infatti in presenza di una condivisione dei rischi.  Questa situazione, sostengono Bisin et alii, farebbe però emergere un problema di moral hazard (comportamento sleale). L’emissione degli eurobond sarebbe in questo ragionamento come un contratto di assicurazione. Gli assicuratori, cioè i Paesi del gruppo 2 concedono agli assicurati, cioè i Paesi del gruppo 1, un servizio: l’emissione di titoli di debito pubblico caratterizzati da rendimenti minori per loro. In cosa consisterebbe il prezzo di questo servizio? Non solo nel pagamento dei rendimenti che verrebbe a ricadere comunque in parte sui Paesi del gruppo 1. Infatti – secondo Bisin et alii –  i Paesi del gruppo 2 dovrebbero offrire un contratto caratterizzato da un premio più alto: essi dovrebbero pretendere di controllare i Paesi del gruppo 1 affinché questi utilizzino i soldi messi a disposizione dall’emissione degli eurobond per sostenere la crescita del PIL dell’Eurozona.  “Senza condizioni, vista la fungibilità delle risorse finanziarie, il governo [italiano] potrebbe cadere nella tentazione di utilizzare risorse “liberate” dagli eurobond per interventi sconsiderati.” In tal caso il premio assicurativo comporterebbe un costo eccessivo per i Paesi del gruppo 1: l’ingerenza nelle decisioni di politica economica da parte dei Paesi del gruppo 2. Quindi il contratto non potrà concludersi.

A rigor di logica…

Fosse anche così, la teoria economica suggerisce che comunque ci sarebbe ancora lo spazio per una mediazione: l’assicuratore potrebbe offrire solo una parte del servizio all’assicurato, cioè un contratto di assicurazione parziale senza un alto premio.

Pertanto nel nostro caso, si potrebbe ragionare su una emissione minore di eurobond senza ingerenza nelle decisioni di spesa da parte dei Paesi del gruppo 2. Esistono, sin dal 2012, già diverse proposte di mutualizzazione parziale del debito – ma Bisin et alii fingono di non conoscerle: per esempio Frankel (2015) suggerisce che le obbligazioni coprano i debiti nazionali fino a un massimo del 60% del PIL dei singoli Paesi. In questo modo, come hanno notato Marelli e Signorelli (2018), anche la restante parte “nazionale” dei debiti pubblici beneficerebbe probabilmente di tassi più bassi grazie ad una situazione finanziaria migliore.

Coloro che ritengono che questo tipo di mutualizzazione non sia conveniente dovrebbero allora tener conto di due aspetti rilevanti, che riprendiamo da Stiglitz (2017, 249):

“1. A tassi di interesse più bassi, la maggior parte dei paesi non dovrebbe avere difficoltà nel servizio del debito. Naturalmente, in mancanza di una mutualizzazione del debito, esiste il serio rischio di default parziale (come già accaduto in Grecia).  Ironia della sorte gli attuali accordi potrebbero di fatto provocare perdite più consistenti per i paesi creditori rispetto a un sistema di mutualizzazione ben congegnato.

2. Qualsiasi sistema funzionale di integrazione economica deve comportare una qualche forma di aiuto da parte dei paesi più forti in favore dei più deboli. Riconoscendo questo principio, la stessa Europa ha messo fondi cospicui a disposizione dei nuovi entranti (i fondi strutturali e il fondo di coesione) che prevedono diversi programmi

A queste considerazioni Bisin et alii (2020) potrebbero controbattere sostenendo che i costi che i Paesi del gruppo 2 dovrebbero allora sostenere, si sostanzierebbero nei più alti rendimenti che questi dovrebbero pagare sugli eurobond. Ma questi costi comporterebbero altri vantaggi più importanti e più di lungo periodo per i Paesi centrali dell’Eurozona e sarebbero comunque molto inferiori rispetto ai costi che questi Paesi si troverebbero ad affrontare nel caso in cui non si pervenisse ad un accordo. Per comprendere bene quest’ultimo punto bisogna sollevare altre obiezioni a Bisin et alii, che vanno al di là dell’esercizio di critica interna che abbiamo sinora condotto. Queste serviranno anche a dimostrare che la riconduzione del problema a un modello principale-agente nasconda alcuni aspetti rilevanti che non devono essere trascurati.

Lo stato delle cose

Come è stato già notato[4] – i tassi di rendimento addirittura negativi che si registrano sui titoli di Stato tedeschi, austriaci ed olandesi sono il risultato della cattiva mutualizzazione cui si perviene in questo contesto istituzionale inadeguato. Siamo infatti in un mondo in cui gli operatori di mercato sono incapaci di convergere sui fondamentali dei Paesi e gli acquisti della BCE soprattutto dei bund tedeschi obbligati dal capital key, “calmierano” il mercato ma non riassorbono le divergenze[5]. Ciò comporta vantaggi per le presunte formiche pagati dalle presunte cicale. E tutto ciò ha veramente poco a che vedere con i fondamentali sia dei Paesi del gruppo 1 che dei Paesi del gruppo 2[6].

