La criminalità e l’industria agroalimentare

Scarica pdf Partecipa alla discussione Torna indietro Home

Paper

Leggi abstract

The leading position of Italy’s agro-food sector is threatened because of the Agromafia with the rise of organised crime in the sector. The article shows that criminal activities cause market distortion leading to an increase in prices and a loss of consumer buying power which depresses the economic cycle due to the fall in demand. The agro-food sector should therefore be protected and defended especially because it is capable of attracting large amounts of capital and of triggering processes of constant growth.

Il comparto agroalimentare italiano con i suoi 3,3 milioni di addetti e quasi 1,2 milioni di imprese costituisce sine dubio una delle architravi fondamentali dell’intero sistema industriale nostrano, nonché un’eccellenza di rilievo internazionale. Non a caso, nel 2013 l’Italia vantava il più elevato numero di certificazioni alimentari riconosciute (Dop, Igp e Stg) a livello comunitario, con ben 261 specialità agroalimentari di qualità superiore (Rapporto Noi Italia 2015, Istat). Un business che nel 2014 ha fruttato al Paese un valore aggiunto superiore ai 50 miliardi di euro, con un export complessivo equivalente a 34,3 miliardi di euro e un numero di consumatori individuali esteri fidelizzati prossimo ai 750 milioni (Atlante geografico del food made in Italy nel mondo, Federalimentare). Senza contare l’intero indotto generato dal settore che si aggirerebbe intorno alla ragguardevole cifra di 245 miliardi, circa il 16% del Pil nazionale (Rapporto Censis-CIA 2014).

Ciononostante, da alcuni decenni l’agricoltura è affetta da problemi strutturali ed endemici che ne limitano fortemente le potenzialità e un corretto sviluppo. In particolare, spiccano la progressiva perdita di suolo agricolo (Bernetti et all. 2013) – che è la principale causa del deficit della bilancia agroalimentare – e soprattutto l’ascesa della criminalità organizzata a carattere ambientale e alimentare. Quest’ultima costituisce il nucleo principale della nostra ricerca.

In primo luogo, è bene definire i contorni di questo fenomeno relativamente nuovo e inquietante, che prende il nome di Agromafia. Esso identifica tutte le transazioni economiche aventi ad oggetto beni, servizi e attività finanziarie legate al comparto agroalimentare e caratterizzate dal ricorso al metodo mafioso (Rapporto Ecomafia 2014, Legambiente). Secondo Eurispes e Coldiretti, il fatturato agromafioso medio annuo ammonterebbe a 16 miliardi di euro con un danno complessivo per il made in Italy pari a 50 miliardi di euro e un numero complessivo di 7.985 reati piuttosto eterogenei (30 Rapporto Agromafia, Eurispes e Coldiretti). Una perdita che trova le sue determinanti principali nelle seguenti modalità d’azione criminali: usura e racket delle estorsioni; imposizione di materie prime e della manovalanza (caporalato); abigeato e furti di materiali direttamente connessi al processo produttivo; gestione del trasporto dei prodotti; contraffazione dell’input/output produttivo e italian sounding; truffe ai danni dell’UE (Canali 2012; Rapporto Ecomafia 2014, Legambiente).

Attività che attraverso il controllo di ciascuna fase della filiera – dall’approvvigionamento alla commercializzazione – contribuiscono alla creazione di veri e propri monopoli, che minano la libera concorrenza e generano effetti potenzialmente distorsivi sui mercati (Paoli 2002; Minutoli 2011; Pinotti 2012). Ma non solo, essi favoriscono anche la nascita di cartelli che fanno lievitare artificialmente i prezzi. In altre parole, i rivenditori sono costretti, talvolta, a scaricare sui consumatori i taglieggiamenti subiti dalle organizzazioni criminali (Di Gennaro e La Spina 2008).

Sulla base di queste considerazioni proveremo a verificare se le attività criminali di matrice ambientale e agro-alimentare abbiano influenzato in qualche misura i prezzi al consumo dei generi alimentari e delle bevande analcoliche, per il periodo 1998-2014. A tal fine, sulla base dei dati forniti annualmente da Legambiente, abbiamo costruito un indice di pressione eco-criminale ad hoc, specifico per ciascuna regione [1]. Parallelamente, abbiamo calcolato l’evoluzione complessiva dell’indice dei prezzi per i generi alimentari per l’arco temporale oggetto dell’analisi.

 

Tabella 1. Pressione eco-criminale media ed evoluzione dell’indice dei prezzi alimentari nelle regioni italiane, periodo 1998-2014.

Perone-1-16

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Legambiente e Istat.

