Debito statale, debito sovrano, debito pubblico, debito dei cittadini

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Political and social notes

Le mutazioni del linguaggio, specie quelle terminologiche, sono, com’è ovvio, l’espressione di nuove idee e, talora, di nuove ideologie. E l’economia non è da meno.

E’ da tempo che i debiti nazionali non sono più denominati statali, come si usava fino a qualche decennio fa, quando essi erano argomento relegato dai giornali più nelle pagine politiche, che in quelle economiche. Il famigerato vol-au-vent di pomiciniana memoria distribuiva discrezionalmente generosi importi di finanziamenti statali, senza alcun riguardo al rapporto tra introiti e spese. Il debito era “dello stato” perché, causato dai suoi rappresentanti, doveva essere pagato dallo stato. Da quando la sua influenza travalica lo stretto ambito del rapporto tra prestatore e creditore, per invadere campi apparentemente lontani come i rendimenti complessivi del mercato finanziario e la fragilità del sistema bancario, termini come “sovrano” o “dei cittadini” hanno preso il sopravvento definitorio. L’accento della responsabilità dell’onere si è, di fatto, spostato non su chi lo contrae ma su chi lo paga. Non è una differenza, si badi, di poco conto.

In età moderna la garanzia degli interessi e della restituzione del denaro a coloro che lo prestavano non poteva essere affidata alle magre entrate di un bilancio pubblico che doveva fondarsi su gabelle e su qualche imposta diretta di un’economia di sopravvivenza. Il prestatore sapeva che le possibilità di godere della rendita del suo prestito e di ritornare in possesso del capitale erano legate alla potenza del debitore, alle sue conquiste militari. Se, attratto dalle prospettive di un’impresa che prometteva un ricco bottino, egli finanziava la costruzione, ad esempio, di una flotta, che avrebbe dovuto annientare il nemico o scoprire nuove terre, e che invece affondava miseramente, altro non restava che continuare a sostenere lo sfortunato sovrano, in attesa di una vittoria, che avrebbe riportato i conti in equilibrio. Il garante del prestito non poteva che essere il re, meglio un imperatore, che aveva altre possibili entrate. L’entità dei prestiti, quindi, spesso aumentava progressivamente fino alla restituzione o, come a volte accadeva, alla bancarotta[2].

I banchieri, sia per essere coadiuvati nello sforzo finanziario, che era reso sempre più gravoso dalla nascita di molteplici stati nazionali di potenza equivalente, sia per condividere il rischio, cominciarono a spezzettare o, come si direbbe ora, a spacchettare il loro credito distribuendone quote di scarsa rilevanza unitaria, ma globalmente consistente, ai privati. L’attribuzione di tali piccole quote era intralciata da un inconveniente non trascurabile: il prestito non aveva una data di scadenza e poteva avere una lunghissima durata, durante la quale il debitore corrispondeva solo gli interessi. Il piccolo prestatore, quindi, non era propenso ad accedere a un investimento, che avrebbe bloccato il capitale per un numero indefinito di anni. Da una parte, quindi, lo sforzo finanziario totale s’incrementava, dall’altra i finanziatori non potevano crescere proporzionalmente, poiché mancava la condizione necessaria per attrarre piccoli capitali in possesso di numerosissime persone.

Nasce così la borsa valori, che, in un primo tempo, contratta solo titoli pubblici[3]. Man mano che il giro dei prestatori si allarga, il rapporto di fiducia personale con il sovrano, lontano sia geograficamente sia socialmente, si fa sempre più labile ed è sostituito da quello con l’intermediario, cioè il banchiere, che finisce con l’essere il vero garante agli occhi del prestatore. Questi, a sua volta, è solo uno dei tanti, poiché i prestiti divengono sempre più cospicui, ad avere accesso a corte per trattare le condizioni dei prestiti. Più spesso ancora non è il re in persona che tratta; e neanche il banchiere. La garanzia non può più essere conseguenza di un rapporto, che, in realtà, è inesistente. Il debito, tuttavia, resta “sovrano” ma, a partire dal XVI secolo, il re non offre più garanzie personali, ma, in favore di ciascun singolo banchiere-garante, impegna specifiche entrate dello stato, specialmente gabelle, che intanto sono cresciute e diversificate. Il rapporto tra i creditori e i debitori, cioè coloro che pagano annualmente la gabella sulla quale i creditori dovrebbero soddisfare i loro interessi e il loro credito, è quindi, soltanto mediato dal banchiere. I veri garanti del prestito cominciano a essere i cittadini. Gli insiemi dei creditori e dei debitori, però, sono assolutamente separati, essendo i primi appartenenti al ceto dei privilegiati, specialmente chiesa e nobili, esenti dalla tassazione.

