Cronache dalla crisi

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Political and social notes

Vale la pena in questo scorcio finale delle vacanze – per gli italiani che se le sono potute permettere – fare brevemente il punto con nostri lettori sull’andamento della crisi e sul dibattito di politica economica.

1. Il fatto più eclatante dell’estate è stata la significativa ripresa dell’economia tedesca guidata dalle esportazioni. Queste hanno compiuto un balzo, soprattutto verso la Cina. Ciò ha fatto saltare di gioia gli economisti conservatori, pronti a suggerire che le politiche restrittive e anti-keynesiane della Merkel sono state più efficaci di quelle espansive di Obama. La verità è che la Germania ha tratto vantaggio dall’opportunismo della Merkel, dichiaratamente volto ad attendere che gli altri, Cina e Stati Uniti in primis, adottassero politiche espansive, trainando in tal modo le esportazioni tedesche. Il deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro ha fatto il resto. Tale deprezzamento è fondamentalmente scaturito dalla crisi di fiducia verso la moneta unica che ha fatto seguito all’accentuarsi dei rischi di una crisi di solvibilità del debito greco e degli altri paesi della “periferia” europea (Spagna, Portogallo e Irlanda). Fra la furbizia e il grottesco, la Germania ha così tratto beneficio sia dalle politiche espansive di alcuni che dalle difficoltà di altri, non certo dai tagli della Merkel. I paesi periferici, con la loro debole industria esportatrice, non si sono invece avvantaggiati del deprezzamento dell’euro. L’Italia un po’ sì, e la ripresa tedesca comporta pure più subforniture dal nostro nord-est, ma questo appena consente al nostro paese di “galleggiare”, anche perché i tagli fiscali cominceranno presto a mordere.

2. Già, i tagli fiscali. Qualcuno ha fatto finta di sorprendersi che la Merkel, a fronte di un aumento inatteso delle entrate fiscali, abbia ribadito i propri. Ma questa è una costante della politica economica tedesca nel secondo dopoguerra: onde impedire che una crescita delle esportazioni “ecciti” il mercato del lavoro, con conseguenti maggiori richieste salariali, si taglia la spesa fiscale (negli anni ’50 la politica di accumulare surplus fiscali per compensare l’eccesso di espansione delle esportazioni era denominato Juliusturm, dal nome della torre dove era custodito il tesoro del primo Reich). La Merkel non ha spinto affinché la BCE aumentasse i tassi di interesse – il tradizionale segnale di moderazione che il governo tedesco rivolge ai sindacati. Non si è mossa in questa direzione poiché ciò aggraverebbe il costo dei debiti pubblici e privati in Europa. E allora non le è rimasto che ribadire i tagli fiscali. Ma la ripresina tedesca durerà? La questione è che le cose in America non vanno bene, e anche la crescita cinese dà segni di rallentamento, pur mantenendosi su ritmi elevati. Il comportamento opportunista della Germania non aiuta certo, né in Europa, né a livello globale.

3. L’economia americana non va infatti bene. Non a caso il dibattito sulla politica fiscale prosegue intenso. Da un lato, gli economisti di orientamento più keynesiano che sostengono che troppo poco si è fatto, e che ancora si dovrà spingere per sostenere la domanda. Dall’altro, gli economisti più conservatori che affermano, sostanzialmente sulla base del cosiddetto “effetto Barro-Ricardo”, che la politica fiscale è inefficace [1]. Da ultimo, uno studio predisposto da un vecchio autorevole keynesiano, Alan Blinder ha mostrato come, invece, le politiche espansive adottate dall’amministrazione americana siano state assai efficaci. E a chi ribatte che la politica fiscale non è stata in grado di tirare fuori il Giappone dalle piste della deflazione, finendo solo per determinare il più elevato debito pubblico del mondo (in rapporto al Pil), replica uno studio dell’autorevole Peterson Institute for International Economics che mostra come effettive politiche espansive non siano mai state tentate in quel paese.

4. E da noi? Il governo porta avanti la linea dell’austerità fiscale, ma ciò che colpisce è la persistente assenza di una coerente proposta di politica economica alternativa da parte dell’opposizione di sinistra, moderata o radicale che sia. Il PD in queste settimane sembra non riuscire ad andare oltre una richiesta a Berlusconi di “riferire in Parlamento” – un mantra che era del PCI dei vecchi tempi – come se tale dibattito, pur doveroso, potesse sostituire una capacità di elaborazione e di mobilitazione intorno ad essa. Per ciò che qui ci preme, sarebbe importante che a settembre si rianimasse il dibattito sulla politica economica europea, a partire dalle riflessioni della ben nota Lettera degli economisti. Soprattutto, sarebbe necessario che, accanto ai tecnici, anche la politica si esprimesse con chiarezza sulle proposte della Lettera, fino a delineare i contorni di una possibile azione alternativa di governo. D’altra parte, l’ipotesi delle elezioni anticipate non è del tutto tramontata e non vorremmo che la sinistra moderata e radicale si facesse cogliere ancora una volta impreparata, cadendo vittima dell’egemonia culturale altrui. Gli economisti della Lettera sono pronti al confronto.

[1] In breve, si sostiene che se pure il governo spende di più (o tassa di meno) a scopo espansivo, i soggetti tenderanno a spendere di meno (cioè risparmiare) perché si attenderanno di pagare più tasse nel futuro quando il governo dovrà rientrare dal deficit.

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