A proposito dei fondamentali, la crescita del PIL dell’Eurozona si basa soprattutto sulla grande integrazione commerciale che caratterizza i suoi Paesi membri, ancor di più nello scenario di protezionismo che caratterizza sempre più l’economia internazionale[7]. Nel 2019 i 27 Paesi membri dell’Unione Europea hanno esportato beni per 5.193 miliardi di euro, dei quali 3.061 miliardi di euro (59%) sono stati destinati ad un altro Paese membro. La Germania è il principale Paese dal quale provengono le importazioni degli altri Paesi europei (con poche eccezioni irrilevanti), come mostrano i dati riportati da Eurostat[8].  Lo stesso gap di produttività fra la Germania e i Paesi dell’Europa del Sud aumenta quando aumenta il surplus commerciale tedesco nei confronti di quei Paesi[9].

Pertanto le risorse che attraverso gli eurobond saranno messe a disposizione dei Paesi periferici difficilmente non avranno un impatto positivo sulla crescita del PIL dell’intera Eurozona. Cade pertanto la motivazione che giustificherebbe l’imposizione delle condizioni di controllo che i Paesi del gruppo 2 dovrebbero esercitare sui Paesi del gruppo 1.

Se gli eurobond fossero gestiti come debiti interni alla sola Eurozona alla condivisione del rischio corrisponderebbe una condivisione dei vantaggi. Come si può leggere in un buon manuale di scienza delle finanze (Steve 1976, 399 e ss.):

Nel caso di debiti interni, il loro servizio importa trasferimenti soltanto entro l’economia del paese, che non è quindi, per il fatto dell’esistenza del debito, né più ricca né più povera […] Da questa considerazione discende un’interpretazione ottimistica del debito pubblico […] come debito che la collettività deve a se stessa, come debito della mano destra alla mano sinistra, e quindi come fatto radicalmente diverso dai debiti privati.

Di fronte alle strozzature che caratterizzeranno l’offerta privata durante la recessione prossima ventura, è difficile ritenere che non vi siano impieghi socialmente produttivi dove il settore pubblico nei vari Paesi europei potrà indirizzare le risorse raccolte attraverso l’emissione degli eurobond. Alcuni sono stati messi in luce da uno degli Appelli su richiamati[10]:

  1. Il finanziamento immediato dei sistemi sanitari dell’Unione europea per l’aumento del personale sanitario e dei posti letto degli ospedali, per le spese riguardanti i test clinici e per le attrezzature per la protezione del personale sanitario.
  2. Un sussidio di disoccupazione temporaneo per tutti i lavoratori a tempo indeterminato o a tempo determinato che rimarranno senza lavoro nei prossimi mesi a causa della flessione dell’attività produttiva.
  3. Un indennizzo economico alle famiglie messe in quarantena domiciliare.
  4. Sussidi e apertura di linee di credito alle imprese che devono sospendere temporaneamente l’attività a causa della messa in quarantena del personale o della caduta della domanda da parte dei consumatori.
  5. Assistenza ai minori nel caso di ricovero di entrambi i genitori e agli anziani non auto-sufficienti nel caso di ricovero delle persone che li assistono. Aiuti alle famiglie nei periodi in cui le scuole sono chiuse a titolo precauzionale.
  6. Un finanziamento straordinario del sistema scolastico per l’acquisto di apparecchiature che consentano la didattica a distanza.
  7. Un finanziamento alle organizzazioni del terzo settore che operano a sostegno delle situazioni di emergenza createsi con la diffusione del coronavirus.

Conclusione

Per tutte le ragioni che abbiamo indicato sin qui, ci sembra che il vero problema su cui sarebbe bene che i decisori politici si concentrassero non stia nell’assenza di condizionalità che introducano vincoli comportamentali sui governi europei diversi dalle presunte formiche (come suggerisce lo spiacevole sofisma che abbiamo sopra svelato). Il vero problema – che non può emergere nel modello principale-agente implicito nel ragionamento di Bisin et alii (2020)  –  è individuare un meccanismo in grado di correggere le distorsioni, in primis la “cattiva mutualizzazione” dei debiti, che oggi caratterizzano il funzionamento del sistema economico europeo, e di funzionare, con vantaggio di tutti[11]. Occorre infatti  garantire il finanziamento necessario ad uno sviluppo economico europeo di lungo periodo, senza procedere in ordine sparso. Tanto più che tecnicamente, come ha segnalato Realfonzo (2020), nulla – se non un’ostilità preconcetta – vieta che la BCE finanzi in modo sostanzialmente diretto le politiche fiscali monetizzando il nuovo deficit europeo, senza impattare sui bilanci pubblici dei singoli Paesi. Se i Paesi europei sapranno gestire saggiamente questo delicatissimo processo di mediazione che ha tutte le caratteristiche di un passaggio epocale, oggi si potranno porre le basi per uno sviluppo in grado di riassorbire le punte che le finanze pubbliche, in questa situazione simile alle situazioni belliche, fanno segnare al rapporto fra ammontare del debito pubblico e prodotto nazionale.