Le borse servono a facilitare il turnover degli investitori. In esse venditori e compratori stabiliscono il prezzo della rendita di ciascun paese sulla base dell’interesse corrente su piazza, della quantità di debito emesso da ciascun paese, della disponibilità finanziaria del sovrano, della potenza bellica, della floridezza economica di uno stato, che fa sperare in un radioso futuro fiscale del paese in cui è allocato l’investimento. L’esistenza di una borsa valori facilmente accessibile se non proprio dall’investitore, almeno dal suo banchiere-garante, invoglia all’investimento in titoli pubblici, sia perché si può in qualsiasi momento vendere i propri titoli e recuperare il capitale senza attendere la restituzione, della quale si ignora il momento, sia perché chi ha la possibilità di attendere potrebbe individuare il momento propizio per vendere, riscuotendo un capitale superiore a quello prestato.

Poche e trascurabili sono le innovazioni nelle borse e nelle modalità di emissione del debito pubblico nel corso del Seicento e del Settecento. Com’era accaduto al tempo della creazione delle borse valori tre secoli prima, una potente innovazione è indotta dalla forte espansione economica degli anni a cavallo tra XVIII e XIX secolo che, in assenza di moneta riproducibile, fortificò la posizione dei detentori di mezzi finanziari, anche perché il crack bancario inglese della fine del Settecento aveva precluso la speranza che si potesse sopperire alla carenza di metalli preziosi con le banconote emesse dalle Discount Banks.

Una nuova innovazione si avrà all’inizio dell’Ottocento, quando la maggior parte dei paesi adottò il modello napoleonico del Gran Libro, il quale, non a caso, non fu definito “del debito sovrano” bensì “del debito pubblico”. Da allora in un solo strumento contabile, il bilancio dello stato, vennero segnate entrate, uscite e tutti i debiti contratti dallo stato.

Fino alla seconda guerra mondiale, ed anche dopo, qualsiasi famiglia, che avesse raggiunto un minimo di benessere, investiva nel debito pubblico irredimibile buona parte dei propri risparmi. La platea dei creditori dello stato si ampliava sempre più.[4] Il boom, tuttavia, si è avuto con la scomparsa dei prestiti irredimibili e con l’arrivo dei prestiti zero coupon, che prevedevano la restituzione in tempi brevi del prestito con il pagamento dell’interesse anticipato attraverso un opportuno sconto sul suo prezzo, al momento dell’acquisto.

L’insieme dei creditori, a partire dai primi anni del XIX secolo, cresce sempre di più e più ampia diventa l’intersezione degli insiemi formati dai creditori dello stato e dai debitori, cioè dai cittadini, che in misura sempre maggiore sono titolari delle cartelle del debito pubblico e che pagano le tasse con le quali si onorano i debiti statali. Lo stato, quindi, diventa solo una sorta di contabile del debito pubblico, che utilizza le banche come agenti.

Il garante è sempre di più il cittadino. La tendenza è la completa identificazione tra creditori e debitori dello stato, cioè tra garanti e garantiti, che avverrebbe nel momento in cui tutti i cittadini, anche se in parti disuguali, saranno allo stesso tempo creditori e debitori dello stato. A quel punto il garante-cittadino, tramite il contabile-stato, potrà ammortizzare la quota di debito comune a tutti i cittadini, operando uno sconto proporzionale sul pagamento delle imposte di ciascuno, eliminando, così, dal bilancio dello stato una mera partita di giro.

La natura delle relazioni esplicitate presentano implicazioni in termini di redistribuzione del reddito e della ricchezza che possono essere più compiutamente comprese richiamando la “teoria del circuito” elaborata tempo addietro da Augusto Graziani e ponendo al centro dell’analisi non già la moneta quanto i titoli del debito pubblico.[5] Se assumiamo[6] che il nuovo flusso di titoli sia sottoscritto dai residenti, e che essi stessi saranno chiamati al pagamento della maggiore tassazione, non si determineranno effetti redistributivi: i soggetti che percepiranno una maggiore “rendita” saranno i medesimi colpiti dalla tassazione aggiuntiva, “necessaria” a mantenere invariati i saldi di bilancio. Introiti ed esborsi non sono altro che una partita di giro per i medesimi soggetti. Effetti redistributivi, invece, si manifesteranno in un’economia chiusa se una parte dei cittadini, chiamata a sopportare i nuovi oneri della tassazione, non sia detentrice di titoli pubblici. In tal caso essa non percepirà la nuova rendita ma sarà oggetto, tramite la tassazione, di un decremento del reddito disponibile. Effetti ancor più interessanti si determinano ove, rimuovendo l’assunzione di totale sottoscrizione domestica, si analizzano gli effetti degli acquisti e della detenzione di titoli da parte di operatori esteri, quelli che, istituzionalmente o meno, si caratterizzano per una diversificazione internazionale del proprio portafoglio. Nel loro caso l’incremento del tasso nazionale, e dunque dello spread rispetto al paese benchmark, può essere significativo in relazione sia al flusso di nuovi acquisti sia allo stock di titoli detenuti. In definitiva il passaggio del debito dalla responsabilità del sovrano o dello stato a quella del cittadino ha implicazioni rilevanti sulla ripartizione di reddito e di ricchezza.