 

Dalla tabella emerge chiaramente come l’incidenza e la pervasività delle organizzazioni eco-criminali sia maggiore nelle regioni meridionali, con particolare accento sulla Calabria (298,83) e sulla Campania (239,53). Similare è anche la dinamica dei prezzi alimentari al consumo, la quale pur seguendo una direttrice (ascendente) comune, assume una dimensione preminente nel Centro-Sud. Difatti, nella finestra temporale che va dal 1998 al 2014 i prezzi sono aumentati mediamente del 50,20% al Sud e di “soli” 36,86 punti percentuali al Nord (grafico 1).

Perone 2.16

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Istat. Grafico 1

 

Per sgomberare il campo da ogni dubbio, verifichiamo preliminarmente se le divergenze nella competitività di costo delle imprese agroalimentari (periodo 2009-2012) possano giustificare la dinamica suindicata. In particolare, ci serviamo di una variabile binaria utile a catturare l’effetto “addizionale” di appartenenza alla ripartizione centro-settentrionale.

 

Tabella 2. Output della regressione con dummy

Perone 3.16

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Istat.

 

La probabilità che la media del centro-nord sia superiore a quella dei “rivali” risulta estremamente bassa. Le due ripartizioni non presentano differenze statisticamente significative.

Quindi veniamo all’esercizio empirico specifico; la regressione lineare adottata nel grafico seguente compone eco-crimini e prezzi alimentari, permettendo – attraverso l’interpolazione grafica – di sintetizzarne l’andamento medio.

Perone 4.16

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Legambiente e Istat. Grafico 2. [2]

Note: le due variabili presentano un’elevata concordanza pari a +0,83. La retta di regressione mostra come ogni incremento di 10 punti dell’indice di pressione eco-criminale determina un contestuale aumento dello 0,75% circa dell’indice dei prezzi alimentari al consumo. Infine, il coefficiente di determinazione risulta pari a 0,6959; quindi, il modello consente di spiegare il 69,59% della variabilità dei dati.

Le due variabili sono positivamente correlate e la relazione appare statisticamente significativa. Quindi, almeno teoricamente, le attività criminali di stampo eco-criminale accelerano la dinamica inflazionistica dei prodotti di prima necessità.

Al fine di determinare se sia possibile individuare gruppi di regioni simili, applichiamo la tecnica multivariata della cluster analysis che permette di minimizzare la “lontananza logica” fra i gruppi e di massimizzarne quella esterna [3].

 

 

Perone 5.16

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Legambiente e Istat. Grafico 3

 

Il grafico ottenuto – chiamato dendrogramma [4] – individua due cluster ben distinti (taglio=4), che con buona approssimazione sono equipollenti alla ripartizione centro-settentrionale e a quella meridionale.

Nello specifico, il primo gruppo presenta un indice medio eco-criminale pari a 71,81 e un indice dei prezzi di 136,45; mentre il secondo cluster, a fronte di un indice eco-criminale medio nettamente più elevato (182,92), è caratterizzato da una dinamica dei prezzi più sostenuta (145,96).

Se è vero che le mafie, imponendo le loro condizioni alle imprese, fanno lievitare i costi di produzione e i prezzi di vendita, sarà anche vero che il libero mercato ne esce fortemente indebolito. Infatti, le imprese vessate debbono forzatamente considerare nelle loro equazioni di prezzo, oltre al mark-up e al costo medio unitario del lavoro, un ulteriore margine teso a remunerare i fattori non legati strettamente al processo produttivo.

Un output particolarmente sfavorevole per il Mezzogiorno, anche in virtù del peso relativo ivi assunto dai consumi alimentari sul totale della spesa delle singole famiglie. In particolare, secondo l’Istat nel 2013 il Sud e le Isole presentavano percentuali relative del 24,95% e del 26,03%, rispettivamente; mentre il Nord e il Centro non superavano il 16,88% e il 19,59%. Una condizione che non solo può innescare repentini processi di impoverimento ma anche deprimere ulteriormente il ciclo economico.

Infatti, com’è ben noto nella tradizione keynesiana, la domanda è il motore dell’offerta; una sua eventuale riduzione comporta necessariamente un calo degli investimenti e del dinamismo industriale, nonché un aumento della disoccupazione (Lavoie 2009). Inoltre, l’aumento dei prezzi, deteriorando il potere d’acquisto dei consumatori, erode i risparmi e determina nel lungo periodo un’ulteriore diminuzione degli investimenti che si ripercuote negativamente sulle spese per gli investimenti stessi, sul reddito dei lavoratori e sul livello generale della produzione futura. Ciò genera un andamento circolare che conduce a un nuovo decremento dei consumi (Keynes 1936).