Post scriptum

Come motivare l’ostilità espressa soprattutto dalla Germania e dall’Olanda dinanzi ad un’ipotesi di corretta mutualizzazione del debito fra i Paesi dell’Unione Europea?

Probabilmente, almeno nel caso tedesco, si tratta di un caso interessante di political economics – un filone di ricerca che alcuni dei firmatari del contributo che qui abbiamo sottoposto a critica dovrebbero conoscere bene: dinanzi alla impossibilità di difendere un modello neomercantilista entrato già in crisi prima della Pandemia, i politici tedeschi in carica (gli incumbent) hanno dovuto raccontare ai propri elettori che il problema sta nei costi presunti che derivano dall’avere tra i partner europei dei Paesi che crescono poco a causa di un’allegra gestione dei propri conti pubblici. Un atteggiamento che viene da lontano e risale all’incremento dei trasferimenti tributari richiesti ai ricchi Länder occidentali per gestire (in modo poco trasparente) la riunificazione coi sette Länder orientali, la cui economia era stata distrutta imponendo un tasso di cambio proibitivo fra il vecchio marco dell’Est e il nuovo marco della Germania unita.  (De Cecco 2013, 275 e ss.).

Bibliografia

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Barro R.J., Gordon D.B. (1983), Rules, discretion and reputation in a model of monetary policy, Journal of Monetary Economics, vol. 12: 101-121.

Bisin A., Boldrin M., Brusco S., Clementi G.L. Moro A. e Zanella G. (2020), Debito e fiducia. Il difficile rapporto tra la cicala italiana e la formica tedesca, Il Foglio, 2 Aprile, https://www.ilfoglio.it/economia/2020/04/02/news/debito-e-fiducia-il-difficile-rapporto-tra-la-cicala-italiana-e-le-formica-tedesca-307638/

Brancaccio E., Realfonzo R., Gallegati M. Stirati A. (2020), Con o senza l’Europa: economisti italiani per un piano “anti – virus”, Economia e Politica, 13 Marzo, https://www.economiaepolitica.it/l-analisi/coronavirus-ed-economia-italia-cina-cinese-mondiale-effetti-economici/

Buchanan J. M. (1987), The constitution of economic policy, American Economic Review, vol. 77: 243-250.

De Cecco M. (2013), Ma cos’è questa crisi, Donzelli

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Eurostat (2020), Commercio internazionale di beni nel 2019, pressrelease 49, 29 Marzo. 

Frankel J. (2015), The euro crisis: Where to form here?, Journal of Policy Modelling, 37: 428-444.

Giavazzi F., Pagano M. (1988), The advantage of tying one’s hands: EMS discipline and central bank credibility, European Economic Review, vol. 32: 1055-1082.

Giavazzi F., Tabellini G. (2020), Covid Perpetual Eurobonds: Jointly guaranteed and supported by ECB, Vox, CEPR Political Portal, 24 Marzo, https://voxeu.org/article/covid-perpetual-eurobonds, traduzione italiana https://www.lavoce.info/archives/64658/eurobond-perpetui-contro-il-covid-19/

Lucarelli S., Perone G. (2018), Quando la produttività è limitata dalla bilancia dei pagamenti, paper presentato al Convegno SIE, Bologna 25-27 Ottobre.

Lucas R. Jr. (1986), Principles of Monetary and Fiscal Policy, Journal of Monetary Economics, vol. 17: 117-134.

Marelli E., Signorelli M. (2018), E se l’Italia tornasse alla lira?, libreriauniversitaria edizioni.

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Persson T., Tabellini G. (1990), Macroeconomic Policy, Credibility and Politics, Harwoord Academic Publishers, London. 

Realfonzo R. (2020), Crisi sistemica serve un nuovo paradigma, Il Sole 24 ore, 24 Marzo,

Romano R., Lucarelli S. (2017), Squilibrio. Il labirinto della crescita economica e dello sviluppo capitalistico, prefazione di Paolo Leon, Ediesse.

Sargent T.J., Wallace N. (1981), Some unpleasant monetarist arithmetic, Federal Reserve Bank of Minneapolis Quarterly Review, vol. 5: 1-17.

Steve S. (1976), Lezioni di scienza delle finanze, VII edizione, CEDAM.

Stiglitz J.E. (2019), L’Euro. Come una moneta comune minaccia il futuro dell’Europa, Einaudi.

