Andare oltre il PIL – Commento a Giuliano Resce

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Political and social notes

La proposta di superare l’arbitrarietà dell’aggregazione di indicatori in indici sintetici attraverso la Stochastic Multiobjective Acceptability Analysis (SMAA, Lahdelma et al. 1998; Lahdelma, Salminen, 2001), introdotta su Economia e Politica da Giuliano Resce e da questi utilizzata in relazione agli esiti del recente referendum costituzionale, è certamente interessante.
La SMAA è una tecnica di sintesi dell’informazione fornita da un insieme eterogeneo di indicatori, riferiti a domini diversi, che offre una possibile risposta al problema della valutazione del benessere, posto come tipico “problema multi-criteriale”, cioè appunto di sintesi di una molteplicità di indicatori in una singola misura riassuntiva dello stato generale delle cose. Un simile problema si pone quando un insieme di alternative deve essere valutato sulla base di un insieme di criteri, cioè delle sue implicazioni per una molteplicità di domíni, rappresentati da un vettore di indicatori. La SMAA (come la maggior parte degli approcci al problema) basa la valutazione su di una semplice formula di aggregazione per somma, nella quale l’importanza relativa dei diversi criteri è espressa dai diversi pesi moltiplicativi assegnati ad essi. Nel caso del benessere, la valutazione deve però essere pertinente per la molteplicità dei soggetti rilevanti, ma la varietà delle preferenze individuali soggettive rende arbitraria ogni scelta aprioristica di una qualsiasi specifica realizzazione del sistema di pesi. La SMAA evita questa arbitrarietà considerando tutte le possibili realizzazioni dell’insieme dei pesi, corrispondenti a tutte le possibili opinioni rispetto al grado di importanza dei singoli indicatori. Per ciascuna realizzazione possibile del sistema dei pesi si calcola il valore risultante dell’indice sintetico, rendendolo in tal modo simile ad una variabile stocastica, cioè ricavando una distribuzione di probabilità dell’inidce anzichè un suo unico valore puntuale, come invece avviene negli approcci più tradizionali al problema multi-criteriale.