Un risultato aggravato anche dai problemi strutturali dell’area; difatti, secondo l’indice di competitività regionale elaborato dalla Commissione Europea, il divario infrastrutturale, tecnologico e macroeconomico fra Nord e Mezzogiorno avrebbe fatto registrare un ulteriore ampliamento nel periodo 2010-2013 (Annoni and Kozovoska 2010; Annoni and Dijkstra 2013). Nella fattispecie, la forbice fra le due macro-regioni sarebbe incrementata del 14,92% (tabella 2) in soli 3 anni, accentuando quel processo di divergenza in atto da più di un secolo (Daniele e Malanima 2007).

 

Tabella 3. Indice di competitività regionale

Perone 6.16

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Commissione Europea 2010 e 2013.

 

Per tutte queste ragioni il settore agroalimentare andrebbe tutelato e difeso con ogni mezzo non solo in virtù del patrimonio eno-gastronomico rappresentato ma anche poiché capace di attirare a sé grandi quantità di capitali e di innescare processi di crescita sostenuti (Carbone and Henke 2012).

 

*Dottorando in politica economica Università degli Studi del Molise

[1] Indice di pressione eco-criminale è stato costruito secondo la seguente procedura: in primo luogo abbiamo provveduto al calcolo della media dei reati eco-mafiosi nel periodo 1998-2014 sulla base dei rapporti annuali dell’associazione ambientale Legambiente; in seconda istanza, si è proceduto alla standardizzazione del loro numero assoluto con la superficie territoriale e con la popolazione di ciascuna regione; successivamente gli output ottenuti sono stati commutati in numeri indici con media=100 e ne è stata calcolata la media semplice. Il risultato finale, dunque, deve essere valutato in base ad un criterio puramente proporzionale e relativo.
[2] Dalla regressione è stata esclusa la regione Liguria al fine di rendere la rappresentazione grafica più nitida e ordinata, nonché di evitare possibili distorsioni. Tuttavia, anche una sua eventuale inclusione non sembra modificare l’output conseguito; difatti, si avrebbe comunque un coefficiente di determinazione consistente, e pari a 0,6263, nonché un indice di correlazione equivalente a +0,79.
[3] Nella fattispecie abbiamo operato la standardizzazione della matrice originaria e successivamente computato la matrice delle distanze col metodo di Euclide. Infine, è stato applicato il metodo gerarchico del legame completo.
[4] Il dendrogramma è un particolare grafico ad albero, i cui rami verticali rappresentano i grappoli/cluster, mentre quelli orizzontali la distanza di fusione dei gruppi stessi.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA
Annoni P. and Kozovoska K. (2010), EU Regional Competitiveness Index RCI 2010, European Commission, Joint Research Centre, EUR 24346.
Annoni P. and Dijkstra L. (2013), EU Regional Competitiveness Index RCI 2013, European Commission, Joint Research Centre, EUR 26060.
Bernetti, I., Sottini, V. A., Marinelli, A., Marinelli, N., Marone, E., Menghini, S., and Scozzafava G. (2013), “Evaluation of economic, social and sector impacts of agricultural land loss” , Italian Journal of Agronomy8(4), 24.
Canali G., “Falso made in Italy e Italian sounding: le implicazioni per il commercio agroalimentare”, in De Filippis F. (2012), “L’agroalimentare italiano nel commercio mondiale. Specializzazione, competitività e dinamiche”, Quaderni del Gruppo 2013, Edizioni Tellus.
Carbone A., Henke R. (2012), “Sophistication and Performance of Italian Agri-food Exports”, International Journal on Food System Dynamics, 3(1), 22-34.
Daniele V. e Malanima P. (2007), “Il prodotto delle regioni e il divario Nord-Sud in Italia (1861-2004), Rivista di politica economica.
Di Gennaro G. e La Spina A. (2010), “I costi dell’illegalità. Camorra ed estorsioni in Campania”, Il Mulino, collana Percorsi.
Keynes J. M. (1936), The General Theory of Employment, Interest and Money, Palgrave Macmillan, London.
Lavoie M. (2009), “Introduction to Post-Keynesian Economics”, Palgrave Macmillan, 2end edition.
Minutoli G. (2011), “Crisi di impresa ed economia criminale. Misure di prevenzione patrimoniale e soluzioni concordatarie”, IPSOA, collana Insolvency.
Paoli L. (2002), “The paradoxes of organized crime”, Crime, law and social change, 37(1), 51-97.
Pinotti P. (2012), “The economic costs of organized crime: evidence from southern Italy”, Temi di Discussione, Banca d’Italia, n. 868.
 

 

 

 

economiaepolitica.it utilizza cookies propri e di terze parti per migliorare la navigazione.