Nella logica che l’unico garante rimasto sia il cittadino, e che i debiti pubblici restino, tuttavia, nazionali, alcune decisioni apparentemente incomprensibili, e comunque quanto meno premature, possono essere meglio comprese. La prima riguarda l’intervento operato recentemente dallo stato in favore delle banche, che rischiavano il default a causa del peso dell’investimento in titoli del debito pubblico. La situazione sembrava precipitare perché i cittadini non sembravano garantire sufficientemente il pagamento dei debiti del loro stato. Quindi toccava al garante venire in soccorso di chi pareva subirne le conseguenze. Il contabile-stato, quindi, decretava aiuti per le banche e nuove imposte per i cittadini. Siccome, però, le banche sofferenti non erano di proprietà dei cittadini dello stato il cui debito minacciava di cadere in sofferenza e i prestiti non erano stati tutti acquistati dai cittadini dello stato di appartenenza, la manovra doveva essere più articolata: oltre alle redistribuzione “da Main Street a Wall Street” era necessario assicurare gli operatori esterni alle partite di giro nazionali. Da qui un incremento dei tassi nazionali rispetto al benchmark internazionale, ovvero il famigerato spread, che può essere inteso non tanto come misuratore del diverso compenso per l’investitore che intende rischiare di più in rapporto ai rischi di un’economia più debole, ma come una sorta di compensazione che spetta a chi, straniero, assume l’obbligo di garanzia del cittadino di un altro paese.[7] Per altro lo straniero non soffrirebbe delle partite di giro connesse all’incremento della tassazione ma solo delle perdite in conto capitale, causate dall’incremento dei nuovi tassi di interesse, dello stock di titoli in precedenza accumulati.

La diversa interpretazione dello spread non è trascurabile, né approssimativa: mentre il rischio di un bilancio statale deficitario può, in un’era di pareggio costituzionale del bilancio, anche essere addossato al cittadino garante del prestito, che non paga tutte le imposte che “dovrebbe”, il rischio che lo stato non paghi il debito, anche se il cittadino paga tutte le imposte che deve, appartiene al contabile, cioè allo stato che non ha calcolato “bene” l’entità del peso impositivo da distribuire tra i cittadini. L’incremento dello spread e della sottoscrizione esterna rimane, quindi, un meccanismo, nell’ossessione del pareggio del disavanzo pubblico, doppiamente vessatorio: per i cittadini residenti che non detengono titoli la partita di giro interna è a duplice saldo negativo –introiti da cedola nulli ma tassazione negativa- sia rispetto ai detentori nazionali di titoli sia rispetto a quelli esteri. Nell’era dell’insania del bilancio in pareggio il debito è dunque divenuto dei cittadini. in virtù della tassazione del loro reddito si attua, oltre al già circuito da Main Street-Wall Street, una seconda gigantesca redistribuzione di reddito a favore dei detentori nazionali ed esteri di titoli di stato.

 

[1] Gli autori ringraziano un anonimo lettore della rivista per i suoi serrati commenti su molti dei contenuti e per averli stimolati a riflessioni aggiuntive, pur non avendo sovente seguito i suoi consigli. [2] Si veda, ad esempio, G. Felloni, ‘Ricchezza privata, credito e banche: Genova e Venezia nei sec. XII-XIV’, in Genova, Venezia, il Levante nei secoli XII-XIV. Atti del convegno internazionale di studi. Genova-Venezia, 10-14 marzo 2000, a cura di Gherardo Ortalli – Dino Puncuh, Genova, 2001. [3] C. P. Kindlberger, A Financial History of Western, Second Edition, Oxford University Press USA, 1993. [4] J. M. Keynes, Essays in Persuasion, New York: W.W.Norton & Co., 1963. [5] A. Graziani, The Monetary Theory of Production, Cambridge University Press, UK 2003. [6] Le considerazioni che seguono muovono dall’assunzione che, in un contesto come quello italiano attuale, allo stato sia imposto un vincolo di bilancio, temporale o intertemporale, in base al quale ogni incremento dal lato delle uscite, anche quelle relative al pagamento degli oneri finanziari, deve essere coperto con tassazione. Ciò, di conseguenza, esclude la possibilità di un finanziamento tramite creazione di base monetaria, così come nell’Unione Monetaria Europea, caratterizzata da assenza di signoraggio nazionale. [7] INTERNATIONAL MONETARY FUND, Global Financial Stability Report, Grapping with Crisis Legacies, September 2011.

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