In pensione più tardi per pagare la crisi? Una replica a Tabellini

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Political and social notes

Da tempo la questione del debito pubblico si situa al centro del dibattito di politica economica nazionale. Ma con il sopraggiungere della recessione, la tematica è divenuta ancor più cruciale per le sorti del paese. Il problema è che fino ad oggi ha prevalso a nostro avviso una lettura distorta del problema, che ha dato luogo a indicazioni di politica economica discutibili e pericolose. Il convincimento dominante è quello secondo cui la politica del bilancio statale dovrebbe fondarsi su drastiche restrizioni finalizzate al rapido abbattimento del rapporto tra debito pubblico e Pil. Persino adesso, nel corso di una crisi che si annuncia grave, vi è chi si ostina a indicare la via della politica restrittiva. Il prof. Guido Tabellini, Rettore della Università Bocconi, è tra quanti la pensano a questo modo. Suo è l’editoriale apparso in prima pagina sul Sole 24 Ore del 2 novembre scorso, dal titolo “Risparmiare sulle pensioni per finanziare l’emergenza. Nell’articolo Tabellini sostiene che il crescente differenziale tra i rendimenti dei titoli del debito pubblico italiani e quelli tedeschi “è facile da spiegare”. Egli sostiene che, a differenza di quelle tedesche, le garanzie offerte dallo Stato italiano per la solvibilità del sistema finanziario non sono solide: “per via del suo alto debito pubblico, lo Stato italiano non può essere più credibile di tanto”. “In passato – prosegue Tabellini – molti si erano illusi che l’euro fosse sufficiente a proteggerci, e a tenere basso il costo del debito indipendentemente dalle sue dimensioni. Due anni fa, ad esempio, settanta economisti firmarono un appello per indurre l’allora Governo Prodi a non perseguire l’obiettivo di ridurre il rapporto debito/Pil, limitandosi a tenerne stabile il rapporto (il manifesto, 16 luglio 2006). È anche per via di queste illusioni che in passato non abbiamo approfittato delle circostanze favorevoli, come invece hanno fatto altri Paesi europei. Nel 2000 il debito pubblico italiano era il 109% del prodotto interno lordo. Da allora è sceso di soli 5 punti percentuali. Ora paghiamo le conseguenze di questi ritardi”. Il riferimento di Tabellini è all’appello degli economisti per la stabilizzazione del debito pubblico rispetto al Pil consultabile all’indirizzo www.appellodeglieconomisti.com. Il ragionamento di Tabellini prosegue con l’invito a “non abbandonare il percorso di rientro del debito pubblico”, per cui “eventuali provvedimenti di espansione del disavanzo vanno accompagnati da interventi in senso opposto”. E si chiude con l’invito a “uno scambio che è nell’interesse di tutti: più investimenti pubblici e più sostegno ai disoccupati e ai redditi bassi oggi, in cambio di un innalzamento graduale dell’età di pensionamento e di una riduzione futura della spesa pensionistica”.

L’analisi di Tabellini non ci convince. Per questo abbiamo scritto una breve replica che però il Sole -24 Ore alla fine ha preferito non pubblicare. La riproponiamo in basso con l’auspicio che il prof. Tabellini voglia intervenire su “Economia e politica”, o dove meglio ritiene opportuno, e chiarire gli aspetti del suo ragionamento che ci sembrano oscuri e che per esser sostenuti richiederebbero adeguati supporti teorici ed empirici.

Replica a Tabellini
di Riccardo Realfonzo

A quanto pare i venti di crisi riportano alla ribalta la questione del debito pubblico e della scelta dei vari indirizzi di politica economica ai quali ispirarsi per gestirlo. Nell’editoriale del 2 novembre scorso Guido Tabellini esprime un giudizio negativo sull’appello del 2006 di cento economisti italiani contro l’abbattimento del rapporto tra debito pubblico e Pil e a favore di una sua stabilizzazione nell’arco di una legislatura. Secondo Tabellini, infatti, è da proposte di questo tipo che deriverebbero molti degli attuali guai italiani, a cominciare dal rischio di default statale segnalato a suo dire dall’aumento del differenziale tra i tassi d’interesse sui titoli pubblici italiani e i titoli tedeschi. Insomma, ci spiega Tabellini, se non continuiamo ad abbattere il debito pubblico rischiamo la bancarotta. In base a questo suo ragionamento, egli dunque propone che l’inevitabile gestione anticiclica del disavanzo nella fase di crisi venga repentinamente compensata da un ulteriore intervento restrittivo sulle pensioni, e in particolare sull’età di pensionamento.

Il ragionamento di Tabellini appare scarsamente documentato, e dunque allo stato dei fatti molto poco persuasivo. Tra i vari punti oscuri dell’argomentazione di Tabellini ci permettiamo nel poco spazio disponibile di richiamare l’attenzione sul seguente. Sussistendo una vasta letteratura sull’argomento, e non essendovi per quel che ci risulta una ferrea connessione tra rapporto debito/pil e differenziali sui tassi d’interesse, gradiremmo delucidazioni sul punto. A noi pare, infatti, che lo spread sui tassi risponda a numerose sollecitazioni, non ultima quella relativa al grado di competitività nazionale e al connesso andamento della crescita in quanto tale e dei conti esteri. A nostro avviso è esattamente da questa seconda problematica che bisognerebbe far partire ogni discorso sulla sostenibilità della politica economica nazionale, anche perché il tentativo confindustriale di recuperare margini competitivi tramite il reiterato inabissamento dei salari ci pare abbia ormai evidenziato tutti i suoi limiti e la sua inefficacia. Sotto questo punto di vista, d’altra parte, esiste una solida tradizione accademica che propone da tempo, sulla scorta appunto di una proposta alternativa in tema di finanze pubbliche, l’adozione di incisive politiche industriali e infrastrutturali per rilanciare la competitività italiana. Ad ogni modo, e ancor più in una fase nella quale numerosi dogmi economico-finanziari sembrano a dir poco vacillare, sarebbe d’aiuto al dibattito se gli economisti si preoccupassero di citare dati e ricerche prima di presentare al grande pubblico proposte così impegnative sul piano politico e – almeno a nostro avviso – alquanto ardimentose sul piano scientifico.

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