Sulla base dell’applicazione di tale metodo ai dati del BES, Resce stima “le probabilità che ogni regione ha di raggiungere una posizione piuttosto che un’altra, nelle classifiche del benessere”, mettendola poi in relazione con i diversi esiti a livello regionale del referendum sulla riforma costituzionale del governo Renzi – bocciati (riforma e governo) quasi ovunque, ma più sonoramente nelle regioni che con bassa o bassissima “probabilità” (rectius: con una frequenza bassa o bassissima nell’insieme delle infinite configurazioni di preferenza possibili) si collocano nelle posizioni alte della “graduatoria del benessere”, cioè in corrispondenza di “poche” – e verosimilmente particolari ed estreme, cioè quelle nelle quali il peso è concentrato tutto sulle poche variabili che assumono valori migliori al Sud – configurazioni dell’insieme dei pesi/preferenze.
Ovviamente la SMAA non è esente da opinabilità sul piano tecnico. Ad esempio, la SMAA rende conto pur sempre di un sottinsieme (arbitrario) di tutte le possibili formule di aggregazione, e in particolare di (tutte e solo le possibili) combinazioni lineari convesse tra gli indicatori, rimanendo escluse tutte le altre infinite possibili – e parimenti sensate – formule algebriche di aggregazione (es. somma di funzioni quadratiche; produttoria dei logaritmi; somma con penalizzazione della disomogenità della distanza dei vari indicatori dalla propria media nazionale…); non vi è “relativizzazione” dell’insieme dei pesi possibili (che esprimono un sistema di valori!), cioè tutte le possibili combinazioni di pesi sono considerate ugualmente probabili per tutte le regioni; ci si muove pur sempre e comunque in una logica di “scambiabilità generalizzata” tra dimensioni; si utilizzano gli indicatori come se fossero sempre interpretabili secondo un senso “meglio-peggio” univocamente definito; nell’esercizio presentato, non sembra esservi alcun controllo sul range di variazione dei singoli indicatori, sull’esistenza di soglie o obiettivi… insomma non vi è una standardizzazione che permetta una migliore comparabilità/aggregabilità. Chiaramente il metodo fornisce risultati (ranking) facilmente intellegibili in situazioni nette come quella analizzata, ma in situazioni meno duali è logico che le probabilità assegnate ai diversi rank siano più tendenti all’uniforme – il che riduce parecchio l’utilità del metodo stesso, perchè se la situazione è molto polarizzata lo si vede “ad occhio”. Tutt’al più, corroborerà ipotesi preesistenti (sul ranking). I dati utilizzati, inoltre, sono essi stessi relativi ad uno specifico insieme di indicatori, la cui selezione, oltre ad essere condizionata dall’effettiva disponibilità dei dati, di per sè incorpora (come inevitabilmente qualsiasi selezione) una concezione di benessere storicamente, geograficamente e antropologicamente determinata. Ad esempio, in una diversa rappresentazione del mondo potrebbe essere incluso – e quindi ammesso a pesare – ciò che succede al di fuori della comunità e del territorio di riferimento. La definizione stessa dell’insieme dei domini, e per ciascun dominio preso singolarmente la selezione degli indicatori adottati a rappresentarlo, veicolano una concezione di benessere inevitabilmente circoscritta a ciò che in quel sistema è rappresentabile, mentre ciò che da quell’insieme di indicatori non è rappresentato non può, per impostazione, incidere nè sul livello del benessere misurato nè sul ranking. Addirittura, se la SMAA è applicata a livello di indicatori elementari, la probabilità che ogni regione ha di raggiungere una posizione piuttosto che un’altra nelle classifiche del benessere è influenzata dal semplice numero degli indicatori adottati per ciascun dominio.
Al di là dei tecnicismi, la cosa più notevole dell’approccio è – a parere di chi scrive – la conferma che esso fornisce di un motivo di fondo per il quale ogni indice sintetico va guardato con sospetto e comunque come nulla più che un punto di partenza per un lungo viaggio interpretativo delle sue componenti: se ne cavano comunque soltanto graduatorie! Certo, le graduatorie talvolta servono. Possono essere (sono) utilizzate ad esempio per individuare i beneficiari di azioni volte a migliorare la situazione di chi sta peggio. Ma non bastano ad individuare gli ambiti tematici sui quali agire, nè ad individuare i punti di maggior urgenza o di maggior leva, cioè quelli agendo sui quali è possibile scardinare i meccanismi che determinano i divari. Molto più interessanti e importanti a tal fine sono le relazioni causali, i meccanismi che legano le diverse performance, la storia che ha portato ad una determinata fotografia… Il ranking di luminosità dei soggetti di cui si compone una foto – stocastico o deterministico che sia – dice poco dei loro connotati.
Quel che maggiormente si può apprezzare dell’approccio stocastico è che supera al meglio – cioè archiviandola – la pretesa di quantificare cardinalmente su un singolo asse i divari tra le regioni. Si tratta di una pretesa evidentemente assurda, anzi contraddittoria quando si passa da un mondo ad una dimensione ad uno multidimensionale. Andare oltre il PIL non può voler dire proporre un altra sorta di PIL. E’ l’idea stessa dell’equivalente universale del benessere che va messa in cantina, non una sua formulazione particolare. L’economicismo non è tanto nell’uso della moneta come equivalente, ma nella scambiabilità generalizzata tra gli obiettivi (tra gli indicatori), giustificabile solo sulla base di una filosofia utilitarista del tutto inadeguata di fronte alla complessità di fenomeni umani, di fronte ai quali non vi sono scorciatoie. Non sono le difficoltà interpretative che possono far deviare l’approccio scientifico. L’investimento di risorse sulla ricerca di semplificazioni tecniche non porta lontano. La formulazione di risposte politiche non può prescindere dalla partecipazione dei soggetti interessati, dall’espressione democratica delle loro preferenze reali, che per definizione non possono essere rappresentate da un ecumenico “tutte le preferenze possibili”.

Quanto si giovano le conclusioni dell’articolo di Resce, assolutamente condivisibili, dell’analisi resa possibile dalla SMAA? Ho l’impressione che chiunque sfogli il volume del BES possa sottoscrivere le prime anche prescindendo dalla seconda, e temo che nonostante questa nuova evidenza non vi sarà l’auspicata inversione di tendenza, cioè “interventi mirati a colmare i divari o quantomeno avviare processi di convergenza tra le diverse aree del paese”, senza i quali “le segregazioni territoriali non possono che accentuarsi”. Questo perchè le dinamiche che stanno dietro l’inazione (o l’azione contraria) sono ben più forti di ogni nostra sofisticata analisi. Tecniche come la SMAA sono sicuramente molto promettenti se si crede che nei tecnicismi si possano trovare soluzioni a problemi di natura politica, ma forniscono poco ausilio a chi vede nel mondo dei conflitti reali, non in quello dei numeri, il campo di gioco sul quale vanno superati il PIL, le sottostanti logiche e gli interessi che ne determinano la centralità.

 

 

*Primo ricercatore presso l’Istat. Le opinioni espresse sono assolutamente personali e non impegnano in alcun modo l’ente di appartenenza

 

Riferimenti bibliografici

Lahdelma, R., &Salminen, P. (2001). SMAA-2: Stochastic multicriteria acceptability analysis for group decision making. Operations Research, 49(3), 444-454.

Lahdelma, R., Hokkanen, J., &Salminen, P. (1998). SMAA-stochastic multiobjective acceptability analysis. European Journal of Operational Research, 106(1), 137-143.

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