Stirati A. (2020), L’Italia, l’Europa e la crisi da Coronavirus, Economia e Politica, 1 Aprile, https://www.economiaepolitica.it/l-analisi/crisi-da-coronavirus-italia-europa/

Vallée S.,  Cohen-Setton J., De Grauwe P., Dullien S. (2019), The proposed reform of the European Stability Mechanism must be postponed, London School of Economics blog, 11 Dicembre,   https://blogs.lse.ac.uk/europpblog/2019/12/11/the-proposed-reform-of-the-european-stability-mechanism-must-be-postponed/

Visco I. (2019), The Economic and Monetary Union: Time to Break the Deadlock, Seminario OMFIF-Banca d’Italia “Future of the Euro area”, 15 Novembre, https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-governatore/integov2019/Visco_OMFIF_15112019.pdf 

Ringraziamenti

Ringrazio Massimo Amato, Carlo Clericetti, Giovanni Dosi, Mauro Gallegati, Paolo Pini, Riccardo Realfonzo, Roberto Romano, Alessandro Scalmana, Antonella Stirati e Marco Veronese Passarella per i loro commenti a una versione precedente di questo scritto. Valgono i consueti caveat.


[1] Da alcune indiscrezioni riprese su alcuni quotidiani il 3 Aprile, la Francia sembrerebbe avere ammorbidito le sue posizioni rispetto alla Germania https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/04/03/ue-accordo-francia-germania-mes-alleggerito-credito-dalla-bei-fondo-per-cassintegrati-ma-nuova-proposta-sul-salva-stati-non-piace-allitalia/5758803/

[2] Si vedano: Brancaccio E., Realfonzo R., Gallegati M., Stirati A. (2020)With or without Europe, Italian economists for an antivirus plan, Financial Times, 13 marzo 2020; Economia e Politica, 13 Marzo 2020 ; Lettera aperta (2020) UE, BCE, non è così che si supera la crisi Micromega 22 Marzo 2020; Lettera aperta (2020) L’UE e l’emergenza sanitaria globale. Appello degli Economisti a Conte, Gualtieri e Gentiloni, Micromega 13 Marzo 2020; Lettera aperta (2020) La crisi La crisi Covid-19. Punto di svolta per il progetto europeo, Sbilanciamoci, 2 Aprile 2020  

[3] I contributi più rilevanti di Giavazzi e Tabellini si iscrivono a pieno titolo nella così detta controrivoluzione monetarista. Alla base delle loro ricerche sta la macroeconomia di Lucas (1986), Sargent e Wallace (1981), il modello di Barro e Gordon (1983) e la teoria della public choice di Buchanan (1987). Cfr. Giavazzi e Pagano (1988) e Persson e Tabellini (1990). 

[4] Stirati A. (2020), L’Italia, l’Europa e la crisi da Coronavirus, Economia e Politica, 1 Aprile

[5] In base alle regole attuali, la BCE non può comprare più di un terzo del debito di ciascun Paese e deve acquistare titoli di Stato in base alla quota detenuta dai singoli nell’azionariato Bce, secondo la norma nota come ‘capital key’.

[6] Basti dire che, già prima della pandemia, ad aprile del 2019 le produzione industriale era calata dell’1,9% sul mese precedente e dell’1,8% su base annua. La produzione dell’industria in senso stretto (senza dunque considerare energia e costruzioni) aveva segnato un -2,5. La Bundesbank a Giugno 2019 aveva tagliato le stime della crescita dall’1,6 allo 0,6%. Ma questa situazione non ha minimamente condotto ad una correzione dei rendimenti dei titoli di Stato.

[7] Si veda a tal proposito Minenna M. (2019), Eurozona, l’export è in panne: i focolai della crisi, Il sole 24 ore, 15 Aprile, che sostiene che il ciclo export-led dell’Eurozona e della Germania in particolare si sia esaurito.

[8] Eurostat (2020) Commercio internazionale di beni nel 2019, pressrelease 49, 29 Marzo

[9] Lucarelli S., Perone G. (2018), Quando la produttività è limitata dalla bilancia dei pagamenti, Convegno SIE, Bologna 25-27 Ottobre.; Romano R., Lucarelli S. (2017), Squilibrio. Il labirinto della crescita economica e dello sviluppo capitalistico, prefazione di Paolo Leon, Ediesse.

[10] Lettera aperta (2020) L’UE e l’emergenza sanitaria globale. Appello degli Economisti a Conte, Gualtieri e Gentiloni, Micromega 13 Marzo 2020;

[11] Per una proposta concreta in tal senso, che non necessita di una mutualizzazione del debito, si rinvia al contributo di: Amato M., Belloni E., Falbo P., Gobbi L. (forthcoming), Transforming sovereign debts into perpetuities through a European Debt Agency.

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